Il monaco e il
gaudente
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Brano tratto dal saggio Filosofia del poker -
Fabrizio
Mercantini
Un monaco e un
gaudente viaggiavano per le strade del mondo, ognuno per suo conto e con il proprio
fardello di opinioni e di convinzioni: tutti e due erano persuasi che la loro
strada fosse segnata e credevano di sapere esattamente quello che era bene e quello
che era male: non avevano dubbi nel classificare gli eventi come fortunati o sfortunati. Il
monaco, che mirava alla santità, s'imbatté per caso in una sensuale
ballerina che gli fece perdere la testa e, essendo convinto di vivere nel peccato,
maledisse il fortuito incontro, ritenendolo la maggior sfortuna che gli fosse
mai capitata. Il gaudente, che trascorreva i giorni in mezzo ai piaceri carnali,
s'imbatté per caso nella stessa ballerina e, facendo salti di gioia, definì
quell'incontro come l'evento più fortunato della sua vita. Accadde però
che il monaco, inciampando nel peccato, fu costretto a rinunciare al suo ideale
di santità. Dopo avere gustato le delizie offertegli dalla ballerina, capì
infatti che la sua vocazione non era sincera e, abbandonato il saio, benedisse
quell'incontro, rivelatore di piaceri carnali di cui prima non era a conoscenza,
o di cui comunque aveva deciso di ignorare il richiamo. Il gaudente, invece,
ebbe tutt'altra sorte: fu infatti costretto a rinunciare ai piaceri del sesso
per una inattesa quanto inopportuna impotenza. Così finì per maledire
l'incontro con la ballerina come la più grande sfortuna che gli fosse mai
capitata. La sola presenza della donna lo irritava, perché lo metteva inesorabilmente
di fronte alla sua incapacità di approfittarne, e quindi di fronte al proprio
fallimento. La stessa cosa accade nel poker, dove le nostre certezze si consumano
più rapidamente del tabacco di una sigaretta. Quando mi entra in mano un
full di re, mi ritengo fortunato, certo molto di più che se mi trovassi
in mano una semplice coppia di donne. Tuttavia, quando nel prosieguo della mano
mi vado a scontrare con un full d'assi e lascio sul piatto buona parte delle mie
fiches, maledico quel full di re e penso che sarei stato molto più fortunato
ad avere in mano le due donne, con le quali non avrei partecipato allo scontro
fatale. Tutto quello che accade, nel poker come nella vita, si muove in definitiva
su una linea così sottile, indefinita, che è legittimo porsi questo
dubbio: se la vita è un gioco di cui non si conoscono esattamente le regole,
alla fin fine perché procedere a caso deve essere considerato tanto più
stupido che avere invece mete prefissate?
(Tratto
da Filosofia del poker, Guanda, Parma, 2006.)
Fabrizio Mercantini, laureato in giurisprudenza, è nato a Lucca nel 1948.
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