UNA PARTICOLARE FORMA DI DISTRAZIONE
Ermanno Guantini
E
all'improvviso può anche accadere di ritrovarsi a
riflettere contro uno sfondo di terre schiaffeggiate
dal vento, tra luci forti e cieli bassi [
]
Chiara Berlinzani, Ghiacci
[
i ]
La cosa più difficile sarebbe stata guardarla nuovamente
negli occhi, sette mesi dopo, senza rischiare di essere frainteso.
Avrebbe suonato il campanello a lungo, Emanuele. Poi, lei gli
avrebbe aperto, e lo avrebbe osservato interdetta. Lo spicchio
d'ombra della porta si sarebbe fermato, sulle loro occhiate nude.
Le labbra sospese.
Non lo avrebbe capito. No. Lo avrebbe creduto incapace di gestire
finalmente la propria vita, da solo. Avrebbe pensato a un pentimento.
Certo.
Invece lui non si pentiva di nulla.
Neanche adesso, mentre guidava, dubbioso, verso di lei. Non si
pentiva, Emanuele, dei pugni contro le sbarre di quel rapporto
viziato. Non si pentiva delle proprie leggerezze, delle fughe
dalla monotonia e dai riti. Tanto meno dell'ultima.
L'ultima, durata sette mesi.
Trainato dalla meticolosità di Marina, si era appiattito
sulle griglie in cui lei aveva chiuso le loro stesse esistenze.
Lei aveva occupato ogni spazio comune, definendo ogni dettaglio.
Fino alla decisione di non dormire più nello stesso letto.
Lei:
Per un po', Ema. Per un po'.
Già. Come se una concessione alla provvisorietà
avesse potuto riparare il coccio dei loro destini in movimento.
Non si era pentito, quel giorno, dell'addio; se n'era andato,
stanco di incomprensioni. Di fughe. Le aveva detto che c'era riuscita,
a chiuderlo in una gabbia di sicurezze fittizie, (di passi a vuoto).
Lo aveva spento. Le rinfacciava:
Brava. Mi hai fregato gli anni migliori.
- Non sono cose da dirsi, queste - aveva pensato, un istante prima
di ferirla. Ma le aveva dette ugualmente. L'aveva insultata, affilato;
ma anche distratto, dal tono estraneo della propria voce.
[...]
Non si pentiva, adesso, di volerla rivedere. Guidava lungo l'Aurelia,
ostentando sicurezza. Lei avrebbe riaperto. Lo sentiva. Ma era
stranamente inquieto; aveva trascorso la notte sul divano, con
il ventilatore acceso. L'ombra della lampada a stelo sulla parete,
il frinire di cicale che sembravano schiantarsi di felicità.
Dalla finestra aveva visto i campi di grano respirare nella notte
odorosa.
Ritornare?
[
ii ]
Dopo l'addio, si era rifugiato nell'appartamento al paese dei
genitori, in una zona rurale dell'entroterra livornese, di capannoni
e stormi di gabbiani sui crinali di spazzatura industriale; al
limite delle campagne. Lontano.
Un tempo, quando Livorno fu porto franco, quella zona di macchia
era stata un luogo dove rifugiarsi, per evitare i Bagni delle
Galere: si sfuggiva alla legge, laggiù, in attesa che la
giustizia scordasse, e i destini fatalmente, si ritrovassero.
Ma il suo tempo alla macchia era finito?
Incalzato da quei pensieri, aveva pensato a come tornare. I ricordi,
rapidi, dei loro istanti lo ferivano. Lo rendevano felice. I ricordi.
Immaginava di distendersi ancora sulla scogliera piatta, a strapiombo
sul mare. Le grida attutite dei bambini, gli sguardi. La pietra.
Il libeccio. I flutti, assieme a lei, al suo corpo.
Dormire a strattoni, nel pomeriggio largo.
[...]
I primi tempi della loro convivenza erano stati di una provvisorietà
assoluta.
Marina studiava alle Belle Arti, ed ogni occasione era buona,
per scendere le scale del moletto e distendersi a sfidare l'escandescenza
di acqua e sale. Lui lavoricchiava già al giornale, ma
i pomeriggi li trascorreva con lei, dissertando di politica e
di cronaca locale con la saccenza spedita dei giovani. La prendeva
in giro, per quel suo infervorarsi, quel suo voler prendere sempre
posizione, a scapito di tutto.
Per lui erano invece solo onde distratte. Raramente era stato
capace di concentrarsi a lungo sulle cose, Emanuele: c'era sempre
qualcos'altro, prima o poi, a reclamare la sua attenzione: un
pensiero obliquo, un tremito della voce. Una folata di vento.
La sua minima cerchia di amici aveva accettato da tempo quella
sua certa levità, quel suo non soffermarsi sulle cose,
se non per un istante.
- Non è indifferenza, - lo giustificavano - solo una particolare
forma di distrazione.
Ancora più pericolosa, forse. Quel suo sguardo di malinconia,
fisso sotto le linee delle cose, ne velava i pensieri: spesso,
gli erano sfuggiti particolari importanti.
