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"...un mare così ampio
che lo spirito umano appena può concepire"
dalla relazione di viaggio di Maximilianus Transylvanus
Il 20 ottobre
1517 Fernão de Magalhães rinuncia alla cittadinanza portoghese,
attraversa da solo il confine spagnolo, arriva a Siviglia, assume il nome
di Hernando de Magallanes, e sottoscrive un contratto con il re di Spagna,
Carlo V, per realizzare il proprio progetto di circumnavigare per la prima
volta il globo terrestre.
L’inedita impresa sarà portata a termine solo cinque anni
più tardi, quando la piccola nave Victoria, l’unica superstite,
risalirà il fiume Guadalquivir con a bordo soltanto diciotto sfiniti
sopravissuti, dei quasi trecento uomini che erano partiti. Tra loro non
c’è Magallanes, ucciso dagli indiani dell’isola Mactan
dopo aver solcato l’Oceano Atlantico fino al suo estremo sud, aver
scoperto lo stretto che oggi porta il suo nome e attraversato per la prima
volta l’immenso oceano che lui stesso ha battezzato Pacifico.
Ma fino a questo momento la decisione di partire non è ancora stata
presa. Lui è seduto ad un tavolo, in fondo ad una taverna della
Baixa di Lisbona, davanti ad un bicchiere di porto, mentre sta aprendo
il suo cuore pesante al suo unico amico, l’astronomo Ruy Faleiro,
che come lui, tenta fare il passaggio da un oceano ben conosciuto, la
patria, ad un nuovo mare ignoto, in una tarda notte del settembre 1517.
Tu non sei più
giovane, Ruy, amico mio. Forse posso già chiamarti " vecchio
amico", eppure il tuo corpo non ha mai varcato le mura di Lisbona;
tu che solo in contrada Corpo Santo o in Madre Deus ti senti protetto
dal mantello di El Rey, anche se dici di disprezzarlo. I tuoi viaggi li
fai solo con gli occhi, lanciando lo sguardo nell’oceano più
buio e tetro di tutti, quello che sostiene le stelle, e così ti
avventuri per regioni molto più lontane di quelle che ho raggiunto
io senza aver dovuto muovere nemmeno un piede. È per questo che,
nonostante quello che il vino ti farà dire e giurare, in fondo
so che non mi seguirai, che non mi sarai accanto se decido veramente di
bussare alle porte di Spagna per veder compiuto il mio destino. So bene
che Lisbona è un utero di pietra dal quale non uscirai mai, e che
per te, tutto sommato, è meglio la prigionia sulle rive del Tago
che la fortuna su quelle del Guadalquivir.
Scusa, amico mio, non volevo offenderti. So bene che non sei un codardo
e che anche tu ammassi le ingiustizie del Portogallo nelle stive del tuo
spirito, e so benissimo che non sono zavorre che possono essere buttate
a mare per alleggerire l’anima e permetterci di andare avanti, ma
che sono diventate la materia stessa di cui è fatta la nave. Sono
risentimenti che diventano legno. Anch’io sono fatto dello stesso
legno. Solo che... Solo che ci sono quelli che partono e quelli che rimangono.
Nessuno è migliore dell’altro, e possono avere ragione tutti
e due. Tu sei del secondo tipo, ed io... io ancora non lo so. Devo scoprire,
o decidere, che specie di uomo sono. E tu, con i tuoi consigli, devi aiutarmi.
Ho trentasette anni e anche se riesco a diventare vecchio, cosa che non
accade spesso nel mio mestiere, di sicuro ho già offerto al Portogallo
più della metà della mia vita. I miei anni migliori, quelli
dell’audacia spensierata e della fantasia, quando le gambe sono
leggere come certi venti d’estate, ed il pensiero è separato
dall’azione solo da una scintilla... questi anni ho dato al popolo
lusitano e al suo re. E tanto ho fatto, tra così tanti pericoli,
che devo sembrare addirittura altero e antipatico alla morte stessa.
Da bambino sono stato paggio della regina Dona Leonor. Da ragazzo sono
andato a combattere in India, in Cananore, insieme a Vasco da Gama, contro
il perfido Zamorìn. Lì sono stato ferito e portato poi in
Africa perché mi rimettessi. Sono quasi morto, per il Portogallo.
Poi, in Malacca, ho avvertito il mio capitano del tradimento del Sultano
e così ho evitato il massacro dei nostri; vi sono tornato due anni
dopo per conquistare finalmente quella maledetta città, l’aurea
Chersonesus, che ha fatto del Portogallo il sovrano di tutto l’Oriente,
dalle Colonne d’Ercole al Catai e al Cipango, quel Portogallo che
si presentò con fierezza a Roma sopra un elefante che si inginocchiò
davanti al Papa, a dimostrare che le potenze pagane si erano inginocchiate
davanti alla fede in Cristo.
