REDENTORE


Miguel Sanches Neto






Dopo una serie di curve il taxi si fermò a un semaforo e lui, un po' insonnolito dall'alcool, dal sedile accanto al guidatore notò la statua illuminata del Cristo Redentore che dominava la notte limpida. Rimase di sasso.

"È davvero bello!"

"Cosa?", chiese il tassista ingranando la prima per partire.

"Il Redentore".

Erano rimasti in silenzio fino a quel momento, aveva preso il taxi lungo la strada ricordandosi di quello che un suo amico gli aveva detto, Rio è una città civilizzata e si può prendere un taxi a qualsiasi ora della notte. Erano quasi le quattro di mattina quando aveva fermato la vettura, ma soltanto dopo si accorse che si trattava di un'auto vecchia, salì e non riuscì ad allacciare la cintura di sicurezza, umiliato dalla sbornia.

"È rotta", disse il tassista.

Lui si sistemò sul sedile come se fosse riuscito ad allacciare la cintura e chiese di andare in Avenida Nossa Senhora de Copacabana.

"A che altezza?"

Non voleva dare a vedere che non era del posto, diede un civico prossimo a quello dell'hotel.

Non disse più niente, aveva molto sonno e il giorno seguente avrebbe preso l'aereo di ritorno per la sua città. Ma adesso, vedendo il Redentore da una prospettiva così bella, aveva fatto capire di essere solo un turista, sempre che il tassista non lo avesse saputo fin dall'inizio.

"Di dove è lei?"

"Belo Horizonte", menti.

"Terra di gente beata".

Attaccata sul cruscotto dell'auto, Pedro notò un'immagine della Vergine Santissima. Il tassista doveva essere credente. "E già salito lassù?"

In quel momento l'automobile girò e persero di vista la statua del Cristo. Pedro si sentì miseramente solo. Avrebbe dovuto portare la moglie con sé, il viaggio era finanziato dalla ditta, poteva spendere qualcosa in più e dare questo piccolo piacere a Roberta - perché fare tanta economia? -, ma lei non aveva chiesto di andare, non lo aveva nemmeno ipotizzato, si era limitata a insistere con lui che non tralasciasse di visitare il Redentore.

"Non ha intenzione di salire fino al Cristo?"

"Parto domani mattina presto".

"In aereo?"

"Sì, in aereo".

"Dal Santos Dumont?"

"Esatto".

"Possiamo passare lì e cambiare l'orario del volo, non le faccio pagare l'extra".

"Devo arrivare presto".

"Venire a Rio e non salire in cima al Cristo è un peccato".

"Sarà per la prossima volta".

Rimasero in silenzio. Che gusto c'era ad andare senza sua moglie? A lei sì che piacevano le passeggiate. Ebbe voglia di tornare indietro, far fermare l'auto e rimanere a guardare il Cristo. Sarebbe stato come salire lassù, anzi, anche meglio, perché durante il giorno c'era di sicuro troppa gente, i turisti con le loro macchine fotografiche e la solita coppia che gli avrebbe chiesto di scattare una foto, e tutto sarebbe finito come sempre in una noia mortale. Tra tanti innamorati, Pedro si sarebbe sentito ancora più solo, dandosi la colpa per non aver portato anche Roberta. Se si fosse fermato in mezzo alla strada a guardare la statua - così distante e luminosa - ne avrebbe ricevuto più piacere che ad andare fin là sotto. Ma si sarebbe sentito anche solo. Era un uomo sempre più solo. Aveva passato tutta la notte a bere insieme ai colleghi del congresso, si era parlato un po' di tutto, c'erano alcune donne interessanti nel gruppo e per una di loro si era persino entusiasmato, un po' vecchia ma ancora bella, e all'improvviso la solitudine.

"Vado via".

"È presto", disse lei.

"Domani ho il volo alle sette".

"Ma è disumano".

"Era l'unico".

Aveva mentito. Il volo non era alle sette ma alle undici. "E va bene", gli aveva detto baciandolo su una guancia, ed era tornata a unirsi agli altri.

Lui li salutò con un cenno della mano e con un: "Ci si rivede al prossimo congresso". Se ne andò in mezzo ai fischi di riprovazione degli amici, che invece avrebbero continuato a fare baldoria fino al mattino. Gli sembrava che niente più avesse gusto. Tornare all'hotel. Tornare nella sua città. Tornare a casa. La sua casa era Roberta.

Era stato un bene e un male vedere il Redentore, aveva realizzato una richiesta della donna, aveva visto il Cristo. Non come avrebbe voluto lei però. Continuava a pensarla.

"Non trovo il civico", disse il tassista.

"Per la verità sto al Palace".

"Allora lo abbiamo già passato. Faccio il giro".

