Comunque, a quel punto l'esplosione, il boom si era già consolidato, e per la prima volta non era la musica, l'architettura o il Cinema Novo ad occupare un posto di rilievo tra le arti nei gusti del pubblico e nelle attenzioni della stampa, ma il nuovo veniva proprio da dove non si sarebbe potuto aspettare, dai giovani scrittori in un paese che leggeva - e legge tuttora - poco e male. La grande resistenza a quella cultura di destra che aveva ipnotizzato i ceti medi negli anni precedenti veniva dalle lettere, viste fino ad allora dalla gente come la più conservatrice tra le forme di espressione. E per quattro brevi meravigliosi anni fare lo scrittore in Brasile significava fare il rivoluzionario totale, nel contenuto ma anche nella forma, e capovolgere i concetti dominanti e la gretta cultura piccolo-borghese, che si cullava nell'illusione di un "miracolo economico" allestita dai militari.
Ma prima di raccontare cos'è successo alla fine del quadriennio, vorrei aggiungere ancora alcune cose su quell'età dell'oro.
Tra i riti di cui parlavo, c'era anche quello della lettura e del pubblico dibattito di testi di poesia e di narrativa all'interno delle università; un fenomeno non promosso dai docenti, bensì dagli allievi stessi, tante volte contro lo stesso orientamento repressivo dell'università, e non di rado anche in segreto. Questo forse spiegava in parte la presenza sempre numerosa degli studenti, seduti sul pavimento o in piedi nei corridoi, a sentire noi, gli autori con cui si identificavano, improvvisate e incerte pop star, che presentavamo con voce sempre appassionata i nostri testi inediti o conosciuti. Insieme a Cacaso, per esempio, ho partecipato a dei pomeriggi di lettura alla Pontíficia Universidade Católica, e alla Universidade Federal Fluminense, a Niterói, e poi alla Federal di Rio. E si leggeva anche sotto un grande tendone aperto prima vicino alla spiaggia di Arpoador e poi ai piedi dell'acquedotto di Lapa, il Circo Voador (Circo Volante), con la presenza di centinaia di giovani cariocas. Ma soprattutto nelle piccole librerie alternative della città, in una atmosfera da cave parigina, con tanto di fumo, musica jazz e sguardi complici. Erano la Folhetim, la Muro, la Leonardo da Vinci, la Dazibao, la Pasárgada, e poi la Contexto, la Xanan, la Timbre del barbuto, corpulento e attento Aluísio Leite, che è rimasto nel ricordo come una sorta di libraio-simbolo di quel periodo, anche se in verità si è "alzato in volo" al tramonto di quella splendida giornata.
Ana Cristina Cesar, amica di Cacaso, scoperta da Heloisa, poetessa carioca bionda e bella, reticente nel parlare e nello scrivere, sempre così seria e sensibile, è stata forse "l'uccellino nella miniera" di quel percorso. E forse avvertiva inconsciamente l'esaurimento di un'epoca, la nostra infanzia letteraria dorata, e un giorno smise di parlare, o cominciò a pronunciare ininterrottamente un discorso inconcludente, non ho mai capito bene cos'era accaduto, infine venne ricoverata in un manicomio. Qualche mese dopo ne uscì, apparentemente rasserenata, "guarita", i genitori la riportarono a casa, un appartamento al decimo piano, e aperta la porta, proprio di fronte a loro, prese una rincorsa e si buttò dalla finestra senza dire una sola parola. Aveva poco più di vent'anni, ma fece in tempo a lasciarci la bella ed enigmatica raccolta A Teus Pés (Ai tuoi piedi).
Occorre aggiungere per correttezza intellettuale che quegli anni non furono caratterizzati solo dalle nostre storie, e prima che sia accusato di troppe imprecisioni vorrei aggiungere che non mancavano anche gli scrittori più affermati, ed erano quelli che trascinavano i lettori. In ordine di preferenza all'epoca, João Antonio, José Louzeiro, Wander Piroli, e poi Rubem Fonseca, Clarice Lispector, Lygia Fagundes Telles, Luís Vilela, Ignácio di Loyola Brandão e tre grandi vecchi; Drummond, Jorge Amado e Érico Veríssimo, che in Incidente In Antares faceva risvegliare i morti rimasti insepolti per uno sciopero dei becchini, al fine di compiere quella Rivoluzione che effettivamente cercavamo di avviare nel paese. Ma che nonostante tutti quei libri straordinari non è stata fatta, e probabilmente non lo sarà mai. Sono i limiti della letteratura, limiti che noi allora non conoscevamo, o non volevamo conoscere. E così una letteratura che per un attimo si era creduta onnipotente era stata scavalcata dalle forze della politica, non quella desiderata, ma quella possibile.
