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Il
boom letterario brasiliano 30 anni dopo
Nel mezzo del cammin di un matrimonio già stanco, ammutolito, logorato
da una successione infinita di malintesi, se chiudiamo gli occhi e guardiamo
indietro verso il momento del primo incontro, del primo bacio, dei primi
giorni passati da soli in un luogo esotico e irreperibile - anche se era
lo stesso quartiere in cui vivevamo da sempre - allora ci immergiamo a
ritroso nella dolceamara esperienza dell'idillio ricordato. È questo
l'unico idillio possibile, perché quello vero, sul momento, non
è godibile, è solo una serie di movimenti alla cieca, spasmodici,
carichi di tensione, quasi un'ansia, una sofferenza. Ma quell'idillio
poi, anni più tardi, sarà infiammato da una nostalgia avida,
la saudade, che ci ridonerà con trasparenza il suo autentico contenuto:
l'estasi sommersa durante la tempesta.
L'idillio - questa sorta di stato di grazia condannato alla fugacità
- non esiste solo per gli amanti. Esistono idilli per tutte le esperienze
della vita, come per il viaggio (idillio con la natura e la cultura),
per il lavoro (idillio con la vocazione) e per l'arte (idillio col linguaggio).
Ebbene, in questo breve pezzo di storia letteraria cercherò di
raccontare in modo molto personale, frammentario e, lo so bene, a volta
anche impreciso, il mio idillio con la vita dello scrittore. Rispondo
così ad un invito della rivista Musibrasil, scaturito dai ricordi
affiorati alla mia memoria e a quella di Fabio Germinario, il coordinatore
della rivista, con la pubblicazione bilingue delle poesie di Cacaso, scrittore
di Rio come me, contemporaneo e complice, morto in giovane età
come si conviene ai poeti e ai rivoluzionari.
Questo mio idillio ha una definita cornice storica, la metà degli
anni '70, un luogo, la fascia metropolitana e più cosmopolita del
Brasile, che va da Belo Horizonte a Porto Alegre, e un nome ufficiale:
il Boom Letterario Brasiliano. A quell'epoca erano già trascorsi
- ma erano ancora di freschissima memoria - gli anni più brutali
della dittatura militare, quegli del Generale Costa e Silva e del Generale
Medici. Era al governo Ernesto Geisel, generale anche lui, naturalmente
(si diceva per scherzo allora che bisognava considerare il Brasile in
modo molto "generalizzato"), e anche lui portava gli immancabili
occhiali neri degli ufficiali di quei tempi (circolava voce che era perché
così il nemico non si accorgeva di essere osservato da loro, mentre
la testa puntava verso un'altra direzione). Al contrario dei suoi predecessori
della "linea dura" delle Forze Armate, Geisel sembrava disposto
allora ad abolire la pratica della tortura e dell'omicidio di stato e
a tollerare i primi barlumi di ripresa della vita democratica. Attorno
a lui, una corte sinistra, un'autentica schiera di spiriti maligni in
divisa da generale, molti dei quali cospiravano contro il Presidente stesso,
congetturando su come riportare il paese all'età delle tenebre
da cui noi giovani volevamo disperatamente uscire. Si chiamavano Frota,
Medeiros, Figueiredo, Mello, Pires, Fontoura, Golbery, Muricy, Lyra, Grunnewald
e tanti altri bei cognomi borghesi che suoneranno per sempre terrificanti
e luciferini al mio udito, e mi faranno rabbrividire durante le ore profonde
del sonno anche nel corso del nuovo secolo.
La magra e fragile intenzione di apertura del regime sbocciava mentre
i musicisti del periodo precedente, da Caetano a Chico Buarque, ma anche
registi come Glauber Rocha e Marcos Medeiros, erano ancora in esilio.
Per i più giovani che erano rimasti in patria quel barlume era
stato sufficiente per ridestare un grande coraggio creativo e un desiderio
di partecipare alla vita pubblica, di trasformare lo spiraglio promesso
da Geisel in un'autentica porta verso il futuro, se necessario in contrasto
con lo stesso Governo. E fu proprio così che avvenne.
Ma quei giovani cosa sapevano fare? Di quali armi disponevano? Sapevano
scrivere storie e poesie, non di piú. In qualche caso anche un
romanzo, una pièce teatrale.
Come si chiamavano? Cacaso o Júlio, come abbiamo visto, e poi Domingos,
Chacal, Caio, Ana, Glauco, Barreto, Vital, Emediato, Elías, Tania,
Fiorani, Duilio, Leminski, Charles, Brasigóis, Reinoldo, Carlos
Emilio, Leila, Roniwalter, Nei, Márcio, Marcia e tanti altri, con
le loro rigogliose e ricciute capigliature fino alle spalle, affluivano
da tutte le parti del paese verso le capitali del Sud, a volte con un
biglietto di sola andata e senza un cruzeiro in tasca.
E come diffondevano i loro scritti? Per prima cosa occorre ricordare che
gli editori di allora, a parte il terrore che avevano di cadere nelle
grinfie dei censori (in alcune case editrici, come nella Civilização
Brasileira, i censori lavoravano "in casa", come normali impiegati),
erano alquanto anchilosati - anche quelli di sinistra - e insensibili
ai nuovi linguaggi di quella gioventù, oltre ad essere naturalmente
diffidenti e deliberatamente ignari del fenomeno letterario che si preannunciava.
Erano invece cultori, per esempio, di una certa narrativa amena e giocosa,
quella presente nelle crônicas di Rubem Braga, di Fernando Sabino
o di Sergio Porto, fiorita circa quindici anni prima in un altro Brasile,
quello della Bossa Nova e del Presidente Juscelino, lo statista che sorrideva
e ballava il walzer in frac nei salotti di una felice e spensierata "Pompei"
politica. Dopo l'irruzione dei carri armati nel 1964, la fonte di allegria
che alimentava quelle deliziose crônicas si era spenta, e con essa
anche quel genere letterario e quello stile. Ma gli editori ancora storditi
non riuscivano a rassegnarsi.
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