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Pieni
di timore dicevano: "Oggi abbiamo
visto cose straordinarie".
(Luca; 5, 26)
Fino a quel momento avevo vissuto poco, quasi niente,
ma poi il tempo mi ha ingannato e ha fatto un grande salto, e ora mi vedo
un uomo vecchio, con poco tempo davanti a me. Così gli avvenimenti
che sto per raccontarvi sono successi da circa una vita. Chi ero io a
quell'epoca? Ero un giovane soldato dell'esercito degli eretici Taboriti.
Io non contavo niente, ma è con orgoglio che vi dico: il mio esercito
era invincibile.
Me lo ricordo chiaramente: io ero di guardia la notte della decisione
e potei osservare a lungo i miei due generali, Zizka, che chiamavamo "il
Guercio", e Procopio, il Grande, riuniti dinanzi ai falò dell'accampamento,
avvolti nelle loro vesti stracciate quanto le nostre. Ancor oggi, non
so bene perché, l'immagine che conservo di loro e che è
rimasta incisa in me è ciò che vidi quella notte, l'immagine
delle loro sagome che si accendevano e si spegnevano nei toni rossi del
fuoco. Proprio lì loro hanno deciso di dividere le loro truppe
e seguire cammini diversi. Ed è stata una decisione che ha cambiato
le nostre vite, e anche le vostre, nonostante voi foste ancora molto lontani
dal nascere in quei giorni ormai quasi dimenticati. Ma prima devo raccontarvi
chi erano quegli uomini e che cosa hanno fatto per il nostro popolo.
Ziska e Procopio erano uniti come fratelli di sangue. Uniti, avevano liberato
la nostra Boemia, guidato la folla furibonda e ripreso il regno dalle
mani di Venceslao. Il nostro fervore era intenso. Eravamo tutti ispirati
dalle idee scomunicate del Trilogus di Wyclif e dalle prediche di padre
Giovanni Huss, che poco prima era stato bruciato vivo dal Tribunale della
Santa Inquisizione, dopo essere caduto in una trappola che i cardinali
gli avevano teso a Costanza. Si diceva allora che le sue ceneri erano
state sparse al vento perché di lui non restasse nemmeno una reliquia.
Quello che ci ha mosso alla guerra santa è stata la nostra determinazione
di non sottometterci più a un re che si piegava davanti ai baroni
tedeschi, che accettava la vendita delle indulgenze, che arricchiva i
vescovi dissoluti e simoniaci, e che per giunta accettava ordini dal Papa
di Pisa, aspirante al trono di Pietro, ed anche dagli altri due papi dell'epoca:
Gregorio VII, di Roma, e Beato XIII, di Avignone, tutti scomunicatisi
a vicenda durante il Grande Scisma.
Oltre all'indignazione contro quello stato di cose, eravamo posseduti
da un sogno millenarista: l'Avvento del regno di Dio sopra la Terra, quando
tutti i veri cristiani avrebbero espropriato i beni della Chiesa, distribuendoli
ai poveri e vivendo come prima del peccato originale, in povertà
e comunione. Noi portavamo rinvigorita, ed ora con un immenso potere militare,
l'utopia del cristianesimo primitivo, che nei tempi delle utopie aveva
portato al rogo tanti predicatori che facevano parte di sette eretiche
come la nostra: quelle dei Lolardi, dei Begardi e dei Valdesi. Ma con
i Taboriti sarebbe stata un'altra storia. Al contrario di quelle fragile
confraternite, noi avevamo organizzato un esercito favoloso, il più
grande e il più audace che il secolo avrebbe mai conosciuto.
Contadini senza radici venivano da tutte le parti della Boemia per ingrossare
gli eserciti eretici. Io, per esempio, sono venuto da Brno, ancora senza
neanche un pelo di barba sulla faccia, seguendo Gerolamo, il mio capitano.