L'amnistia per gli esiliati ufficiali della dittatura, nel 1979, e il ritiro delle leggi eccezionali, tra le quali quelle della censura e l'Atto Istituzionale n°5, una specie di Stato di Assedio permanente, rimescolò nuovamente le carte. Gli interventi politici e le proposte dei reduci dall'esilio, i programmi giornalistici della TV, le biografie dei personaggi della storia recente del paese e i talk-show diventarono in breve il discorso egemonico, e a partire dal Verão da Abertura (l'estate dell'apertura politica), a cavallo tra il 1979 e il 1980, la poesia e la narrativa brasiliana vennero brutalmente messe da parte, come un paravento ingombrante e fuori moda, le case editrici chiudevano nuovamente le loro porte a chi non scrivesse direttamente e senza "orpelli di stile" sulla realtà, mentre anche sulla stampa, fino a quel momento così attenta, cadeva un pesante sipario di silenzio.
Mentre scrivo queste righe sono già passati quasi trent'anni e da quell'imprevista tenebra la letteratura brasiliana non si è mai più ripresa. È diventata da allora come una nicchia, coltivata da pochi, ininfluente dal punto di vista sociale e culturale, ignorata o derisa da quella stessa stampa che alla nascita l'aveva incensata. Dopo i libri biografici, passò la moda dei libri di self-help e di esoterismo fasullo, di magia, oppure arrivò il turno dei testi scritti dai comici e dai personaggi di successo televisivo: collane di barzellette e di pettegolezzi occupano ancora oggi lo spazio lasciato vuoto negli scaffali. Praticamente nessuna delle opere di quel periodo magico è stata ristampata, e oggi è solo possibile trovarne, forse e con un po' di fortuna, qualche copia ingiallita e spiegazzata nei sebos, gli antiquari di libri usati.
E agli autori cos'è successo? Tanti, ma proprio tanti di quei giovani sono morti prematuramente, suicidi, di AIDS, di pazzia, di overdose, di delusione: Caio, Ana Cristina, Cacaso, Torquato, Leminski... Altri lasciarono il paese in un esilio anonimo, non-ufficiale, senza il prestigio e il riconoscimento dei nobilitati esili di allora: Sergio Kokis, Teresa Albues, io stesso. Altri sono rimasti, ad invecchiare dietro alla scrivania di un giornale o di un ufficio, e a questi ultimi non piace nemmeno la semplice menzione di quell'avventura, come se fossero sopravvissuti a un naufragio o a un olocausto (ma in verità sono tanti i modi di vivere interiormente un naufragio o un olocausto...).
Pochi invece hanno continuato a scrivere, a inseguire la chimera di una carriera letteraria, a perseguire un miraggio. Quel che resta è il fatto di aver comunque vissuto per un attimo l'idillio con la Storia. E anche questo non è cosa da poco.
Ma fermiamoci qua. Non possiamo concederci il lusso di bruciare, nel consolarci, l'energia del cambiamento. E ce ne vuole poi cosí tanta...
Alla fine mi è rimasta impressa un'immagine, quella di un giovane sconosciuto, seduto qualche sedia davanti alla mia nel traghetto che da Niterói ci portava a Rio de Janeiro attraverso la baia, mentre all'improvviso estrae dalla sua borsa a tracolla un libro, il mio primo libro, Torpalium, e si mette a leggerlo ignaro del fatto che l'autore sedeva alle sue spalle. Era il 1977. La palpitazione generata in me da quella visione la sento ancora oggi solo al ricordo: l'epifania, la visione di un miracolo, quello sdoppiarsi in un altro essere fatto di carta e inchiostro, fatto di parole e di idee, fatto di noi stessi, insomma. Sono immagini che oggi mi ridanno energia, invece di sottrarmela.
E se pure non fossero in grado di farlo, avrei comunque dentro di me ancora una riserva di quei baci languidi al profumo di lavanda... e bastano quelli per continuare a vivere.

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