"Ogni
nuova storia che si racconta, in un libro, in un film, o sul palcoscenico si innesta
misteriosamente nell'essenza stessa di chi la legge e passa a costituirne l'essere, una
parte di noi, indistinguibile dal resto della nostra identità." JMM
DESPERADA
Mentre cercavo di
sistemare un po il salotto, che Silvia come al solito aveva lasciato sottosopra,
vidi vicino a me una sorta di luminescenza giallastra, un alone quasi totalmente
trasparente che si muoveva nellaria, dalla porta verso il centro della stanza. Mi
resi conto che in salotto non ero solo. Spenta la lampada, vidi distintamente mia madre
che cercava di entrare inosservata nellappartamento. Non era altro che una
luminescenza gialla, molto tenue, come una vecchia macchia di ruggine su un tessuto scuro,
ma adesso, al buio, la sua immagine, che brillava leggermente, era molto più nitida di
prima. Aveva indosso la stessa vestaglia di seta color pesca con cui lavevo vista
tante volte alzarsi in piena notte per andare in bagno o in cucina a prendere le gocce.
Ora, con quel volto inespressivo, mi sembrava timida, timorosa, e quando capì che
lavevo sorpresa mentre cercava di entrare di nascosto si fermò e rimase immobile,
con lo sguardo fisso sul pavimento, come se stesse aspettando la mia reazione.
Non puoi entrare qui, lo sai le dico. Torna indietro. Subito!
Con la medesima espressione di prima, lei si girò e lentamente si diresse verso la porta
del salotto, sparendo di nuovo nel suo mondo. Mentre la vedo uscire, mi riempio di ansia
ma anche di fierezza, per la calma e la freddezza razionale con cui ho difeso il mio
spazio.
La tensione durante quellincontro sorprendente, la palpitazione causata dal bisogno
di una forte disciplina, mi sveglia. O forse no. Forse sono quei rumori osceni che
provengono dal bagno, dove Silvia si sforza di vomitare, e poiché non esce più niente,
il suo esofago ha delle contrazioni rumorose, come se stesse cercando di espellere conigli
vivi o di rivoltarsi in un colpo solo. Il gin è un veleno, qualcuno avrebbe dovuto
dirglielo, no?
Può darsi pure che la causa dellincubo, dellinsofferenza ai conati,
dellinsonnia improvvisa, sia tutta nella mia testa. I miei nervi sono ancora
stravolti da quei cinque o sei sonniferi che ho dovuto prendere la settimana scorsa: senza
non ce lavrei fatta ad andare a lavorare tutti i giorni alle otto in punto. Sono i
nervi. I nervi somigliano ai pianoforti a coda, da concerto: se ci suoni unaltra
musica, diciamo rock, o jazz, perdono la giusta intonazione e le corde vanno per conto
loro. I nervi sono tesi e capricciosi come quelle corde. E dopo, per rimetterli a posto di
nuovo è un caos...
Mi sembra di vedere ancora quella nebbia rugginosa che mi gira attorno, ma preferisco far
finta di niente. Fuori è ancora buio. Ho solo tre, al massimo quattro ore di sonno. Sono
poche. Fra qualche minuto Silvia farà svenire sul nostro letto il "Personaggio
Cattivo", e quando si sveglierà sarà di nuovo il "Personaggio Buono".
Sono due donne, ma solo una è sposata con me, quella buona. Laltra non può
sposarsi con nessuno, è unanima torturata, una "desperada", come nei
vecchi film western quei banditi messicani un po pazzi e scapigliati che avevano un
coraggio sovrumano, perché non avevano più niente da perdere eccetto la loro vita, che
ormai non valeva quasi nulla.
Tutte le sere, verso le dieci o le undici, qualcosa di brutto, di tetro, si scatena dentro
di lei, e in un istante le porta via il sorriso, la dolcezza, lequilibrio, persino
la lucidità, e Silvia comincia a sudare, talvolta a sudare freddo, come presa da un
calore perverso, e a camminare come una tigre in gabbia; alla fine si mette qualcosa
indosso, prende la borsa ed esce. Anche quando è senza una lira, esce lo stesso. E
lho vista uscire anche senza borsa. E con la neve. E senza ombrello sotto una
pioggia torrenziale, incorniciata da fulmini. Sempre senza dire una parola. E sempre senza
guardare dietro. Senza guardarmi mai negli occhi. Senza dare mai una spiegazione.
Dopo quattro anni di vita insieme non so ancora dire se mia moglie sia alcolizzata,
drogata o semplicemente succube di istinti perversi. Che sia una vampira, come nei film
della Hammer?... Di sicuro è una che ha subito un trauma, un trauma potentissimo,
micidiale, qualcosa che ha visto o vissuto così tante volte da far sembrare la vita
stessa un "tra parentesi", perso in unaltra pagina di quello stesso libro.
