CORSI E RICORSI
Nanni Balestrini
(…) Quello dove io vivevo era un paese di merda e anche la gente era gente di merda non mi piaceva questo paese e non mi piaceva questa gente ma questo paese e questa gente erano uguali dappertutto qua intorno erano tutti paesi così tutti paesi uguali a questo e tutta la gente uguale a questa qua intorno questi paesi se non li conosci se non li abiti ti puoi confondere puoi davvero scambiare un paese con l'altro sono tutti uguali al centro c'è la piazza che è poi sempre la piazza della chiesa e tutti hanno sempre la stessa strada principale che passa in mezzo al paese con qualche negozio e i bar la scuola e il municipio tutti costruiti più o meno uguali e la strada principale che attraversa la piazza e da una parte porta al cimitero e dall'altra alla stazioncina della ferrovia che collega tutti quanti i paesini tra di loro
la ferrovia è vecchia e dissestata le carrozze sono sgangherate e sembrano quelle del far-west e su queste carrozze si va dall'uno all'altro di questi paesi tutti paesi di duemila tremila abitanti ma ce n'erano anche di più piccoli la gente nata di qui di famiglia di qui sono ancora meno sono la metà l'altra metà è gente che è venuta da fuori che è venuta qui a ondate successive prima i veneti che io non ho visto arrivare poi i terroni come continuano a chiamarli qui arrivati qui come le mosche a famiglie intere a villaggi interi loro sì che li ho visti arrivare questi qui così diversi con quelle facce diverse più scure con una lingua diversa dal nostro dialetto ma diversa anche dall'italiano che non si capisce quasi e diversi anche nei vestiti
sono arrivati qua e hanno trovato posto nelle vecchie case mezze cadenti le grandi case con i cortili che prima abitavano i contadini e che adesso andavano in rovina e loro ci si installavano a gruppi tutti insieme in stanze piccole umide cadenti e vivevano uno sull'altro c'era il prete del paese che si dava un po' da fare per sistemarli e questi facevano la coda fuori dalla porta del prete mentre la gente del posto non li accettava non ne voleva sapere di loro gli sembravano troppo diversi da loro gli sembravano più incivili sporchi ma gli uomini trovavano subito da lavorare nelle tante fabbrichette della zona che spuntavano su dappertutto intorno ai paesi facevano i lavori più di merda ovviamente e quando potevano portavano a casa dalle fabbrichette il lavoro nero da fare in famiglia
e tutta la famiglia si metteva al lavoro in cucina e nella stanza da letto e lavoravano tutti i bambini gli zii e le nonne di ottant'anni vestite di nero lavoravano tutti lì insieme a catena a montare giocattoli topi gigi cerchietti per i capelli occhiali di plastica torce elettriche e roba del genere i terroni vivevano ai margini del paese la gente del paese non li voleva non li volevano nei pochi bar del paese e era diventato famoso quello che aveva detto una vecchia padrona di un bar quando era entrato un ragazzo meridionale per chiedere da bere e lei gli aveva detto adesso ti do da bere e non ti faccio pagare bevi pure gratis te lo offro io ma poi qui non devi venire mai più e così questa frase veniva citata come si citava una frase eroica ecco come si doveva fare insomma
ogni tanto scoppiavano risse tra locali e meridionali ma tra noi ragazzi non tanto perché si andava a scuola insieme e quello che si sentiva dire in famiglia sui terroni era attenuato dal fatto di viverci di giocarci insieme di starci insieme a scuola per tante ore e poi all'oratorio il pomeriggio dove si giocava insieme perché qui in questo paese la chiesa controllava tutto il cinema dove si faceva la fila la domenica pomeriggio era della chiesa e per andare al cinema noi bambini dovevamo andare all'oratorio e alla messa e lì ti timbravano un cartellino che dovevi presentare al cassiere che se no non ti dava il biglietto anche il campo di pallone il campo di tennis quello di pallacanestro quello di pallavolo la palestra erano tutti dell'oratorio e anche la biblioteca e la metà dei bar