All'angolo, mentre aspettavano che il semaforo facesse verde, Pedro vide varie prostitute sul marciapiede, una passeggiava e le sue gambe bianche riflettevano le luci delle

auto, assomigliava alla scena del Cristo illuminato. "Sono tutti travestiti", precisò il tassista.

Quando l'auto riprese a camminare Pedro guardò avanti senza badare ai marciapiedi, ma attento alle ombre, dalle quali improvvisamente spuntavano gambe, fianchi e seni.

"La posso accompagnare in un night qui vicino. Lì ci sono solo donne vere".

"Sono molto stanco".

Dopo pochi attimi l'auto si fermò davanti all'hotel, non venne nessuno ad aprire lo sportello, lui pagò la corsa e ricevette un biglietto da visita dal tassista.

"Se vuole andare al Cristo domani, mi chiami".

"Vedremo", disse lui, mentre scendeva con la certezza che il giorno seguente avrebbe voluto soltanto arrivare presto in aeroporto e restare lì ad aspettare il volo, anche a lungo, perché così si sarebbe sentito più vicino a casa.

La porta dell'hotel era chiusa a chiave, ci volle un po' perché la aprissero. Salì dritto nell'appartamento all'ultimo piano e senza spogliarsi si stese sul letto. Presto sarebbe spuntata l'alba. Allora avrebbe fatto un bagno e avrebbe cominciato a preparare la valigia. La stanza era in disordine, i documenti del congresso erano sparsi sull'altro letto singolo. Come sempre, al momento di partire avrebbe buttato tutto nella spazzatura.

Sdraiato sul letto ma ancora sveglio continuò a pensare a quelle gambe bianche. Stavano a due isolati dall'hotel. Erano belle gambe, femminili, ne sentiva un desiderio febbrile. La stanchezza era scomparsa. Solo la solitudine restava ancora, desiderosa di quelle gambe.

Una volta, quando era ancora un bambino, a casa di un suo amico i due si erano chiusi in camera per giocare, e a un tratto l'altro s'era abbassato i pantaloncini, distendendosi prono sul letto.

"Vieni, aveva detto".

Pedro non sapeva che fare. Non era mai stato con una bambina. Ma quelle natiche bianche, le gambe senza peli, la passività, tutto lo attraeva.

"Vieni, sbrigati", aveva detto l'amico mentre si agitava.


"Sopra di me".

Lui si era avvicinato e si era coricato, sentendo qualcosa all'inguine.

"Non con i vestiti. Togliti i pantaloni".

Si era alzato, aveva aperto la porta ed era scappato via. Nel giardino, vedendo ]a sorella dell'amico l'aveva immaginata nuda.

"Dov'è Dudu?"

"In camera".

"Già te ne vai?"

"Devo ancora fare i compiti".

Aveva preso la bicicletta appoggiata al muro e se n'era andato a pedalate decise. Sarebbe stato bello. Avrebbe potuto distendersi sopra l'amico pensando alla sorella. Non sapeva se era per via del sellino della bicicletta o per lo sfregare delle cosce mentre pedalava, ma quando arrivò a casa, tutto rosso e ansimante, sentì il sesso pulsare. Andò in bagno e continuò a stringerlo, ripensando a quello che era successo. Perché gli era mancato il coraggio?

Questo era accaduto più di vent'anni fa. Ogni volta che s'incontravano, Edoardo si comportava come se non fosse successo niente e qualche anno dopo sposò la ragazza più bella della città. Da allora si trattavano con rispetto. Una volta, entrambi già sposati, s'incrociarono dentro la sauna del club e Pedro abbassò gli occhi, non vide il corpo nudo dell'amico, soltanto i piedi, piedi magri, pieni di vene e nervi, le unghie tagliate molto corte. Imbarazzato, uscì dalla sauna e non ci tornò più.

Si alzò dal letto e scese nella reception, il portiere gli aprì la porta e lui camminò lungo l'Avenida Nossa Senhora de Copacabana fino all'angolo dove il taxi si era fermato. Là c'era la donna bianca che non era una donna, lui si avvicinò, lei litigava con una negra. La negra aveva i seni grandi. Quelli dell'altra erano piccoli, ma spuntavano da una blusa di maglina. Si avvicinò, stavano discutendo, e passò la mano sul suo seno.

"Andiamo in albergo?"

"Non ho i documenti, tesoro".

Senza badare molto a lui continuò a litigare con l'altra, dandogli della troia. Nell'illusione di voler sembrare femminili le loro voci erano ripugnanti.

Girò l'angolo dirigendosi verso il mare. Tra le macchine parcheggiate, sotto alcuni alberi vide un'ombra che lo chiamava con uno "psss!". Si avvicinò. Era buio, non riusciva a vederne il volto, aveva i capelli lunghi e le gambe che spuntavano dalla minigonna di jeans erano robuste e more.

"Vuoi farti un giro?"