Sono andato in India con il semplice grado di sobressalente, e sette anni
più tardi sono tornato a Lisbona con lo stesso grado. Non era cambiato
niente, nessuna promozione, nessun riconoscimento. Sono stato pagato con
un altro rischio mortale, del quale anche tu ti ricorderai: quella guerra
contro i mori del Marocco, nella sabbia, fuori dal mio elemento naturale,
lontano dalle nostre grandi acque. E sempre come volgare sobressalente
sono stato ferito ancora, un colpo di lancia mi ha distrutto il ginocchio
e mi ha reso zoppo. Sono quasi morto, per il Portogallo, un’altra
volta. Quando sono tornato di nuovo, anonimo soldatino, atteso da nessuno,
ho visto con stupore che la patria per la quale il mio corpo era stato
lacerato non mi voleva, mi guardava con ribrezzo e diffidenza. La patria
mi sputava addosso. E per la prima volta mi è venuto in mente che
se morire per la patria non vale niente, e se non posso neppure vivere
per la patria perché essa non me ne fornisce i mezzi, forse dovrei
imparare a vivere per me stesso e a morire per il mio sogno, che è
quasi una patria.
Ah, povero il soldato che commette l’imprudenza di tornare. Meno
disgraziati sono quelli che spirarono sul campo...
So che pensi che esagero quando dico che la patria mi sputava addosso.
Quindi, dimmi tu: chi risponde per la patria se non il suo re? E cosa
mi ha risposto Dom Manuel quando gli ho chiesto una degna occupazione,
per non marcire nell’ozio e nella miseria? Mi ha risposto no! E
quando invece gli ho chiesto una pensione che mi permettesse di restare
vivo? No, niente! E quando l’ho supplicato che almeno mi risparmiasse
l’umiliazione di vedere i miei subalterni, gli inesperti, gli inetti,
i vergini di combattimenti, sorpassarmi in grado e prestigio? Lui mi ha
gridato: No! Per ora rimarrete soltanto un sobressalente. Ma... il mio
merito e la mia dedizione? Il vostro merito lo giudico io, ha detto. E
la vostra dedizione non è un affare di Stato. E quando alla fine,
deluso, mortificato, gli ho chiesto se mi concedeva di mettermi al servizio
di un paese straniero per trovare i mezzi per sopravvivere, con disprezzo
mi ha risposto: "Andate pure", e così mi ha congedato.
Dom Manuel non è tutto il Portogallo, dici tu... E invece sì!–
dico io. Nessun altro portoghese è così ben informato come
Sua Maestà. Solo lui sa tutto di me, dei sacrifici che ho dovuto
fare in suo nome, e quindi nessun altro mi può giudicare meglio
di El Rey Dom Manuel. E la sua risposta ha stabilito che io non valgo
cento réis, e peggio per gli spagnoli se vogliono sprecare con
me i loro maravedìs... Vedi, Ruy, se il re ragiona così,
cosa devo aspettarmi dai poveri diavoli sui marciapiedi della Baixa, che
vedono passare un altro povero diavolo sul marciapiede opposto, e per
di più zoppo! Ruy... Ruy... quando mi tornano in mente tutte queste
vicende, le innumerevoli volte che ho messo a repentaglio la mia vita
per questa gente che ora mi guarda come se fossi trasparente come l’acqua,
mi sento il più tradito ed il più libero degli uomini. Sopra
tutte le cose ho imparato ad amare il verde e il rosso della tua bandiera,
e d’ora in poi, non so ancora bene come, dovrò imparare ad
amare altri colori, oppure nessun colore, come nell’acqua, l’elemento
che davvero amo.
L’ingratitudine, Ruy, questa pantera che ci salta addosso mentre
siamo distratti e ci spezza il collo con le sue zanne... l’ingratitudine
lascia una brutta cicatrice. Sai, amico mio, non posso non sentire questo
vento che già soffia sulla mia pelle, e per questo ti dico adesso
e ti ripeterò domani, quando l’ebbrezza di questo buon vinho
do porto sarà passata, che ho deciso: andrò dagli stranieri,
chiederò al loro re, che spero sia più intelligente del
nostro, che si degni di ricevermi a corte, e gli presenterò il
mio grande progetto, che senza dubbio porterà tanta gloria e fortuna
al suo paese. Lascerò per sempre alle mie spalle questa madre impazzita
che vuole rubare il mio futuro. Forse così lascerò dietro
di me anche me stesso...
Non ho mai avuto paura, lo sai, e non ne ho adesso. Vedremo cosa sarà
rimasto di me da poter usare nella mia nuova vita, quando metterò
tutta la mia energia al servizio di un altro popolo, che d’ora in
poi sarà il mio popolo, la cui storia è già la mia
storia, e la cui bandiera, se mi sarà permesso, porterò
il più in alto e il più lontano possibile, ossia il più
vicino possibile all’impossibile. E se è vero che ho lasciato
me stesso dietro di me, questo non mi spaventa, perché so che il
mondo è una sfera, e perciò è proprio allontanandomi
dal punto di partenza che potrò fare il giro completo che va da
me a me stesso.
Amico mio, la circumnavigazione è l’unica via che mi rimane:
così sono sicuro che è possibile e che ce la farò.
In fondo, se c’è un’unica alternativa, dev’essere
per forza quella giusta.
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