E il nostro esodo aveva un motivo. Fino a pochi anni prima i boschi e
i pascoli erano di uso comunitario, ma da quel momento in poi furono recintati
e molte famiglie ebbero le loro terre confiscate e furono arbitrariamente
espulse dai baroni. Si incominciò a tagliare una grande quantità
di legna dai boschi per il commercio, e nei nostri pascoli si allevavano
soltanto pecore per la lana. Questa nuova e incomprensibile situazione
aveva lasciato uomini e donne alla deriva, un vero oceano umano che aveva
formato i contingenti militari vincitori dei cavalieri mercenari che per
ordine del Vaticano avevano invaso la Boemia. Erano guerrieri brutali,
che se ci avessero sconfitti avrebbero bevuto il nostro sangue. In seguito
abbiamo schiacciato le truppe bene armate di Sigismondo, il Margravio
del Brandemburgo. La fama della nostra invincibilità stava cominciando
a diffondersi. Poi abbiamo conquistato con tenaci assedi i regni di Moravia,
d'Ungheria, di Slovacchia e di Slesia.
Forse potrebbe sembrare una esagerazione per chi non è stato lì
e non ha potuto vedere tali prodigi, ma i Taboriti e i loro soldati straccioni
riempirono di terrore l'Europa del XIV secolo dopo l'avvento del Figlio
di Dio, poiché nessun signore feudale, nessun re e nessun vescovo
ci ha mai inflitto una sconfitta. La semplice notizia del nostro avvistamento
metteva in fuga disperata i signori di quei regni. Il popolo ci aspettava
sempre con grande ansia, e quando occupavamo il luogo ci acclamava con
euforia. Eravamo i liberatori di anime.
Ma anche dopo che la Chiesa si era riunita attorno ad un unico Papa e
aveva mobilitato tutto il suo potere universale per armare un immenso
esercito contro di noi, il suo sforzo fu vano e infame. Sotto il comando
di un legato papale, il Cardinale Giulio Cesarini, le numerose truppe
avevano come unico obiettivo quello di schiacciare una volta per tutte
le cosiddette bande di eretici che terrorizzavano i principi loro vassalli.
Solo che anche loro erano terrorizzati. Quando ci sentivano intonare da
lontano il nostro inno: "Noi che siamo i soldati di Dio...",
le reclute di quell'Esercito Romano abbandonavano le arme sul terreno
e fuggivano sbandati. E nel bottino di una battaglia non avvenuta abbiamo
trovato il cappello rosso che il Cardinale Cesarini aveva lasciato dietro
di sé... Così nessun esercito d'Europa, e nemmeno tutti
loro uniti, avrebbero potuto scuotere il nostro animo bellicoso o intimidire
quell'orda fanatica, felice e stracciona che eravamo diventati: gli eretici
armati di Boemia.
Ma ritorniamo a quella notte davanti ai falò. La questione che
Zizka, il Guercio, e Procopio, il Grande, discutevano mentre io li osservavo
da lontano, dal mio posto di guardia, riguardava la strategia di combattimento
contro gli ultimi focolai di resistenza all'espansione Taborita: i feudi
del barone tedesco Altar Paumgartner. Le nostre spie avevano riportato
informazioni contraddittorie dalle terre del barone. Una affermava che
il barone stava fortificando la sua città, Malesov, per resistere
al nostro assedio. Un'altra diceva che il barone organizzava le sue truppe
per combattere su due fronti: avrebbe lasciato un corpo di guardia a Malesov
e sarebbe partito con il resto dell'Esercito, poi avrebbe occupato la
città di Skalik e da lì avrebbe combattuto gli eretici.
Inoltre, una terza spia assicurava che il barone, credendosi già
sconfitto, avrebbe distrutto la sua città per impedirci di impossessarci
di viveri e approvvigionamenti, e sarebbe fuggito con le sue truppe verso
la foresta, tentando di organizzare da lì un futuro contrattacco.
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