"Ce li hai i documenti?"

"Sì"

"In albergo?"

"In albergo fanno ottanta".

"Vienimi dietro".

Andarono in hotel, evitando di passare davanti alla donna bianca. Pedro non si voltò mai a guardare indietro. Non voleva vederla in faccia.

Il portiere ci mise un po' per venire ad aprire.

"Lei sta con me", disse Pedro senza girarsi.

Andò verso l'ascensore, rimase ad aspettare che lei riempisse la scheda. Sentiva un calore che non aveva mai provato prima. Quando lei arrivò entrarono in ascensore, lui spinse il numero del piano e senza guardarla mai in volto, di lei vedeva solo le gambe scure e carnose, salirono in silenzio.

Pedro scese per primo, aprì l'appartamento e accese la luce del bagno. Lei si distese sul letto dove lui prima aveva cercato di dormire. Si tolse i vestiti e lui vide d'un tratto qualcosa davanti che gli pendeva, ma chiese subito che si voltasse.

"Cielo, tesoro!"

Si mise di spalle, non era nera, era mulatta, lui allora si tolse i vestiti, infilò il preservativo che lei aveva appoggiato sul letto e si sdraiò. Sulle natiche c'erano delle smagliature. Non pensava che anche gli uomini avessero le smagliature.

"Sono i tuoi o è una parrucca?"

"Una parrucca".

"Allora toglila".

I capelli cortissimi. Si mosse ancora un po' sopra di lei, ma la sbronza di botto finì. Avrebbe voluto vestirsi e lasciare la camera, questa volta però la camera era sua. Si alzò.

"Adesso vattene".

"Non ci riesci, tesoro. Chissà, magari è altro quello che vuoi?"

"Ho detto vai via".

"Non essere così brutale".

Con i vestiti in mano, Pedro andò in bagno, tolse il preservativo con la carta igienica e fece una doccia veloce. Lei entrò nel bagno indossando solo gonna e sandali, si sistemò la parrucca davanti allo specchio. Fu allora che lui vide l'immagine di Cristo tatuata sulla pancia, un Cristo un po' selvaggio. Ebbe voglia di vomitare.

Uscì bagnato con l'asciugamano e i vestiti in mano. Si asciugò e si cambiò velocemente. Quando lei tornò indossava la camicetta ma si riusciva ancora a vedere il tatuaggio. Cominciò a contare i soldi.

"Sono per te".

"Posso prendere un pacchetto di patatine?", chiese, indicando alcune cose da mangiare che stavano sopra un tavolo.

Lui prese un pacchetto e glielo diede.

"E una birra?"

Aprì il frigobar e tirò fuori una lattina.

"Me la apri, amore?"

"No, adesso vattene".

"Accidenti che cafone".

Tenendola saldamente per il braccio, Pedro la accompagnò fino alla porta. Lei proseguì ancheggiando fino all'ascensore. Lui non la vide nemmeno. Chiuse la porta a doppia mandata e andò a sedersi sulla poltrona. Il telefono iniziò a squillare. Saltò su quasi spaventato.

"Pronto? Si, tutto bene. Grazie, no, nessun problema, la lasci andare".

Aprì le finestre, sistemò il disordine sull'altro letto, da dove tolse la coperta per coprire quello che avevano usato. Si tolse i vestiti e si sdraiò. Sentiva ancora pulsare lì. È qui che l'uomo sente la sua solitudine, pensò. Batteva forte, allora prese tra le mani quella cannuccia ancora palpitante e continuò a stringerla fino a sentire l'umido tra le gambe. Poi fece un lungo bagno, l'acqua era bollente. Anche la stanchezza se n'era andata. Nasceva la voglia di fare qualcosa, di lavorare, di tagliare il prato di casa.

Indossò gli abiti con cui avrebbe viaggiato, preparò scrupolosamente la valigia buttando via il materiale del congresso, il biglietto da visita del tassista, e le mutande usate quella notte.

Vestito di tutto punto e pettinato, le scarpe allacciate più strette del necessario, davanti alla finestra dell'appartamento che si affacciava su alcuni palazzi residenziali tutti più bassi dell'albergo, rimase ad aspettare che il giorno nascesse.





(Racconto tratto dall'antologia Il Brasile per le strade , Azimut editori, Roma, 2009. Traduzione e organizzazione a cura di Silvia Marianecci.)








Miguel Sanches Neto, originario di una piccola città dello stato del Paranà, nel Brasile, dove è nato nel 1965. È professore di Letteratura Brasiliana all'Università di Ponta Grossa, poeta, giornalista e critico lette­rario. Tra le opere che lo hanno consacrato come uno dei migliori autori della sua generazione ricordiamo Um amor anarquista , Record; Inscrições a giz , FCC; e Hóspede secreto , Record, raccolta da cui è tratto il racconto Redentore.



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