Zizka non riusciva a immaginare quello che Procopio descriveva con così grande entusiasmo. Per lui, tutto ciò gli sembrava un'inqualificabile assurdità. Le sue parole furono più o meno queste: "Come potranno i Taboriti difendersi dagli inevitabili attacchi dal barone in un posto così vulnerabile, sprovvisto di mura, di armi e anche di vestiti? Chi ci proteggerà da quella forza maligna? E che tipo di pace potrà regnare sulla Terra fino a quando l'incarnazione del diavolo e i suoi seguaci non saranno del tutto annichiliti? Per di più, noi avevamo promesso al Signore, con parole solenni, di liberare dal giogo dell'Impero le città di Würzburg e Norimberga e di riunire forze ancora più terribili per cacciare i cani papisti dal Vaticano, aprire i suoi portali ai veri cristiani e di ribattezzarlo con il nome di Cattedrale Madre Della Santissima Trinità! Dobbiamo moltiplicare le nostre vittorie per la gloria di Cristo, marciare sopra i cadaveri dei mercenari della Santa Sede e fondare il Paradiso sulla Terra per tutti gli esseri, non solo per noi e per pochi altri fanatici nudisti!" Anche questi suoi argomenti riflettevano non solo il suo pensiero ma ciò che vi era di più profondo nello spirito dei suoi uomini.

