REUNION / DARK PONY
( – due atti unici – )


David Mamet

 

L’Introduzione e l’atto unico Dark Pony

 

Introduzione:

Reunion e Dark Pony sono due atti unici concepiti da Mamet per essere rappresentati nel corso della stessa serata, e interpretati dai medesimi attori.
Reunion mette in scena l’incontro di un padre e di una figlia dopo circa vent’anni di separazione: Bernie, ex aviatore militare, ex guardafili per la compagnia telefonica, ex alcolista, “ex questo, ex quello”, sta cercando di riprendere le fila di una vita disordinata ed errabonda; Carol, ventiquattrenne, è apparentemente una donna realizzata, ha sposato un professionista di successo, ha un lavoro prestigioso, ma dietro la sua solidità cela una grande solitudine e un inappagato bisogno di amore. Nel corso di una lunga conversazione, superando imbarazzi e reticenze, padre e figlia riescono progressivamente a dar voce ai propri sentimenti e alle proprie emozioni: un nuovo inizio, forse, è possibile.

La vicenda è ambientata nel New England all’inizio degli anni settanta; il testo è fitto di riferimenti d’ambiente e tocca questioni come il reinserimento dei veterani della seconda guerra mondiale, la crisi della famiglia, l’alcolismo (c’è anche chi ha scritto che questo dramma “convoglia un messaggio sociale forte circa gli effetti ciclicamente distruttivi del divorzio”).
Eppure il centro di Reunion non è in alcuna di queste problematiche; e tantomeno nel bozzetto naturalistico.
Il centro lo si deve cercare altrove: proprio, forse, nel nudo confronto tra un padre e una figlia che cercano di ritessere legami affettivi logorati dal tempo; nella domestica “peripezia” che ne nasce, fra silenzi e incontrollati profluvii di parole, subitanee accensioni e imprevedibili alzate di scudi, memorie tenerissime e piccoli ricatti morali.
Mamet è un aristotelico convinto: “cerco si scrivere dei drammi ben fatti” ha dichiarato “mi piace questa forma perché è la struttura che imita la percezione umana: tutti vogliono sentire una storia con un inizio, un mezzo una fine”; in questa prospettiva, “la rivelazione del teatro del ventesimo secolo” consiste, per Mamet, prima di tutto nel fatto che “si possono applicare le unità aristoteliche ad un microcosmo, ad un interscambio umano anche molto molto piccolo e così dissezionarlo... la questione può essere chi ha o non ha acceso il gas”.
Grazie a questa solidità classica di impianto, Mamet riesce a stringere qualsiasi vicenda, per quanto “minimale”, in un’azione drammatica affilata e tesissima.
Questa pregnanza e stringatezza, unita ad una suprema capacità di trasformare in poesia i ritmi, gli inceppamenti, le pause, le esitazioni della lingua parlata, crea una personalissima misura di realismo: una sorta di distillazione del quotidiano, che fa pensare alla pittura di Edward Hopper e di Lennart Anderson, o alle sculture di George Segal.
Come questi riescono a fermare in immagine di rarefatta compostezza i silenzi, la solitudine, la malinconia della vita urbana contemporanea, così Mamet sublima il linguaggio colloquiale, lo porta ad un tale livello di politezza da renderlo come diafano e da lasciare intravedere, oltre il raggelato nitore della levigata superficie, un teso sottotesto di emozioni inespresse.
Il grande critico teatrale inglese Michael Billington, nella sua recensione alla prima inglese di Reunion, ha scritto: “non si potrà lodare mai abbastanza il modo in cui Mr. Mamet suggerisce, dietro l’esitante conversazione domestica, uno straordinario senso di dolo e di perdita”.
Questo senso di dolore e perdita non appartiene solo a “Bernie Cary, ex alcolista” o a sua figlia Carol, ma parla a tutti noi, a chiunque viva un momento storico in cui gli affetti familiari devono essere quotidianamente ridefiniti e riconquistati di là dagli schemi e dai ruoli tradizionali.
Con Reunion Mamet ci consegna la speranza in un nuovo ordine degli affetti fondato sulla possibilità di accettare la propria fallibilità, di perdonare e di perdonarsi, di vivere coraggiosamente il presente.
Ha scritto Harold Clurman, il leggendario regista del “Group Theatre”: “David Mamet ha creato commedie più sensazionali di Reunion... ,a nessuna così toccante”. Mi sembra difficile dissentire.