lì il prete era potentissimo e si confondeva con gli amministratori del paese che da sempre erano democristiani erano le famiglie potenti del paese ricche da sempre prima della terra e poi col boom economico degli anni '60 con i proliferare nella zona delle centinaia di fabbrichette dove si lavorava 13 14 a volte 15 ore al giorno con gli straordinari anche mio padre lavorava in una di queste fabbrichette e per tutte quelle ore anche lui e anche noi in famiglia facevamo il lavoro nero come i terroni e lo facevamo da sempre sono cresciuto anch'io come tutti in paese in mezzo agli scatoloni di cartone con dentro i pezzi dei fanali e dell'accensione dei motorini da montare era la normalità fare questo lavoro in famiglia lo si faceva in tutte le ore del giorno e i miei genitori anche la notte in cucina
dopo aver mangiato si tiravano fuori gli scatoloni da sotto il tavolo della cucina si montava sul bordo del tavolo il bilanciere che poi era una specie di percussore a mano rudimentale e si cominciava a montare i pezzi insieme si faceva una specie di catena chi montava e chi ribatteva e fissava col bilanciere i pezzi con i chiodini di alluminio i ribattini così piccoli che scappavano sempre dalle dita e con i ribattini si fissavano i pulsanti della luce e del clacson al coperchio di ferro cromato si faceva questo lavoro per ore e ore questo lavoro stupido sempre uguale lo si faceva tutti i giorni per anni da sempre questo lavoro che veniva pagato pochi centesimi al pezzo però lavorando tutti insieme si facevano migliaia di pezzi e allora saltavano fuori le mille lire che aumentavano il reddito della famiglia
c'erano passaggi di mano del materiale da montare prima che arrivasse alle famiglie c'erano dei mezzani che in genere erano i caporeparti delle fabbriche e che distribuivano il lavoro alle famiglie e che guadagnavano unicamente su questo passaggio e venivano anche considerati dei benefattori e poi ci potevano essere altri passaggi di mano perché ognuno era libero di ridistribuirlo a sua volta a chi voleva purché si rispettassero i tempi della consegna anche mio padre passava il lavoro alle famiglie dei meridionali che venivano a prenderlo a casa lui non era razzista non è che amava i meridionali ma neppure li disprezzava mentre i meridionali in genere erano considerati gente che facevano il lavoro male e non rispettavano le scadenze di consegna
e così lui garantiva per loro le consegne e rispondeva del lavoro anche se ovviamente in quel passaggio lui ci guadagnava qualcosa ovviamente alle fabbrichette che fabbricavano i pezzi conveniva farli montare fuori conveniva farli montare dalle famiglie perché così veniva a costare enormemente di meno e così tutta l'economia del paese e degli altri paesi intorno era organizzata tra il lavoro nelle fabbrichette e il lavoro nero in famiglia chi lavorava di più nel lavoro nero era ovviamente mia madre che lo faceva da anni che lo faceva tutto il giorno non appena finiva di fare i mestieri e di cucinare e allora subito si metteva lì e stava lì per delle ore a ribattere i chiodini velocemente con quel tac tac secco che era il rumore che si sentiva in casa sempre a tutte le ore e nessuno ci badava più
noi in famiglia lavoravamo tutti anche mio fratello che finita la quinta elementare era andato anche lui a lavorare come meccanico solo io non lavoravo perché i miei si erano messi in testa da quando ero piccolo che io dovevo studiare mica studiare questo o quello per diventare questo o quello ma semplicemente che dovevo studiare e poi la solita frase vecchia come il mondo così non ti toccherà lavorare come noi anche mio fratello a furia di sentirlo ripetere non si incazzava se vedeva che quando lui lavorava io non facevo niente perché io ero destinato a studiare e anche se leggevo un fumetto stavo studiando lì avere un figlio in casa che andava a scuola era una cosa di grande prestigio per le famiglie come la mia faceva nascere una specie di orgoglio