Nonostante i due capi fossero rimasti abbastanza lontani l'uno dell'altro per tutto il giorno seguente, la notizia del diverbio tra i due generali si diffuse nei due eserciti. I soldati, a voce alta, facevano propri gli argomenti che non avevano sentito, ma solo indovinato attraverso il gioco inquietante delle ombre della tenda. Tra l'altro, è stato un errore che ho commesso anch'io. Le nostre opinioni erano difese con una tale veemenza che non diventava una aggressione diretta solo per la paura del rimprovero dei nostri capi. I partigiani di Zizka davano del "codardo" a quelli di Procopio, che a loro volta gli davano del "sanguinario". Quelli che erano stato a Malesov accusavano quelli che erano stati a Skalik di essere dei "disertori", e questi a loro volta accusavano gli altri di essere degli "avventurieri". E gli uni e gli altri si accusavano a vicenda di essere dei "pazzi, dei perduti, degli stregati..." Ognuno, a suo modo, appassionatamente.
La tensione trai due schieramenti cresceva, al punto che i miei compagni che avevano patito Malesov impedirono agli uomini che avevano sognato Skalik di arrivare al fiume, sulle cui rive ci eravamo accampati. Era l'unica rappresaglia possibile, l'unica forma di pressione, perché non potevamo certo dichiarare una guerra aperta. Gli uomini di Procopio, flagellati dalla rogna e bramosi di lavarsi, consideravano quel divieto un affronto ed erano pronti a farsi strada verso il fiume con tutti i mezzi.
Al presentimento del rischio terribile celato in quell'atmosfera di zizzania i due generali si scambiarono messaggi segreti e decisero di simulare una riconciliazione pubblica per sedare le truppe. Salirono di nuovo insieme sul carro pesante e davanti a tutti si abbracciarono e si baciarono sulle guance. Ma la messa in scena non sortì l'effetto sperato. Per ognuno dei due schieramenti, il generale nemico aveva dato il bacio di Giuda, indicando ai suoi soldati chi doveva essere tradito e sacrificato.
L'odio si stava diffondendo come la rogna, e nessuno, nemmeno i grandi generali, nemmeno Cristo risorto, avrebbe potuto mutare il corso degli avvenimenti. In una notte senza luna e senza Dio, gli uomini che avevano conosciuto Malesov attaccarono quelli che avevano sognato Skalik al grido di "Morte ai traditori! Morte ai Giuda venduti!" e iniziarono una lotta sanguinosa, che la sorpresa faceva pensare sarebbe diventata un massacro se non fosse stato per il sonno leggero dei nemici e per la loro capacità di una pronta reazione, incendiata dal desiderio di ritornare nel Paradiso.
In quei momenti non so dire se mi mancò il coraggio o la capacità di odiare. Magari io semplicemente non ero all'altezza di quel grande esercito, o possiamo pensare in altro modo, dal momento che è lecito sospettare della purezza della fonte da dove fluisce il coraggio degli uomini. Possiamo pensare che, in fondo, il codardo è chi non vuole ferire né essere ferito, e questo si avvicina parecchio alla virtù cristiana, se non addirittura si confonde con essa. Soprattutto, io mi sentivo incapace di lottare, di fronteggiare uomini molto più grandi, rabbiosi e brutali di me, che con il mio corpo magro, la fragilità delle mie ossa, la mia gioventù quasi femminea, potevo solo pensare a salvar la pelle. E fu ciò che feci. Mi nascosi da quella tempesta di muscoli e di ferro che mi circondava. Mi infilai sotto la base di legno di un carro danneggiato, tra le due ruote frontali, e attraverso la fessura tra l'asse spezzato e la base del carro assistei in silenzio, trattenendo il fiato, senza muovere un dito, all'ultimo atto della più grande avventura mai tentata dalla mia razza.
La guerra intestina tra i Taboriti fu breve e cruenta. Per tutta la notte la valle si trasformò in una immensa arena di gladiatori che lottavano corpo a corpo, con armi ufficiali e con altre improvvisate, e verso il mezzogiorno del giorno seguente un terzo degli uomini dei due schieramenti giaceva morto e un altro terzo agonizzava. Tra i corpi abbandonati dalla carneficina c'era quello di Procopio, il Grande, trafitto dalle lance del suo stesso esercito, l'unico nemico che non aveva voluto né saputo combattere.
Zizka, il Guercio, vedendo il suo amico ucciso dalla ribellione dei suoi sottoposti, dopo aver invocato la pace gridando fino all'alba, fu preso dalla disperazione e da quella pazzia che era riuscito ad arginare a Malesov. Si mise a camminare senza meta, inciampando nei cadaveri, tra cui anche quello del mio capitano Gerolamo, che non riconobbe, e con le mani sulla testa, come quelle donne sconvolte che aveva conosciuto, si buttò nel fiume con tutta l'armatura.
I soldati ancora vivi avevano smesso di lottare perché non avevano più forza, anche se c'era ancora odio d'avanzo. Pochi, barcollando, cercavano ancora nemici con la spada in mano, altri svenivano per la stanchezza o si reggevano attoniti le proprie membra ferite. Altri piangevano per i loro capi, per la disgrazia che si era abbattuta su tutti loro, per l'insensatezza di aver fabbricato nemici, essendone mancati a Skalik e a Malesov, nel loro stesso seno. Molti impazzivano e molti si lasciarono dissanguare fino all'ultima goccia.
Così fu solo un pugno di uomini spaventati, esausti e feriti, quello che si riunì al tramonto nel centro della valle, uniti per l'ultima volta, innalzando lo stendardo del Calice e intonando il "Noi che siamo i soldati di Dio..." E ciò che ha unito quel pugno di eretici, che fino a poche ore prima si battevano mortalmente gli uni contro gli altri, e ciò che li ha svuotati dell'odio e li ha fatti ritornare ai loro principi, oltre le visione di Inferno e Paradiso, fu un'altra magnifica visione, il cui ricordo ancora oggi mi dà le vertigini: davanti a noi, in cima alla collina, in una splendida e lucente armatura d'oro e d'argento, alzando una enorme lancia imbandierata con il colore dell'Impero, il barone Altar Paumgartner osservava la sua opera, il frutto della sua strategia e della sua pazienza, e circondato dai suoi nobili cavalieri quel gigante della ragione pratica si preparava a scendere nella valle per liquidare, senza odio né allegria, quel pugno di poveri diavoli che un giorno avevano osato ribellarsi all'ordine mondiale.

 

6