Dark Pony, (“un bozzetto lieve, lirico, onirico... un delizioso piccolo racconto sui ricordi e le emozioni dell’infanzia” lo ha felicemente definito Mike Steele nella sua recensione sullo Star Tribune) è stato concepito come pezzo di apertura da recitare prima di Reunion, in funzione, quasi, di preludio. È un brevissimo atto unico: tornando a casa, in macchina, un padre narra alla propria bambina la storia di un giovane eroe indiano e del suo pony. È una storia rassicurante, che racconta come l’amicizia possa sconfiggere il male e garantire un sicuro “ritorno a casa”: una sorta di apologo sull’inevitabilità del confronto con le proprie paure, sulla necessità di attraversare le proprie zone oscure, con la consapevolezza che, se lo vogliamo, c’è un “dark pony” pronto a correre in nostro soccorso.
E tuttavia qualcosa non torna: man mano che si approssima alla fine della favola, il padre, misteriosamente, sembra esserne come irretito, e ne ripete, quasi assorto, alcuni dettagli, fino, si direbbe, a dimenticare la bambina. Il dialogo comincia a procedere su binari paralleli, e proprio mentre padre e figlia stanno per arrivare a casa (come Rain Boy e Dark Pony nella favola), si crea, fra i due, una strana distanza.
La questione inevitabile per gli spettatori, e i lettori è: che rapporto sussiste fra Reunion e Dark Pony?
Difficile dirlo: Mamet qui volutamente astrattizza, indicando i protagonisti come “il padre” e “la figlia”. E tuttavia è forte la tentazione di pensare che “Dark Pony” possa essere l’ultima storia raccontata da Bernie a Carol prima di lasciare la famiglia.
Credo che, per il fruitore, questa ambiguità debba permanere come parte essenziale dell’esperienza.
Lascerei l’ultima parola a Mamet: “Penso che lo scopo del teatro sia di avere a che fare non con stanze sociali ma con istanze spirituali... Penso che lo scopo del teatro non è di approfondire i misteri della vita, ma di celebrare i misteri della vita... Fare pace con gli dei – di questo tratta il teatro.”

Massimiliano Farau

Dark Pony

PERSONAGGI

Il Padre
La figlia

LA SCENA: un’automobile
IL MOMENTO: notte

PADRE: C’era una volta un Indiano. (pausa) In un’epoca in cui creature selvagge abitavano il paese, tanto tempo prima che l’Uomo Bianco giungesse qui.

FIGLIA: E quando?

PADRE: Tanto, tanto tempo fa. (pausa)

FIGLIA: (a sé) Tanto tempo fa.

PADRE: Era un Valoroso, ed era bellissimo.

FIGLIA: Che cos’è un Valoroso?

PADRE: Un uomo che combatte in guerra. Un giovane uomo. E il suo corpo era come ferro. E aveva lo sguardo di un’aquila. E correva come un cervo. Hai mai visto correre un cervo?

FIGLIA: Certo.

PADRE: E nuotava come un pesce.

FIGLIA: E correva come un cervo?

PADRE: Sì.

FIGLIA: A saltelli?

PADRE: No. Non a saltelli. Ma veloce come corrono i cervi quando corrono.

FIGLIA: E poteva saltare una staccionata?

PADRE: La poteva scavalcare d’un balzo. Sì.

FIGLIA: (a sé) Va bene.

PADRE: E il suo nome era...

PADRE E FIGLIA: (simultaneamente) Rain Boy.

PADRE: Ed era amato da tutta la sua gente. Perché era insieme valoroso e allegro. E gli bastava sorridere per portare la felicità attorno a sé. Se i tempi erano duri. O cantare le canzoni che sapeva. O raccontare storie. In cui recitava tutte le parti. Era un famoso guerriero.

FIGLIA: Contro chi combatteva.

PADRE: Contro le tribù nemiche.

FIGLIA: Contro i tedeschi?

PADRE: No. E Rain Boy aveva un amico del cuore.

FIGLIA: Lo so.

PADRE: Chi?

FIGLIA: Dark Pony.

PADRE: Sì, Dark Pony. Quand’era in pericolo o aveva bisogno di aiuto, allora chiamava il suo amico Dark Pony. Diceva così: “Dark Pony...”

PADRE E FIGLIA: (simultaneamente) “Dark Pony, il tuo amico Rain Boy ti chiama.”

PADRE: Poi guardava in alto se era in una valle, o intorno se era in un canale o in un ruscello; o se era su una distesa d’erba. E allora vedeva un puntino lontano. Un puntino rosso scuro...

FIGLIA: (a sé) Come il sangue.

PADRE: Rosso. Come una rosa – come il tramonto sui campi di grano o sull’erba. Che galoppava verso di lui. (pausa) Dark Pony. Venuto a salvarlo.