Il trauma, invece, è il testo che deve essere letto e riletto. Ma non mi ha mai parlato
di cosè successo, e io non le ho mai chiesto di farlo. Capivo che quello era il suo
"inesprimibile" turbamento e che nessun idioma sarebbe stato alla portata di
quegli eventi. Una parte di lei era stata persa, cancellata, prima di conoscermi. E io mi
sono accontentato di ciò che di lei era sopravvissuto alla sciagura, ossia del
"Personaggio Buono" che quella donna dimezzata aveva ancora da offrirmi. Fino
alle dieci o alle undici di sera.
Cè stato un tempo, forse quando si sono sposati i miei nonni, in cui i fidanzati
quasi sempre si conoscevano già da qualche anno, e della vita passata dellaltro
sapevano persino i dettagli, si osservavano da quando erano adolescenti, o addirittura
bambini. Ma adesso tutto è cambiato, e oggigiorno siamo tutti dei nomadi, anime sradicate
che si inventano un passato verosimile, o almeno soddisfacente, e poi sincontrano
per strada, o negli aeroporti, ai corsi di aggiornamento o a quelli di meditazione, o che
ne so, in un punto qualsiasi del ciclo biologico, a ventotto, quarantadue,
sessantanni, e durante questi incontri fortuiti, perché non ce ne sono
daltro tipo devono essere sempre preparati, sempre giovani, o ringiovaniti,
con qualche progetto carino, con qualche frase che serve a stirare il futuro, ma anche da
vibrante sipario per nascondere un passato quasi sempre fatto di grandi sconfitte,
rivelate a poco a poco attraverso una sequenza di piccole delusioni, e uno ringrazia Dio e
la Madonna e tutti i santi per aver permesso quellincontro felice che poteva
benissimo non esserci stato, e va tutto bene così comè, e non si vuole sapere più
del minimo indispensabile per non imbrattare quella fortuna; soltanto lo stretto
necessario per usare lo stesso bagno e la stessa cucina. È questo il momento in cui un
profondo egoismo crea una disponibilità danimo così assoluta e incondizionata da
sembrare pura generosità. E dopo? Eh... dopo viene losservazione attenta, la
scoperta che laltro è come un indigeno con cui non serve scambiare parole, ma
pentole con frecce, badili con piumaggi, in un gioco di baratto quotidiano che prima che
uno se ne accorga diventa una specie di "pratica amministrativa" del matrimonio.
E così è stato tra me e Silvia. Lei esce, ed io non so proprio chi le paghi da bere, chi
la porti in giro; provo a leggere un po, mi preparo una tisana, qualche volta arriva
a casa con addosso una puzza di fumo, e un sudore acre già asciutto nei vestiti, che
fanno pensare che sia andata a bere con i barboni; provo ad ascoltare un po di
musica fino a che il sonno mi vince in quello che gradualmente diventa il miglior momento
di tutta la giornata, in cui i sogni arrivano ed entrando allontanano i pensieri brutti.
Stasera la sbronza è stata troppo dura. È ancora in bagno. Si lava il viso lentamente
con lacqua fredda. La vedo chiaramente, anche se non la posso vedere. Ne vedo tutti
i dettagli, anche le labbra un po gonfie e le piccole vene rosse nel bianco degli
occhi. Oh Dio, come amo questa donna! E come la capisco bene!
Quando Silvia esce, tutte le sere, porta con sé la parte cattiva di me che le chiede un
passaggio, che la accompagna. Poi lei scarica in un posto qualsiasi quel mio livore, nello
stesso modo in cui io, tutte le mattine, scarico il sacchetto della spazzatura nel
cassonetto allangolo della strada.
Dio non voglia che le succeda qualcosa di male. Non resisterei. Vedo che il suo angelo
custode è stufo di guardare quel filmaccio a luci rosse con un telecomando scarico tra le
dita... Non voglio nemmeno persarci: temo che un giorno le giri le spalle e
labbandoni. Oppure che lei trovi qualcuno più cattivo, o più "desperado"
di lei. O che prenda una polmonite... Accidenti, sono tanti i pericoli della vita...
Silvia, vieni... Ho bisogno di te. Sdraiati qui vicino a me. Voglio sentirti ansimare e
gemere nei tuoi sogni agitati, come fai tutte le notti. Vieni. Questo è il tuo focolare,
il tuo riparo, e almeno su questo letto io faccio le veci dellangelo custode, va
bene?
Silvia... Ti ho aspettato tanto, così tanto che avendo perso il cuore prima di trovarti,
ho imparato ad amarti con le arterie.
Lucca, settembre 1997
Julio Monteiro Martins
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