IL CORPO
( – due
brani del romanzo – )
Hanif
Kureishi
(...)
Due giovani donne si erano fermate poco distante da noi,
non tanto vicino da poterci ascoltare, ma abbastanza da poterci
osservare, e si voltavano di quando in quando a lanciare
sguardi e risatine nella nostra direzione. Sapevo che la
faccia dietro la quale parlavo non era per loro di alcuna
attrattiva.
Lui si sporse verso di me: “È tempo che mi spieghi.
Diciamo... una volta c’era un uomo, non la prima persona
al mondo, che sentiva di essere come Amleto. Confuso, pazzo
e in preda al caos mentale come lui, e come lui rovinato
dai genitori. Tuttavia, fece in modo di restare saldo e conobbe
il successo. Intendo dire che guadagnò soldi, facendo
qualcosa di necessario, ma stupido. Fabbricando rotoli di
carta igienica, o producendo un nuovo tipo di zuppa in scatola.
Si sposò e crebbe i suoi figli.
Divenuto un uomo di mezz’età, si sentì in
grado finalmente, come a volte succede, di innamorarsi. Nel
suo caso, di innamorarsi del teatro. Comprò un appartamento
nel West End, in modo da poter arrivare a piedi a teatro
ogni sera. Fece questo per anni ma, sebbene amasse quel mondo
dorato, le poltrone eleganti, i gelati, le discussioni dopo
lo spettacolo in ristoranti costosi, tutto questo non lo
soddisfaceva. Aveva cominciato a capire che voleva essere
un attore, starsene elettrizzato di fronte a una grande folla
ogni sera. Come avrebbe potuto soddisfarlo qualsiasi altra
cosa?
“
Ma era troppo vecchio. Non poteva certo frequentare una scuola
di recitazione senza sentirsi ridicolo. Era destinato a essere
una di quelle sfortunate persone che capiscono troppo tardi
ciò che volevano fare. Dopo tutto, una vocazione è la
spina dorsale di una vita.
“
Nello stesso tempo,” continuò, “stava
accadendo qualcosa di terribile. Sua moglie, di cui era stato
innamorato, soffriva di una malattia degenerativa che le
distruggeva il corpo, ma lasciava la sua mente intatta. Era,
come lei stessa si descriveva, una conducente perfettamente
sana in un’automobile che non rispondeva ai comandi,
che stava cadendo a pezzi e che avrebbe fatto un incidente,
uccidendola. Lei sosteneva che tutto ciò di cui aveva
bisogno era un corpo nuovo. Provarono molte terapie in diversi
paesi, ma alla fine tutto ciò che lei desiderava era
morire. Di fatto, chiese a suo marito di toglierle la vita.
Lui non lo fece, ma stava prendendo l’ipotesi in considerazione,
quando lei gli risparmiò il problema.”
“
Mi dispiace,” dissi io.
“
Di questi tempi, morire può essere un incubo. La gente
continua ad andarsene in giro per anni, quando da tempo non
ha più niente di cui parlare."
Riprese il racconto: “L’uomo, che aveva badato
alla moglie per dieci anni, si ritirò e partì per
un viaggio allo scopo di rimettersi in sesto. Comunque sentiva
di non avere molto da vivere. Era esausto, vecchio e impotente.
Anche lui stava preparando per la morte.
“
Un giorno, in Sud America, dove lui conosceva altre persone
benestanti, ma in un certo senso tristi, ascoltò una
storia fantastica da un giovane di cui si fidava, un dottore
che, come lui, si interessava di teatro e di cultura. Insieme,
pensi un po’, avevano messo su una produzione amatoriale
di Finale di partita. Questo dottore fu commosso dal desiderio
del vecchio di ottenere una cosa tanto impossibile. Si confidò con
lui, dicendogli che stava succedendo una cosa stupefacente.
Alcuni uomini e alcune donne, vecchi e ricchi, si stavano
facendo rimuovere il cervello per trapiantarlo nei corpi
dei ragazzi morti.” (...)
