NUOVE PRASSI E MODELLI DI AZIONE POLITICA


Maristella Svampa


 

La nostra lettura intende dimostrare come le organizzazioni piquetere siano portatrici di valori socio-politici antagonisti, che rielaborano e rispecchiano le concezioni istituzionaliste, tradizionali e dogmtiche della politica. Tali valori antagonisti trovano la loro espressione pratica e organizzativa nell'azione diretta, nelle assemblee di quartiere e nelle incipienti esperienze di autogestione da parte di raggruppamenti spesso molto diversi tra loro.
Detto questo, non si può tuttavia ignorare che i movimenti piqueteri siano attualmente attraversati da forti tensioni, evidenti tanto dalla loro accentuata eterogeneità ideologica come dalla loro frammentazione organizzativa. Da una parte la proliferazione di nuovi raggruppamenti, dall'altra il protagonismo crescente dei partiti della sinistra, arrecano notevoli complicazioni non solo all'autonomia territorile dei singoli gruppi, ma anche alla valutazione politica delle azioni collettive. In aggiunta, la forte presenza di componenti pragmatiche sembra sminuire il movimento a un'identità umanitario-assistenziale, di stampo rivendicativo, mettendone in ombra l'anima sociale e politicamente antagonista. Di fatto queste tendenze sembrano destinate a restare d'attualità. Ciononostante, ad alcuni gruppi è riuscito di consolidare una prassi innovativa ed esplosiva, orientata alla politicizzazione della questione sociale. Vediamo di cosa si tratta.


L'azione diretta: l'immagine del piquete

Fin dall'inizio il piquete - il blocco stradale - fu lo strumento centrale attraverso cui acquistarono visibilità le proteste dei diversi strati sociali colpiti dal processo di destrutturazione economica. Malgrado avessero in principio carattere aperto a molti settori (lo dimostrano i primi picchetti nell'interno del paese), oggi i blocchi stradali vengono associati inevitabilmente alle rivendicazioni dei disoccupati, che rappresentano senza dubbio una delle assi portanti della storia piquetera.
In quanto prassi d'azione diretta, il piquete conosce diverse varianti: può essere totale o parziale, può trattarsi di un blocco stradale o di un picchetto all'entrata di una fabbrica; piú recentemente ha assunto anche la forma di "accampamento" davanti alle sedi istituzionali, ma può perfino sfociare in un'occupazione.
Come brillantemente analizzato da Pérez (2001), il piquete segnò il ritorno del "corpo" nella politica argentina. Tuttavia la sua fondamentale importanza quale nuovo strumento d'azione consiste nell'aver stabilito una soglia significativa nel conflitto sociale in cui convergono la disoccupazione e la fame. In questo senso fu fondamentale la partecipazione al movimento delle donne, che incarnavano l'espressione piú autentica e indiscutibile della nuova situazione d'emergenza famigliare e sociale. In gran parte accompagnate dai loro figli, le donne non solo si trovarono improvvisamente al centro della protesta (essendo state tra le prime, insieme ad esponenti del mondo sindacale, a prendere parte al movimento), bensí contribuirono in maniera cruciale a politicizzare il tema della fame e della disoccupazione, in quanto veicolo "non-ideologizzato" delle emergenze famigliari - un po' come accadde anche alle "madri della Plaza de Mayo"1.
La nuova politica dei corpi immortalò le rivendicazioni in una dimensione materiale - la fame, l'urgenza di soddisfare bisogni fondamentali, coniugata ad altri temi ugualmente esplosivi come la disoccupazione di massa e l'esclusione sociale. Questo spiega sia la straordinaria capacità di mobilitazione del movimento piquetero, come anche, al contrario, il senso di molestia (ben al di là del disagio oggettivo arrecato dai picchetti) che il suo alto grado di visibilità risveglia in certi settori della popolazione. Da un lato, nella sua radicalità, il piquete mette in rilievo l'irrazionalità dell'attuale modello di accumulazione, che condanna la maggioranza all'esclusione sociale in cambio della piena partecipazione di pochi. Dall'altro, questa forma di lotta appare l'unica in grado di garantire visibilità a coloro che hanno perso tutto, e che in conseguenza di ciò non hanno diritto di parola nel modello vigente. Il carattere perturbante o irritante del piquete non è dovuto solo ai disagi prodotti dall'impedimento della libera circolazione di beni e persone. Se dalla sua prospettiva interna si configura come luogo di produzione di un'identità positiva, visto da fuori il piquete appare il luogo in cui si produce una minacciosa alterità, che segnala l'esistenza di "altri mondi", mai troppo lontani in tempi di forte instabilità e di mobilità sociale "discendente" come quelli che attraversa oggi l'Argentina.
In altri termini, la continua reiterazione del piquete quale forma di lotta da una parte, e l'introduzione istituzionale dei piani sociali come rivendicazione del movimento dall'altra, hanno contribuito all'affermazione di uno stereotipo negativo in cui scivolano le letture riduzioniste e unilaterali del fenomeno, tendenti ad ignorare le altre dimensioni, meno visibili e spettacolari, dell'azione collettiva.


