Gustavo

- Brano tratto dal romanzo Gustavo - Una malattia mentale -

Carlo Bordini



Un giorno Gustavo andò al funerale di un uomo che si era suicidato. Egli era una persona molto umana, ma molto fragile, e quindi molto chiusa. Aveva spiegato molte volte ad alcuni dei suoi colleghi che il suo cervello aveva come una debolezza organica nelle cellule - e che egli era cosciente, pur nella sua debolezza mentale, di tutto ciò che gli succedeva. Il funerale fu molto semplice. Vi furono delle persone che parlarono di lui come uomo di cultura e come uomo di grande sensibilità. Poi il carro funebre scivolò via, non seguito da nessuno. Accanto ai due oratori c'era un uomo con la bandiera abbrunata, e accanto a lui il bidello principale (il morto era un professore universitario). Dietro il gruppo c'era un altro dei principali bidelli, con le braccia incrociate, in atteggiamento di sfida, quasi fosse in servizio d'ordine.
Solo dopo che la macchina col feretro fu scivolata via, senza alcun rumore, e la gente si tirò indietro anche aiutata da qualcuno che la dirigeva dicendole di arretrare, scoppiò in Gustavo come un lampo di comprensione: uno degli uomini di cultura che avevano parlato dell'uomo avevano accennato ad una delle sue opere, in cui il morto aveva descritto il vitalismo degli Stati Uniti giustificando la loro espansione; e Gustavo aveva collegato questo con l'idea che gli americani erano di origine britannica e che i britannici avevano ucciso 29 italiani durante una partita di calcio. Il lampo era ravvivato, come una sottile fiammella, da quell'arretramento, da quello scalpiccio, che dava l'idea della catastrofe, dei corpi che improvvisamente si ammassano gli uni sugli altri e perdono tutto il loro controllo morendo in un macello infame. Gustavo ancora non sapeva che l'uomo si era suicidato: lo seppe dopo. Aveva semplicemente ricevuto una telefonata che il tale, che non conosceva, era morto, e aveva partecipato alla cerimonia come un dovere, come parte del suo lavoro.
Fu solo dopo, quando, appunto, la macchina fu scivolata via, che la gente che non l'aveva seguita (probabilmente per ragioni legali, perché la salma non sarebbe stata tumulata prima di un'autopsia) che la gente, appunto, cominciò a parlare a singoli gruppi. Gustavo si trovò a salutare alcune persone, poi si avvicinò a quello che professionalmente (e umanamente, per una lunga consuetudine comune) era il gruppo a cui egli si sentiva più vicino. Si sentì, o fu, totalmente estraneo. Questa estraneità durava già da tempo, o meglio, era sempre stata parte di un suo naturale modo di defilarsi, non privo di un certo timido atteggiamento affettivo, accettato come normale da tutti. In questo caso, però, esso divenne eclatante, palpabile, proprio perché la situazione era dominata da una grande emotività. Un signore, un tempo molto caro a Gustavo, parlava accorato, e veniva avvicinato dalla gente, cercando di capire perché non si era potuto salvare quella persona standole vicina, e aiutandola. Gustavo trovava questo discorso noioso. I sensi di colpa verso i suicidi gli davano molto fastidio. Avrebbe preferito un dolore violento, a quel velo che ricopriva tutto, che cercava di giustificare, e, in definitiva, di riportare tutto a una norma in cui il suicida costituiva l'eccezione. Gli venne in mente, chissà perché, la frase: "non si poteva scappare zoppicando". Cominciò ad essere solidale col suicida, a considerarlo l'unica persona saggia, tra quella massa che sommessamente si agitava e cercava di espellerne lo spirito...

