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Ma gli Adamiti
sembravano non dare importanza agli avvertimenti di Procopio e lo convinsero
ad entrare nella città e a rimanerci per tutto il tempo che giudicasse
necessario purché i suoi soldati partecipassero ai lavori di semina
e di molatura, e che accettassero, prima di partire, di aiutarli a distruggere
per sempre le mura di pietra di Skalik. Procopio accettò, fece
riunire alcuni dei suoi ufficiali ed altri validi soldati e si dispose
ad entrare nella città per conoscere il Paradiso Terrestre, non
senza prima aver ordinato alla maggior parte delle sue truppe di rimanere
accampate fuori, ad una distanza di sicurezza, in modo che non potessero
essere sedotte dalla materializzazione suprema delle idee per le quali
noi Taboriti rischiavamo la nostra vita. Procopio era conscio che la nostra
forza proveniva dal sogno di una utopia distante, quasi irraggiungibile,
e temeva che la nostra carica combattiva si spegnesse se messa a confronto
con l'utopia già realizzata, lì sotto i nostri nasi. Il
vecchio generale aveva ragione. In fondo, che cosa sarebbe successo ai
crociati se, per esempio, avessero trovato a Gerusalemme il Santo Graal?
Gerolamo mi ha raccontato, ed io non ho nessun motivo di dubitarne, che
la Città degli Spogli assomigliava davvero al Paradiso sulla Terra.
Tutti là lavoravano con gioia, e c'era abbondanza delle cose necessarie;
gli uomini erano sempre ospitali con gli alleati stranieri, e per quanto
riguarda le donne, il mio capitano mi ha giurato che, nonostante fossero
belle ed esibissero a chiunque volesse vederli il loro seni nudi e i loro
peli rossastri, avevano sguardi così candidi ed elevati da non
suscitare nei visitatori il benché minimo desiderio lascivo, ma
solo ammirazione e simpatia. Sarà, ma questa è una parte
della storia che ancor oggi faccio fatica ad immaginare... Comunque il
fatto innegabile è che gli Adamiti si erano trasformati in una
immensa e felice famiglia, e si credevano predestinati a ripopolare la
Terra, estirpando da essa, con il potere della loro fede, il peccato e
la cupidigia, le fonti di tutti i mali, inaugurando a partire della piccola
Skalik un regno di virtù e di beatitudine.
Procopio riferì a Gerolamo le sue lunghe conversazioni di quei
giorni con Jan, a proposito del destino delle sette eretiche. Secondo
lui, i due parlavano circondati da bambini, mentre si preparava l'impasto
del pane, ma l'allegria dell'ambiente non attenuava la gravità
dell'argomento. Alla fine si domandarono fino a che punto gli uomini in
generale non fossero disposti a lasciarsi sedurre dal lusso e dalla grandiosità
del Vaticano e dell'Impero. Non sarebbe più comodo per i forti
e per i favoriti dalla fortuna condurre una esistenza dissoluta e crudele
e, vicini alla morte, comprare con poche monete d'oro l'indulgenza papale
e garantirsi così un posto nel Regno dei Cieli? Comunque, per Jan
nessuna di quelle cose aveva valore. Il Regno dei Cieli è proprio
qui, diceva lui, o in ogni caso deve iniziare qui e per conquistare la
grazia divina è necessario scoprire prima la felicità delle
cose semplici, il disprezzo per il potere e per l'ostentazione, e guardare
il mondo con gli occhi puri dei bambini e degli angeli. Questo sarebbe
possibile? - chiedeva Procopio. Ma bastava guardarsi intorno per credere
nelle possibilità di quella visione profetica: le donne, aspettando
il pane che avevano preparato, battevano il burro; i bambini che portavano
la legna, cantavano allegramente gli inni degli Adamiti e persino una
versione più dolce del nostro stesso inno che diceva: "Noi,
che siamo i bambini di Dio...", e poco dopo il cibo fu condiviso
con gioia, poi vennero le letture, poi le preghiere e infine il sonno
profondo e senza sogni, perché tutti i sogni erano stati avverati
dalla realtà.