(...)
In questa strana condizione, pensavo a come i neonati stiano
vicini alla pelle delle madri praticamente tutto il tempo.
Un corpo è il primo campo giochi di un bambino e le
sue prime sensazioni sono sensuali. Non ci vuole molto perché un
bambino capisca che si possono prendere cose dai corpi degli
altri: latte, baci, biberon, carezze, schiaffi. Le mani sono
utili per questo, come lo sono per esplorare i numerosi buchi
che hanno i corpi, dai quali colano diverse sostanze, che possono
piacere o no: sudore, merda, sperma, pus, respiro, sangue,
parole. E in questi stessi buchi puoi infilare delle cose,
se ti va.
Mia madre, una bibliotecaria, era grassa e non riusciva a camminare
a lungo. Il movimento la disturbava. I suoi vestiti erano voluminosi.
Non scese mai a patti con le diete, tranne una volta, quando
decise che avrebbe affrontata una da digiuno completo. Saltò la
colazione. Prima dell’ora di pranzo le vennero mal di testa
e vertigini; stava morendo di fame e mangiò un pasticcino
alla panna per tirarsi su.
Mia madre era sempre affamata, ma credo che non sapesse per quale
motivo. Quando le chiesi perché consumasse così tante
schifezze, mi rispose: “Non si può mai sapere se
mangerai di nuovo.” A qualcuno la vita deve sembrare così,
una continua carestia, e tutto quello che rimane da fare è consumare
tutto quello che si può, anche se non riesce mai a soddisfarti.
Mia madre non mi lasciava mai vedere il suo corpo o dormire accanto
a lei; non le piaceva toccarmi. Non voleva le mani di nessuno
addosso, diceva che “non era necessario”. Forse si
lasciò ingrassare così tanto per scoraggiare qualsiasi
tentazione.
Quando cresci, ti viene spiegato che non puoi toccare chi ti
pare, né gli altri possono toccarti come pare a loro.
Anche se i genitori incoraggiano i figli a essere generosi, solitamente
non estendono questa generosità all’utilizzo dei
propri genitali o a quelli dei loro partner. A volte non ti viene
neanche permesso di toccare delle parti del tuo stesso corpo,
come se quasi non ti appartenessero. Ci sono delle sensazioni
che al tuo corpo è vietato produrre, sensazioni che ai
più grandi non piace che gli altri, di qualunque età siano,
abbiano. Ci consideriamo liberali; sono gli altri che hanno ai
nostri occhi dei costumi inspiegabili. Eppure l’etichetta,
quando si tratta di toccare corpi, è molto severa.
Ogni corpo è diverso, ma sono tutti identici nella loro
incontrollabilità: i corpi compiono molte azioni non dipendenti
dalla volontà, come piangere, starnutire, urinare, crescere
o eccitarsi sessualmente. Se impara presto che i corpi possono
essere attratti o respinti dagli altri corpi, anche – o
specialmente – quando non vogliono.
Io sono cresciuto dopo le grandi guerre europee, giocando ai
soldatini nella fattoria di mio padre. La mia mente era occupata
da immagini di milioni di corpi maschili eretti, in identici
vestiti e identiche posizioni. Il mondo che creavano questi uomini
era fatto di confusione e disordine, ma almeno, come diceva mio
padre, erano “ben equipaggiati” per questo. A scuola
ogni maestro sembrava soffrire di una infermità specifica – un
orecchio mancante, una gamba, o un testicolo, o qualche ferita
di guerra – che ci affascinava. Nessuno di noi credeva
davvero che avremmo finito per avere un solo pezzo dove invece
dovevamo averne due, ma non potevamo fare a meno di pensarci
in continuazione. C’era un grande equivoco nell’istruzione:
gli insegnanti erano interessati alle menti, noi ai corpi. Ed
erano i corpi che volevo quando diventai grande. (...)
(Brani
tratti dal romanzo Il corpo, Bompiani, Milano, 2003,
traduzione di Ivan Cotroneo)
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