Gustavo, comunque, era obbligato a restare in mezzo a loro - più tardi trovò degli amici e andarono insieme al bar, parlando di questioni sindacali - e in quel momento non trovò altro modo, per non essere sommerso, che assumere verso gli altri e dentro di sé un isolamento perfetto. Era del tutto cosciente del fatto che il suo sguardo, dietro gli occhiali scuri, era perso nel vuoto. Sentiva le voci degli altri come un indistinto mormorio. Faceva caldo, ma non troppo. E allora provò una sensazione come quella che si prova al mare quando si è sulla spiaggia, e si è intontiti dal caldo, e si sentono le voci, e i rumori, intorno a noi, come ovattati; e questa sensazione gli piacque talmente, forse, anche, perché era nuovamente solo, che egli non poté fare a meno di continuare a farla vivere arricchendola con la fantasia e trasformandola in una situazione reale, in un'altra vita un po' sofferente ma morbida in cui rifugiarsi, che non serviva soltanto a sottrarsi all'obbligo di una discussione che verteva sull'interrogativo se un suicida potesse o no essere salvato, ma diventava una sorta di difesa amebica, una situazione di generale obnubilamento dei sensi. Situazione che egli cercò di proiettare intorno a sé, creandole intorno una zona all'interno della quale egli potesse esistere non come persona ma come personaggio; il pretesto era quello di trasformare questo stato d'animo in una situazione letteraria; ma la realtà era il profondo desiderio di trasferirsi in questa nebulosa zona, ed esistervi dentro con mutate e nuove caratteristiche. Per cui Gustavo cominciò a fantasticare su quelle che avrebbero potuto essere le caratteristiche, e le implicazioni, di questo essere creato da se stesso; e la cosa lo assorbì creandogli un piacevole diversivo. Egli immagina che quest'uomo, sdraiato sulla spiaggia, con un'eventuale moglie nei pressi (vicino) e attorniato da una serie di persone che sono amici o conoscenti, che senta e che veda in modo molto confuso colori, rumori, soffocati dal caldo, sia innanzitutto una persona che ha bisogno di aiuto. Egli comprende nebulosamente che questa situazione passiva, sostanzialmente indifesa, lo espone ad un pericolo. Ma per ora sa solo che il suo problema non è né andarsene, né difendersi. Egli è ritornato a uno stadio infantile, è mezzo sordo, mezzo cieco, almeno temporaneamente, e ha bisogno di non essere lasciato solo. Ha bisogno, ad esempio, se entra in un bar, che qualcuno a cui egli sussurra "vorrei un caffè", lo ordini a voce alta al cameriere. L'uomo sulla spiaggia inoltre preferisce che non gli si chieda nulla. Non ha voglia di andarsene. Non immagina che dovrà fuggire. La sensazione è che stando al mare, con gli occhi socchiusi, sta compiendo un atto di coraggio senza pari.

Ma allora, pensa Gustavo, come conciliare lo stato semicomatoso in cui si trova la ragione di quest'uomo, con la certezza che, almeno in linea teorica, la felicità è a un passo?
L'uomo, infine, che sta sulla spiaggia - Gustavo immagina una spiaggia deserta, con sole cinque persone, un gruppo, di cui l'uomo fa parte - potrebbe avere un guizzo di lucidità accorgendosi che la sua posizione è semplicemente quella di una persona che ha paura. Potrebbe chiedersi da quanto tempo, da quanti anni, sia in questo stato. Potrebbe ricordare come un tempo una situazione di sacrificio costituisse una sorta di guaina collosa, che lo circondava e contro cui si spuntavano le frecce lanciate dalla vita. Il guizzo di lucidità gli permetterebbe di ricordare di aver scelto questa situazione di angoscia volontariamente, per vincere la situazione priva di sbocchi dell'annullamento di sé.



( Tratto da Gustavo - Una malattia mentale, Avagliano editore, Roma, 2006.)


Carlo Bordini, romano, ha pubblicato Poesie leggere (1981), Strategia (1981), Manuale di autodistruzione (1998), Polvere (1999), Pezzi di ricambio (2003) e Pericolo (2004). Ha curato con Antonio Veneziani Dal fondo. La poesia dei marginali (1978). Le sua opere sono tradotte in francese. Collabora con "L'Unità" e con "Poesia".



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