Dopo tre settimane di inutile e dolce attesa, Procopio dovette cercare
i suoi stracci e vestirsi in fretta per ricevere, al di fuori di quanto
rimaneva delle mura, il messaggero di Zizka, il Guercio. Jan, la Fornace
della Fede, voleva accompagnarlo, ma Procopio preferì andare da
solo perché non voleva che il messaggero vedesse con i suoi occhi
il Paradiso, dato che preferiva raccontare di persona al vecchio compagno
di tante battaglie la sua scoperta e confabulare con lui di quell'opera
di volontà che tanto lo aveva meravigliato nelle settimane precedenti.
In fondo, Procopio, il Grande, era confuso sul destino stesso dei Taboriti.
Non sarebbe stato più logico e sensato se noi tutti avessimo aderito
subito al modo di vivere degli Adamiti, che sembravano aver già
raggiunto l'obiettivo finale degli eretici, invece di imbarcarci in nuovi
sanguinosi combattimenti a Wurzburg, a Norimberga o dovunque sia? È
ragionevole continuare a cercare con tanta sofferenza ciò che,
inavvertitamente, abbiamo già trovato?
Il messaggero, stranamente, non volle dare dettagli sulla nostra campagna
a Malesov. Disse solo che il nostro compito era concluso in modo soddisfacente
e che l'esercito di Procopio, secondo i piani, doveva mettersi di nuovo
in marcia e riunirsi a quello di Zizka in un punto a metà tra le
due città. Consegnò a Procopio una mappa con segnato il
punto esatto, gli domandò se aveva qualche obiezione al piano e
sentendo la sua risposta negativa gli augurò buona fortuna e si
rimise subito sui suoi passi. Procopio rimase altri due giorni a Skalik,
tentando di convincere i suoi ufficiali già nudi che dovevano accompagnarlo
ad incontrare Zizka, ma finì per cedere alle richieste di Jan perché
concedesse a quei nuovi convertiti di rimanere tra gli Adamiti. Procopio
era a corto di argomenti perché anche a lui sarebbe piaciuto immensamente
rimane per il resto della sua vita in Paradiso. Era stanco di guerre interminabili
e della tristezza delle carneficine. Lui sapeva quanto sono tristi le
vittorie, ma non poteva deludere il suo amico Zizka. Riunì quello
che restava del suo esercito fuori dalle mura della città, ormai
quasi totalmente demolite, e partì verso il punto segnato sulla
mappa, portando con sé molti dubbi e lasciandosi dietro il suo
desiderio, oltre ad alcuni dei suoi migliori uomini.
La Provvidenza Divina dispone di noi come vuole e apre
i nostri occhi e l'udito davanti a scene che si trasformeranno in bei
sogni o in terribili incubi per molto anni a venire. È così
che lei fa di noi la sua opera, e a noi non è dato né scegliere
ciò che dobbiamo vedere e sentire, né ciò che possiamo
sognare, né ciò che dovremo ricordare, né ciò
che avremo la grazia di dimenticare. Ebbene, la Provvidenza aveva deciso
che il generale Zizka promuovesse il mio capitano, Gerolamo da Brno, a
suo luogotenente nell'imminenza dell'attacco che si annunciava, ed io,
suo attendente, in questo modo fui spinto al centro di quegli eventi.
Quel quadro di decisioni a cui avevo assistito, e del quale avevo custodito
un'immagine così nitida per il futuro, mi arrivava adesso anche
animato dalle sue voci.
Seduti sull'erba, in cima ad una collina, osservavamo da lontano le mura
di Malesov. Sotto la luce del tramonto la città di pietra sembrava
tinta di vermiglio. Zizka, il Guercio, per qualche istante concentrò
la sua attenzione su ciò che era visibile ad occhio nudo, e distinse
che la luce rossastra non era solo il riflesso del sole, ma proveniva
della città stessa, come se vari punti all'interno delle fortificazioni
fossero in fiamme. Chiamò vicino a sé Gerolamo e, siccome
non si fidava interamente del suo unico occhio, gli domandò cosa
vedesse. Il mio capitano rispose che da quella distanza era impossibile
essere certi di qualcosa, ma comunque gli sembrava ci fosse fumo e alcuni
focolai di fuoco nella parte centrale e in fondo. "È possibile
che Paumgartner abbia fatto evacuare la popolazione e incendiato la città",
disse.
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