Limbo di omertà

- Introduzione al romanzo Brasile d'inferno, di Aldo Ricci -



Marco Travaglio



Diciotto anni fa Aldo Ricci ha perso un amico. Non era soltanto amico suo. Era amico di tanti. Ma tanti, troppi, si sono dimenticati di lui. Si chiamava Mauro Rostagno, era stato tra i fondatori di Lotta Continua. Negli ultimi tempi lavorava a Trapani, dava una mano alla comunità antidroga "Saman" ma soprattutto animava una battagliera tv locale antimafia, Rtc. Fu assassinato la sera del 26 settembre 1988. mentre rientrava in comunità. Si pensò a un'esecuzione mafiosa. ma nessun pentito di Cosa Nostra ha mai parlato del suo omicidio né sentito parlare di lui. Si puntò allora alla pista "interna" a Saman, con arresti clamorosi fra le persone più vicine a Mauro, compresa la moglie Chicca Roveri, e un avviso di garanzia al guru miliardario e craxiano della comunità, il fantasmagorico Francesco Cardella, ma furono poi tutti scagionati. Si ripiegò su una matrice "mista", metà mafiosa metà legata al traffico d'armi e rifiuti tossici con la Somalia, lo stesso che probabilmente ha stritolato Ilaria Alpi e Miran Hrovatin e che pare avesse a Trapani una della sue centrali su cui stava lavorando Rostagno. Ma alla fine i giudici di Palermo han dovuto per ora arrendersi e archiviare: troppo scarsi gli elementi per trascinare qualcuno in tribunale.
Due sole persone non vogliono saperne di arrendersi. Una é Carla. la sorella di Mauro. L'altra è Aldo Ricci. strana razza di fiorentino anarchico e inquieto che nella vita ha fatto un po' di tutto. dal sociologo al fotografo, dallo sceneggiatore al romanziere al randagio, soprattutto il randagio, fra l'Italia, il Brasile e gli Stati Uniti. Era strano già nel Sessantotto, quando partecipò alla contestazione studentesca a Trento, facoltà di Sociologia, insieme ai Rostagno, ai Curcio, ai Boato, ma da posizioni liberal. Si erano conosciuti nel 1966, Aldo e Mauro, quarant'anni fa. Ed erano rimasti amici per 32 anni pur senza condividere quasi nulla, senza incrociare quasi per niente le loro vite cosi tumultuose e cosi diverse.
Nel 1988 Ricci è in Brasile, "a fare l'avventuriero" dice lui. È lì che lo raggiunge la notizia della morte violenta di Rostagno. E quella notizia gli cambia la vita. Torna in Italia, vola a Trapani, accetta di prendere il posto di Mauro aria direzione di Rtc con la speranza nemmeno poi tanto nascosta di scoprire chi ha ammazzato il suo amico. Litiga con Cardella e la Roveri e, assistendo alla trasmissione televisiva dei funerali. assiste anche alla sfilata un po' ipocrita di tanti lottatori continui (quelli che lui chiama "gli indefessi") e dei maggiorenti del Psi, da Claudio Martelli in giù, che gli paiono tutti troppo ansiosi di accreditare la pista mafiosa. Allora gli ritorna in mente una frase che gli aveva sussurrato all'orecchio Mauro. quando aveva rotto definitivamente con Lotta continua, nel 1976: "Guarda, Aldo, se questi mi rompono ancora i coglioni, io dico chi ha ammazzato il commissario Calabresi". La collega a una straordinaria coincidenza: pochi giorni prima di morire ammazzato, Rostagno era stato convocato dai giudici di Milano per deporre sui delitto Calabresi, per il quale erano stati da poco arrestati Leonardo Marino. Giorgio Pietrostefani, Ovidio Bompressi e Adriano Sofri. Poi scopri che negli ultimi mesi Mauro era rimasto solo anche a Saman: Ciccio Cardella l'aveva cacciato dal suo alloggio, relegandolo in una dependance ribattezzata profeticamente "il mattatoio". In seguito venne a sapere che anche Renato Curcio, in carcere, aveva condotto una sua indagine sulla morte di Mauro, arrivando ad avvicinare nell'ora d'aria il boss trapanese Mariano Agate, il quale gli aveva giurato che "quella non è cosa nostra, quella cosa vostra è".
