L’URLO
- A Cor et à Cri -

 

 

Michel Leiris

”La sensazione di un buco vertiginoso, improvvisamente scavato nel corso dei minuti quotidiani, il tormento terribile originato da Antonin Artaud, apparentemente non ancora consumato dal male che un giorno avrebbe motivato il suo internamento, ma che offre l’esempio di un urlo teatrale – un ruggito continuato ed emesso a pieni polmoni – durante una conferenza alla Sorbona, davanti a un gruppo di studio il cui precipuo interesse ricade su questioni d’arte moderna.
Certamente molto espressivo, ma oltre qualunque lingua e senza alcuna modulazione, era forse l’urlo allo stato puro, l’urlo inarticolato (come sotto tortura, terrore, o investito da una gioia folle o da una grossa sorpresa). L’urlo: l‘inselvatichimento della voce, che nel ritorno apparente alle origini perde la sua identità e, relegata al suo fondamento biologico, non può piú essere riconosciuta come maschile o femminile, forse nemmeno nella sua origine umana.
Se per la cosmologia dei Dogon, quella popolazione africana di cui tanto si è scritto senza perciò farne un’attrazione turistica, la parola e il tessuto sarebbero affratellati, allora si può affermare con sicurezza che l’urlo rappresenti, nella sua arcana potenza, un foro o uno strappo nel tessuto della vita civilizzata.
Con l‘attacco al nostro maggiore mezzo di comunicazione sociale attraverso la sua furia anacronistica e iconoclasta – ma non senza una punta di umorismo, come ho sempre sostenuto -, Artaud non si è forse fatto eleggere a guastafeste ufficiale, come del resto anch‘io da bambino (secondo i resoconti familiari della mia prima infanzia), quando piagnucolando drammaticamente davo a credere di essere caduto dal letto, per imbarazzare i miei genitori i quali, seppur di usi non mondani, intrattenevano eccezionalmente i loro ospiti durante una cena o serata da cui io per la mia giovane età restavo escluso?”


(traduzione di Antonello Piana)




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