la gente viveva lì in questo clima rassegnati senza nemmeno pensare che poteva esistere qualcosa di diverso solo la scuola era forse la sola cosa che poteva cambiare la vita di uno e infatti negli ultimi anni qualcosa di importante era cominciato a cambiare da quando i giovani cominciavano sempre di più ad andare nella cittadina vicina per fare le scuole medie superiori c'era quel salire sul treno ogni mattina stracolmo di gente di studenti di operai pendolari c'era quella mezz'ora di viaggio in cui si conoscevano tante persone le più diverse e poi c'era la città che anche se era una piccola città ci sembrava enorme rispetto al paese la città col traffico la confusione del centro i negozi gli uffici e poi c'era la scuola il liceo che era una scuola nuova e diversa con tanta gente nuova che arrivava da situazioni diverse dalla mia
la gente della città era molto diversa dalla gente del paese era migliore mi pareva migliore perché non stavano lì a controllarti a spiarti come in paese lì in città quello che facevi non veniva mica saputo subito da tutti mica arrivava subito ai tuoi genitori ai tuoi vicini di casa a tutti mica dovevi sempre rendere conto a tutti di quello che facevi perché invece in paese è proprio così tutti si conoscono ci si conosce tutti e la minima cosa che fai diventi subito motivo di pettegolezzo e quando cammini per la strada ti accorgi di avere tutti gli occhi della gente addosso tutti che ti guardano e che parlano di te appena sei passato a me la gente del paese non mi piaceva perché erano tutti baciapile bigotti tutti pretaioli ipocriti e cattivi tutti cattivi dentro
dopo aver frequentato un anno la città io sentivo di avere rotto con queste storie non me ne fregava più niente e la gente del paese la sopportavo ancora meno di prima non la sopportavo proprio più e così ho cominciato a andare in città col treno che ci voleva solo mezz'ora a andarci ci andavo anche il pomeriggio quando non c'era la scuola e in città ho fatto amicizia coi ragazzi della mia età con ragazzi di 15 16 anni come me che abitavano in città e me ne sono fregato di stare al paese se non ci stavo più o ci stavo il meno possibile certo il problema esisteva la sera dopo cena quando non potevo andare in città perché non c'erano più treni per tornare e allora ripiombavo in quel clima di bar di paese in quel vuoto che io e anche gli altri ragazzi della mia età non sopportavamo più dopo che avevamo conosciuto la città perché tutto era diverso era più bello nella città
(Brano tratto dal romanzo Gli invisibili, Edizioni DeriveApprodi, Roma, 2005).
Nanni Balestrini è nato a Milano nel 1935. Noto autore italiano di poesie e romanzi, ha iniziato la sua carriera negli anni '60 quando aderì all'iniziativa dei poeti "novissimi" e del gruppo '63 che radunavano, all'epoca, i più conosciuti scrittori della neoavanguardia. Nel 1961 compose la prima poesia realizzata con il computer.
E' autore del ciclo di poesie: la Signorina Richmond e di romanzi sulle lotte studentesche politiche del sessantotto e dei successivi anni di piombo.
Si è più recentemente impegnato anche nel campo delle arti figurative, aumentandosi così le possibilità di poter esprimere artisticamente la propria creatività. Ha esposto le sue opere in numerose gallerie in Italia e all'estero e, nel 1993, alla biennale di Venezia.
E' stato, insieme ad altri, fautore della creazione di riviste di cultura come "il Verri", i "Quindici", l'"Analfabeta" e la "Bestia".
Bibliografia:
Romanzi: L'orda d'oro 1968-1977: la grande ondata rivoluzionaria e creativa, politica ed esistenziale, con Primo Moroni, 1997, Feltrinelli, Milano.
Una mattina ci siamo svegliati, 1995, Baldini e Castoldi, Milano.
I furiosi, 1994, Bompiani, Milano.
L'invenzione della realtà, 1994, A. Guida, Napoli.
Estremi rimedi, 1991, Manni, Lecce.
Gli invisibili, 1990, Bompiani, Milano.
L'editore, 1989, Bompiani, Milano.
Blackaout, Feltrinelli, 1980, Milano.
La violenza illustrata, Einaudi, 1976, Torino.
Vogliamo tutto, Feltrinelli, 1971, Milano.
Tristano, Feltrinelli, 1966, Milano.
Poesie: Il pubblico del labirinto: quarto libro della signorina Richmond 1985-1989, 1992, Libri Scheiwiller, Milano.
Osservazioni sul volo degli uccelli: poesie 1954-1956, 1988, Libri Scheiwiller, Milano.
Il ritorno della signorina Richmond (1987).
La signorina Richmond se ne va (inedito) 1983.
La ballata della signorina Richmond (1977).
Precedente Successivo Copertina
|