Cosí. mettendo insieme tutte le tessere del mosaico, si fece l'idea che Rostagno, da vivo come da morto, era divenuto imbarazzante e incontrollabile per molti, troppi. Compresa la tentacolare lobby lottacontinuista che in questi anni s'è battuta meritoriamente per liberare l'amico Sofri, ma non altrettanto per scoprire la verità su quei colpi di arma da fuoco alle porte di Saman. Una lobby che non dev'essere estranea, come afferma Ricci, all'incredibile ostracismo subito da questo libro nel mondo editoriale italiano.
Cominciò subito a scrivere. Aldo, mentre indagava intorno a quel delitto eccellente e misterioso. Cominciò a scrivere questo "romanzo storico-generazionale-di denuncia", praticamente unico nel suo genere, che racconta una vicenda collettiva iniziata nel '66 e finita bruscamente a Trapani nel 1988. Una vicenda tragica e appassionante, sul crinale fra la cronaca. la fiction e l'intuizione, fra la cronaca e la metafora, che mescola insieme contestazione, droga. criminalità, armi, tangenti, intrighi, traffici e intelligence. Un romanzo intitolato "Il Tonto" (anche se ora è diventato "Brasile d'inferno") perché è proprio con l'aria del tonto che Ricci cominciò a investigare a spese proprie, fingendosi un po' ingenuo, un po' sprovveduto: una sorta di Forrest Gump volontario, per riuscire ad aprire meglio certe porte, valicare certe barriere, addentrarsi in certi ambienti e carpire informazioni scottanti.
Io, essendo giornalista, sono irresistibilmente attratto soprattutto dalle implicazioni politiche che attraversano questo romanzo. Non sono in grado di dire se Ricci abbia ragione o torto, quando seguita a battere la "pista interna" a Saman e addirittura a quel che nel 1988 restava di Lotta Continua a dieci anni dallo scioglimento. Certo alcune coincidenze, molte coincidenze sono davvero inquietanti. E sembrano portare, almeno logicamente, nella direzione che lui (ma anche Carla, la sorella di Mauro) continua a indicare: quella di un delitto molto simile a quelli di Giacomo Matteotti e di John Fitzgerald Kennedy, personaggi che come Rostagno erano diventati scomodi e ingombranti per molti poteri forti, distinti ma in qualche modo in contatto fra loro. Questa convergenza di interessi divergenti è spesso l'humus ideale per un delitto eccellente. Soprattutto in terra di Sicilia dove - come diceva Giovanni Falcone - "prima ti ammazzano con l'isolamento e poi con la lupara". Una volta isolato il bersaglio, trovare un killer, un'arma e un pugno di pallottole a poco prezzo è la cosa più facile del mondo.
L'altro aspetto che mi affascina, sia pure sinistramente, è l'incredibile storia di questo libro maledetto, tante volte giunto alle soglie della pubblicazione fra gli elogi degli editori, e altrettante respinto dal muro di gomma della censura, del non detto, del sussurrato. Onore dunque all'attuale editore, il quale, dopo l'imbarazzante passo indietro di Bollati-Boringhieri e dopo il fallimento del primo editore, Germano di Padova, ha deciso di ripubblicare cinque anni dopo quest'opera così ricca e così proibita. Comunque la si pensi sul caso Rostagno, è un contributo al "vizio della memoria" di cui parla Gherardo Colombo nel suo libro più bello. Ed è anche un fascio di luce puntato sul più clandestino dei cadaveri eccellenti. Là dove non sono arrivate la polizia giudiziaria e la magistratura, perché forse in questo limbo di omertà non ci potevano arrivare, è arrivato Aldo Ricci con l'arma estrema dell'intellettuale. Quella che fece scrivere a Pier Paolo Pasolini, nel 1974, a proposito di Piazza Fontana: "Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi. Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i fatti disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l'arbitrarietà. la follia e il mistero...".






(Brasile d'inferno è stato pubblicato da Robin edizioni, 2006, Roma.)


 

Marco Travaglio



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