Le assemblee di quartiere: prassi quotidiana e modelli di società

Fin dalle origini il movimento piquetero sviliuppò una forte impronta assembleare, volta a incentivare espressioni di democrazia diretta sia a diversi livelli territoriali (locale, regionale, nazionale) che nelle svariate strategie d'azione (organizzazione e quotidianità del quartiere, picchetti e mobilitazioni). Nello specifico tuttavia il tipo e il grado di organizzazione assembleare differisce secondo la logica e l'orientamento politico di ciascuna corrente. Perciò le varianti esistenti sono numerose: da coloro che pongono il modello assembleare al centro dell'azione politica, cercando di approfondire le forme di democrazia diretta (tra gli altri, i gruppi indipendenti MTR, MTD, ma anche il CCC), a coloro che inseriscono il modello assembleare accanto a forme di leaderismo di tipo movimentista (MIJD, FTV), a coloro infine che tendono a limitare le potenzialità dinamiche dell'assemblea attraverso strutture d'autorità centralizzate, in molti casi dipendenti dai partiti politici (PO, MTL, MST).
D'altra parte le reali potenzialità della democrazia diretta dipendono molto dalle dimensioni delle singole correnti. Nella misura in cui esse crescono, diventa sempre piú complicato e aleatorio coniugare la volontà orizzontale con la pluralità delle competenze, malgrado lo sforzo di ogni gruppo per creare istanze di coordinazione e organizzazione.
Nell'insieme la dinamica assembleare rappresenta da diversi punti di vista un potenziamento della politica, poiché instaura uno spazio di discussione e deliberazione piú democratico e partecipativo, contribuendo a formulare un senso piú collettivo del politico, e a un tempo consente la rivalutazione dell'identità individuale attraverso il riconoscimento di competenze ed esperienze, altrimenti soffocate dal processo di razionalizzazione neoliberale alla base della disoccupazione e della precarietà del lavoro.
Nelle sue espressioni piú radicali, il modello assembleare appare la forma piú genuina di autoorganizzazione, nel senso di "contropotere" con una legittimazione popolare, speculare e parallelo al governo istituzionale. In questo senso la storia piquetera si nutre di distinte esperienze, maturate durante le diverse sollevazioni popolari che hanno scosso l'Argentina negli anni '90. I fatti di Cutral-Có e Plaza Huincul (Neuquén)2 del 1996 segnarono l'avviio della dinamica assembleare, subito ripresa da altre mobilitazioni del periodo (Tartal-Mosconi, Jujuy, Corrientes)3, per cristallizzarsi definitivamente in certe strutture organizzative dei raggruppamenti piqueteri. Infine questa dinamica attecchí anche fuori dal movimento piquetero propriamente detto, durante gli eventi del Dicembre 2001 nella capitale federale e anche altrove. Il nuovo ciclo politico che si era aperto nel 1996 nelle lontane località del Sud intorno alla statale 22 allo slogan di "¡Que venga Sapag!"4 si chiuse per certi versi nel 2001 sulla Plaza de Mayo e di fronte al Congreso Nacional, ovvero nel cuore del potere esecutivo e legislativo, al coro di "¡Que se vayan todos!" ("Via tutti!"). La distanza tra le due rivendicazioni mette in evidenza il processo di dissociazione crescente tra il sistema politico e le forme di autoorganizzazione sociale in atto nel paese. Lo slogan "¡Que venga Sapag!" esigeva la fine delle mediazioni e la trattativa diretta con la massima autorità, il governatore della provincia, ma non ne metteva in discussione la rappresentanza politica. La crisi e il vertiginoso smantellamento dell'industria petrolifera avevano innescato in due centri minori un inedito processo di destrutturazione sociale ed economica. Gli individui esclusi avevano trovato un nuovo ancoraggio comunitario in un discorso che si appellava a una "riparazione storica", proponendo la sottoscrizione di un nuovo patto sociale. Invece la formula "¡Que se vayan todos!", nata nel 2001 e diffusasi compiutamente nel 2002, portava allo scoperto il rifiuto del principio stesso di rappresentanza politica. Nelle metropoli come Buenos Aires la "moltitudine" non aveva rivendicazioni da fare, a parte il ritiro incondizionato dei rappresentanti politici.
Spingendoci oltre e riprendendo le tesi di Virno e Negri, potremmo affermare che esiste un'enorme distanza tra il tipo di sradicamento sperimentato dal "popolo" della provincia nel 1996-97, caratterizzato dalla consapevolezza di una comunità esclusa (tracciando quindi la separazione tra un "dentro" e un "fuori") che rivendica la reinserzione economica e sociale, e il tipo di processo avviato nel 2001 dalla "moltitudine" eterogenea, che riunita in assemblea condivideva la sensazione di "non sentirsi a casa", sperimentando in tal modo lo sradicamento "al centro della propria pratica sociale e politica" (Virno 2003, pp. 24-28)
Tra il conglomerato comunitario che si concepisce come "popolo" e anela alla reinserzione nel tessuto sociale, e la "moltitudine" che si afferma nella separazione e nello sradicamento, si sviluppa un convulso processo storico-sociale che si rispecchia anche nelle multiformi esperienze delle organizzazioni piquetere. Purtroppo tali esperienze formatesi in un duro contesto di decollettivizzazione oscillano tra la nostalgia ingannevole per il "popolo lavoratore" e il "popolo-nazione" e l'insopportabile senso di impotenza della "moltitudine post-moderna", senza trovare approdo definitivo nell'una o nell'altra
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Traduzione di Antonello Piana


1Le "madri della Plaza de Mayo" occuparono a partire dal 1977 la piazza situata nei pressi della Casa Rosada (la sede del governo). Ogni giovedí alle 12:00 chiedono conto dei loro famliari "scomparsi"durante la dittatura militare. A tutt'oggi il destino di molti casi resta oscuro (n.d.t.)
2Città della Patagonia settentrionale in cui si concentrano anche molte raffinerie petrolifere (n.d.t.)
3Tartal-Mosconi e Jujuy si trovano nel Nord-Ovest del paese, al confine con la Bolivia. Corrientes a Nord-Est, al confine col Paraguay (n.d.t.)
4Sapag era allora il governatore della provincia di Neuquén.




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