Coincidenze.
Erano passati sette anni, da quando l'aveva conosciuta. Sette
anni e sette mesi. E sette mesi addietro, non era riuscito a vedere
oltre la concretezza ripida di Marina.
[
iii ]
Il problema, adesso, era come. Come rifarsi vivo dopo le parole
definitive dell'ultimo incontro. Si erano lasciati, come si lasciano
gli amanti. (Ma forse lei, per un tratto lo aveva seguito:
ne era certo, per un tratto lo aveva seguito. E lui non si era,
naturalmente, voltato).
Come ritornare?
Candido, con la consapevolezza di non ritrovare la comoda disposizione
degli oggetti, dei contrasti, che aveva lasciato. Il tempo, che
aveva vissuto allora, non era più. Forse, non era mai stato,
come cercava malamente di ricordarlo.
Come ritrovarsi,dunque?
Chiedeva, Emanuele, mentre guidava nel mattino ferito dalla luce.
Lo sguardo era accigliato, d'una foschia cagnesca. La bocca, serrata.
La barba rada. Il giorno si andava a scandire: lui guidava, lungo
l' Aurelia, in cerca di risposte. Fuori, la città si risvegliava.
Gli automobilisti esibivano sguardi di vetro. Era una mattina
come le altre, in fondo, ma il suo torpore appariva quel giorno
ancora più avulso del solito. Forse, quella follia lieve,
così adatta al lavoro di cronista, gli aveva permesso,
nel tempo, di resistere alla ripetizione dei giorni.
Tornare da lei?
[
]
Strano a dirsi.
Prima c'era stato il breve spaesamento dell'addio. Ovvio. Ma subito
aveva ripreso quei ritmi e quelle abitudini, tanto rinfacciati
alla sua donna. Con nuovo furore. E presto era riemersa quell'irrequietezza
che lo aveva costretto a lasciare Marina. Si era ripresentata
la griglia degli orari e delle cadenze quotidiane, un tempo condivise
con lei. Ora insensate. Era fuggito ancora - lanciato a capofitto
nel lavoro.
Forse oggi, proteso in quell'ansia di riconquista, avrebbe potuto
farle intendere le sue nuove intenzioni. Se lo avesse visto mentre
guidava nell'Aurelia estiva, le sarebbe apparso meno incomprensibile.
Ma, ora, quella sua brama di equilibrio, non era, poi, una forma
di egoismo?
Sul volante, le mani gli sembravano adesso irregolari. Le vene,
sotto la peluria rada, tracciavano una filigrana, nel sole del
primo mattino: una mappa bluastra e tesa. Oggi, in quel suo leggero
incassamento del collo, si sarebbe potuto leggere un presagio
di vecchiezza. Emanuele lanciò un'occhiata nel retrovisore,
e sorrise.
Lasciò per un attimo il volante, con la sinistra e incrociò
le dita, in un gesto rivolto a se stesso. Scaramantico.
[
iv ]
Egoista?
- Sei un bell'egoista ad andartene così - avevano salmodiato
gli amici, allora, mentre Emanuele si sforzava di sottrarsi ai
loro sguardi indagatori. Aveva evitato ogni confronto, sulle ragioni
di quell'implosione; si era nascosto nel suo riserbo. Ai suoi
silenzi comodi, loro avevano offerto pose di garbata accondiscendenza.
Ma, di nascosto, commentavano aspri, con ferocia di donne:
È caduto nell'inganno di una scelta. Ma ritornerà
presto.
[...]
Presto. Sette mesi. Attraversati malamente, in pietosa anestesia.
Una simulazione di equilibrio, frantumatasi di colpo.
Era successo quella notte. Sì. Il ronzio del ventilatore,
l'ombra sul muro, l'odore del grano. Il frinìo asfissiante
delle cicale.
L'alba adesso maturava. Le mani affusolate, rischiarate dalla
luce radente, puntavano la strada. Maggio sorgeva sulle colline
livornesi, evocando l'estate incipiente. Emanuele guidava sui
tornanti, in senso contrario ai ricordi, còlto da un' improvvisa
tranquillità. Non serviva più correre. Non pensare.
Senza appannamenti o incertezze.
Con coraggio. Con dolcezza.
Lei avrebbe capito. Certo, Marina lo avrebbe capito. Mentre imboccava
l'ultima discesa, l'alba gli esplose nel retrovisore. Abbagliato,
Emanuele respirò a fondo, e sorrise: adesso, finalmente,
poteva ritornare a casa.
Ermanno Guantini, 29
anni, laureato in lettere moderne all'Università di Pisa.
Redattore di Pseudolo e Poiein. Ha pubblicato l'e-book
Poesie Buone su Vico Acitillo 124, Poetry wave. Ha
pubblicato sulla rivista di letteratura comparata Semicerchio,
n.23, Antropologia del sonetto, nella sezione inediti italiani.
rif: www.pseudolo.it www.loso.it/Poiein http://www.loffredo.it/waves/led/indice.htm#5
www.unisi.it/semicerchio/sc23.htm
e-mail: erguant@interfree.it
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