FIGLIA: (a sé) “Il tuo amico Rain Boy ti chiama.”

PADRE: Se era ferito, lo prendeva e lo portava via sulla groppa. Se era assetato, gli portava, in una borraccia, fresca acqua di ruscello. Se era affamato, gli portava cibo.

FIGLIA: (a sé) Qualcosa da mangiare.

PADRE: Un giorno Rain Boy faceva ritorno a casa dopo aver combattuto per molte lune in una terra lontana. Non vedeva sua moglie e suo figlio da tanto, tanto tempo.

FIGLIA: (a sé) Sentiva la loro mancanza.

PADRE: E moriva dalla voglia di vedere lei. E salirono su, in alto. Attraverso le montagne. Inerpicandosi verso casa. Finché non venne la neve. Che cadeva, precoce, su quei Valorosi in cammino verso casa. E li prese in trappola.

FIGLIA: (a sé) La neve.

PADRE: Su fra le montagne. Al freddo. Soli. E poi, una notte, i suoi nemici gli portarono via tutto; presero il suo cibo, e dissero ai suoi amici che era morto, e strisciarono via fra le montagne, finché lui non fu solo. (pausa) Nei boschi di montagna. Debole e affamato. E arrancò da solo per rivedere la sua giovane moglie e il suo bambino. Per molti giorni. Finché, una notte, cadde in terra, e fu assalito dai lupi.

FIGLIA: No!

PADRE: Aveva acceso un fuoco, per poter riposare un po’, e quando il fuoco si fosse estinto, avrebbe ripreso il cammino.

FIGLIA: (a sé) Era d’inverno.

PADRE: Quando su svegliò che cosa vide? Gli occhi dei lupi!

FIGLIA: (a sé) No.

PADRE: Che lo scrutavano, brillando nell’oscurità. Occhi arancioni, e ululavano.

FIGLIA: Ho paura.

Pausa.

PADRE: E si facevano sempre più vicini. E lui gridò con tutta la sua forza: “Dark Pony, Dark Pony, il tuo amico, Rain Boy, ti chiama”. E guardava in alto. Ma era solo. I lupi vennero più vicino. Lui gridò: “Dark Pony, Dark Pony. Il tuo amico, Rain Boy, ti chiama”. I lupi si fermarono. (pausa) Lui sollevò di fronte a sé un tizzone per difendersi, ma sapeva che non sarebbe durato a lungo. Adesso sentiva il loro odore. (pausa) Quelli si fecero più vicini. “Oh”, disse. (pausa) “Oh, Dark Pony...” (pausa) “Mi hai dimenticato.” Poi sentì nitrire. (pausa) Uno scalpiccio di zoccoli nella neve. Dalla cima più alta. Giù fra le gole. Strepitando. E al galoppo. Rapido come nevischio nel vento. Quando si abbatté al suolo, esausto, i lupi guairono. E cercarono di fuggire.

FIGLIA: (a sé) Cercarono di andarsene.

PADRE: Ma lui si scagliò su di loro. (pausa) E in mezzo a loro. Fra le braci morenti. La neve si fece rossa del loro sangue. (pausa) Poi tutto divenne quieto. Soffiava il vento. La neve vorticava nell’aria. Lui giaceva in silenzio. Era diventato freddo. Dark Pony andò verso di lui, e gli diede in colpetto col naso. (pausa) E nitrì. (pausa) E gli leccò la faccia. (pausa) Lui lentamente aprì gli occhi. (pausa) Guardò sopra di sé. Dark Pony era lì, fermo. (pausa) “Oh, Dark Pony”, disse... (pausa) “Pensavo che mi avessi dimenticato.” (pausa)

FIGLIA: Siamo quasi a casa, già?

PADRE: Sì. (pausa) (a sé) Giù dalle montagne. Giù. Oltre le colline. Oltre le praterie.

FIGLIA: ...Perché mi ricordo che rumore fa.

PADRE: Davvero?

FIGLIA: La strada

PADRE: Sì. Ci siamo quasi.

FIGLIA: (a sé) Perché mi ricordo che rumore fa.

PADRE: Giù nelle Valli – alzerà lo sguardo e vedrà lì i suoi amici.

FIGLIA: (a sé) ...subito prima di arrivare a casa.

Pausa.

PADRE: (a sé) “Dark Pony, Rain Boy ti chiama.”

Pausa.

FIGLIA: Siamo quasi a casa.


(Tratto dal libro Reunion / Dark Pony: due atti unici, Besa editrice, Nardò, 2003, traduzione di Massimiliano Farau)


David Mamet



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