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Credo
che di fronte a tali informazioni, così diverse e contraddittorie,
e davanti all'incertezza sulla reale situazione del nemico, soltanto Zizka
e Procopio erano in grado di studiare un piano di attacco che avrebbe
potuto funzionare in qualsiasi situazione. Fu con questa convinzione che
concordarono di dividere il nostro esercito su due fronti. Uno, comandato
da Procopio, avrebbe preso la città di Skalik prima che lo facesse
Paumgartner, e da lì, nel caso, avrebbe atteso il suo attacco.
L'altra metà dell'Esercito, nella quale avrei dovuto servire io,
avrebbe avuto la maggior parte dei carri pesanti comandati dal capitano
Gerolamo di Brno, e sarebbe stata agli ordini di Zizka. La sua missione
era prendere la città di Malesov, dove dicevano si sarebbe trincerato
il barone, catturarlo e farlo prigioniero.
I due generali ogni tanto si sarebbero scambiati informazioni attraverso
portaordini e, casomai, avrebbero inviato rinforzi per le truppe coinvolte
nei combattimenti più cruenti. Dopo la conquista di Skalik e di
Malesov, i generali e i loro soldati avrebbero dovuto riunirsi di nuovo
in un punto qualsiasi tra le due città e proseguito uniti per la
presa di Würzburg e di Norimberga, ambite da molto tempo.
Negli ultimi minuti della mia guardia, mentre la luce già sorgeva
grigia e violacea all'orizzonte, davanti ai miei occhi esausti Zizka e
Procopio si abbracciarono stretti come due veri fratelli. Circondati da
alcuni eretici che già intonavano il : "Noi che siamo i soldati
di Dio...", essi innalzarono le bandiere vermiglie, con l'immagine
del Santo Graal, da dietro il fuoco che si spegneva e diedero inizio ai
preparativi per la campagna seguente, su due fronti di battaglia imprevedibili,
dove avrebbero cercato più vittorie e maggior gloria per il vero
Cristo.
Devo dirvi
che ai fatti che vi racconterò adesso non ho partecipato personalmente,
perché ho dovuto seguire il mio capitano, Gerolamo, nella capitale
del barone. Ma questi mi sono stati descritti molte volte, anche dallo
stesso Gerolamo, che li aveva sentiti dalla viva voce del generale Procopio,
e da molti altri che erano stati là, e che me li avevano dipinti
in modo così vivo con le loro parole che oggi, chiudendo gli occhi,
non so cos'è memoria e cosa immaginazione e quanto ricordo di una
immaginazione che non si riconosce come tale.
Per quanto ne so io, le cose a Skalik sono andate così: verso mezzogiorno
i suoi abitanti hanno notato la presenza di una strana nebbia all'orizzonte,
che circondava la vecchia città e solamente verso il tramonto,
quando la brezza primaverile dissipò la nebbia, riuscirono a vedere
le migliaia di tende che erano state piantate attorno alle mura in un
immenso cerchio, di alcune leghe di raggio.
Il generale Procopio, sebbene ignorasse ancora se Skalik fosse già
caduta in mano al barone e la consistenza stessa delle truppe in città,
preferì disporsi ad un assedio che, se necessario, avrebbe potuto
durare per settimane, e attaccare la città solo dopo essere sicuro
che la resistenza era rimasta senza cibo e indebolita dalla carestia,
fiaccando così il morale del nemico e rendendo possibile addirittura
una resa incruenta. Ma le prudenti disposizioni di Procopio si dimostrarono
subito superflue.
All'alba del giorno seguente, le porte di Skalik si aprirono e un compatto
gruppo di uomini e donne, tutti completamente nudi, si incamminarono verso
le tende dei Taboriti: le donne portavano in braccio bambini o mazzi di
fiori e gli uomini del pane nero ed anfore di vino.
Procopio, il Grande, inviò loro incontro due luogotenenti per ascoltarli
e ordinò che l'esercito si mettesse in posizione di attacco, allertato
per la possibilità di una sortita. Il corteo degli spogli fu portato
davanti a lui, mentre i suoi ufficiali facevano largo tra i soldati sbalorditi.
Depositarono i loro regali davanti a Procopio e un uomo alto, di mezza
età, diede il benvenuto ai Taboriti e si dispose a rispondere alle
sue domande.
Le nostre spie, che ci avevano informato con uno zelo eccessivo e parecchia
confusione sui progetti del barone a Malesov, non avevano ancora raggiunto
Skalik e per questo nessuno di noi sapeva che la piccola città,
già da qualche mese, si era convertita in massa ad una setta eretica
ispirata a noi Taboriti, ma ancor più radicale: gli Adamiti, nome
dovuto alla fede in Adamo ed Eva, i primi abitanti del paradiso, che,
per essere immediatamente anticipato sulla terra, doveva imitare in tutto
e per tutto l'istante primo, quando dal fango e da una costola il Signore
aveva creato l'uomo e la donna.
Già da tempo avevano buttato nel fiume tutti i loro vestiti e lavoravano
nudi, dal borgomastro agli acquaioli, intonando cantici di lode al paradiso
ritrovato. E così come non avevano vestiti, non avevano né
armi né ricchezze, ed aspettavano solo l'arrivo provvidenziale
dei Taboriti per radere al suolo le loro mura, interrare i fossi e vivere
nel migliore dei mondi, senza la necessità di nessun altra fortificazione
che non fosse la benedizione del Signore dei Cieli che li proteggeva.
Procopio chiese loro notizie sulle truppe del barone. Da molti mesi ormai
quelli di Skalik non avevano nessuna notizia di Paumgartner o degli abitanti
di Malesov. Inoltre non avevano notato nessun movimento di truppe nei
dintorni. Per quello che ne sapevano, nessuno li minacciava. I rari scambi
che anticamente intrattenevano con la città di Malesov erano stati
sospesi e agli Adamiti era vietato visitare la "città dei
degeneri", che nell'immaginario collettivo di Skalik era diventata
la reincarnazione di Sodoma e Gomorra. Quanto agli abitanti di Malesov,
cosa diavolo ci andavano a fare in una città dove tutto era stato
volontariamente spogliato di ornamenti e di piaceri e dove un popolo nudo
ed esaltato lavorava dall'alba al tramonto cantando le gloria dell'Eden,
giudicandosi libero dal Peccato Originale?
Procopio, il Grande, ascoltò con attenzione le parole di quell'uomo
esile e fiero, che i suoi discepoli chiamavano Jan, la Fornace della Fede,
perché era stato il primo a denudarsi completamente sfidando i
rigori dell'inverno, senza dar mai a vedere di accusare il freddo o di
tremare sotto le forti nevicate. Il nostro generale, da quando aveva iniziato
quell'impresa, non si era mai aspettato dei gran festeggiamenti, ma ora
era costretto a riconsiderare le sue tattiche. Come prima cosa, avvisò
Jan e gli altri del pericolo di un attacco di sorpresa del barone Altar
Paumgartner a quella città così assolutamente vulnerabile,
e garantì che avrebbe mantenuto le sue truppe nei dintorni fino
a quando non avesse avuto informazioni certe da parte di Zizka che il
pericolo era stato debellato.
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