CHE TORNINO I TRENI
Carlos Villalobos
Che i treni diventino pazzi e ci portino agli angoli dove la sorpresa
di un volto è un'allegria che non era in agenda, che i treni, pazzi da legare, navighino come gondole sulla riva dei parchi dove i baci diventano eroi e scendono da un solo strapiombo le stelle.
Che i treni scardinati fingano delirando appuntamenti al buio con gli uccelli
e se ne vadano laggiù mischiando storie e nonni e ancora una volta raccolgano la venditrice di mango che una sera a Orotina
mi offrì un sorriso così imprevisto
che non potrò ripagare, perchè non so quanto affetto vale.
Che i treni che portarono mio nonno al porto tornino qui pensando d'essere i cani di casa, non importa, che giungano muovendo la coda, ma che giungano pazzi di gioia e ancora ci portino alle pianure dove faceva un sole del diavolo e i ragazzi e le ragazze escano correndo dalle case un'altra volta e tornino a colmare di addii le finestre.
Che i treni tornino qui non importa se giungono in un pacchetto per posta, se arrivano a cavallo vantando una collezione di tatuaggi nei vagoni,
non è per caso, l'importante è che arrivino e ci portino a scivolare tra i puledri,
a continuare il volto delle formiche.
(Traduzione e introduzione a cura di Tomaso Pieragnolo)
In lingua originale:
QUE VUELVAN LOS TRENES
Carlos Villalobos
Que los trenes se vuelvan locos
y nos lleven a las esquinas donde la sorpresa
de un rostro es una alegría que no estaba en la agenda,
que los trenes, locos de remate, naveguen como góndolas
a la orilla de los parques
donde los besos se vuelven héroes
y bajan de un solo tajo las estrellas.
Que los trenes desquiciados
finjan delirando citas a ciegas con los pájaros
y se vayan por ahí juntando historias
y abuelos
y otra vez recojan a la vendedora de mangos
que una tarde en Orotina
me ofreció una sonrisa tan de repente
que no podré pagar porque no sé cuántos afectos vale.
Que los trenes que llevaron a mi abuelo al puerto
vuelvan por acá
pensando que son los perros de la casa,
no importa, que lleguen moviendo el rabo,
pero que lleguen locos de contento,
y nos vuelvan a llevar a las planicies donde hacía
un sol de carajo
y los muchachos y las muchachas
salgan corriendo de las casas otra vez
y vuelvan a llenar de adioses las ventanas.
Que los trenes vuelvan por acá,
no tiene importancia si llegan en un paquete
por correo,
si llegan a caballo,
o luciendo una collección de tatuajes en los vagones,
no viene al caso, lo importante es que vengan
nos lleven a resbalar por los potreros
y nos lleven a seguirle el rastro a las hormigas.
(da “El primer tren que pase” 2001, Carlos Villalobos.)
Carlos Manuel Villalobos
è nato a San Ramon, Costa Rica, nel 1968. Laureato in Lettere e in Scienze della Comunicazione presso l'Università di Costa Rica, è titolare della cattedra di Filologia, Linguistica e Letteratura, e vice rettore di Vita Studentesca nella stessa Università. E' stato membro di diversi laboratori letterari ed ha pubblicato articoli in riviste specializzate nazionali e straniere; ha dettato conferenze, relazioni e corsi come professore invitato nelle Università di America Latina, Stati Uniti e Spagna.
In poesia ha pubblicato “Los trayectos y la sangre” (1992), “Ceremonias desde la lluvia” (1995), “El primer tren que pase” (2001), “Insectidumbres” (2009), libro quest'ultimo dedicato al mondo degli insetti.
“El primer tren que pase”, da cui è tratta questa poesia, affronta il tema dell'esistenza da una prospettiva ludica e senza legami dogmatici; la vita è vista come metafora di un viaggio in cui la chiave ultima è non sapere dove si va, a che ora si giunge, né quando si ritorna. Questo modo di intendere l'esistenza offre la possibilità di trovare un lato poetico al quotidiano, attraversando frontiere reali e interiori che il poeta descrive dai diversi luoghi in cui il suo lavoro lo ha portato: La Habana , Messico, Chicago. Pare volerci dire, con la sua trama ironica e realista, ma allo stesso tempo nostalgica e sottilmente crepuscolare, che non vale la pena di affannarsi, perchè in realtà non si giunge mai in alcun luogo. La vita, quella vera, è sempre altrove. Per questo si vive secondo i canoni della società capitalista e della cultura del consumismo, per questo il dogmatismo religioso è una trappola che impedisce di viaggiare attraverso le distinte possibilità della conoscenza. Per questo, ci suggerisce il poeta, “ è meglio non spronare la vita, è meglio essere se stessi e punto. Senz'altro stupore che la corte del vento alle sigarette, senz'altra identità che il sorriso quotidiano, la pioggia, un passero o la poesia .”
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