LO CHEZ NOUS

– Brano tratto dal romanzo Palazzo Yacoubian –


‘Ala Al-Aswani




II centro del Cairo fu per almeno un secolo il fulcro commer­ciale e sociale della città. C'erano le grandi banche, le società straniere, i negozi, gli studi medici, gli uffici degli avvocati famosi, i cinema, i ristoranti di lusso. L'ex classe dirigente egiziana aveva costruito il centro per farlo diventare il quartiere europeo del Cai­ro. Le sue strade assomigliavano alle strade di tante città del Vecchio continente, avevano lo stesso stile architettonico, la stessa pa­tina d'antichità. Il quartiere aveva conservato fino agli inizi degli anni sessanta un'impronta puramente occidentale. I vecchi ricor­dano ancora la sua eleganza. Non si poteva girare per il centro in galabeyya . Chi la indossava non veniva accettato in ristoranti come Groppi, l'Americaine, I'Onion e neanche nei cinema Metro, Saint James, Radio o in altri luoghi, dove era richiesto l'abito scu­ro per l'uomo e il vestito da sera per la donna. I negozi chiudevano tutti la domenica e nelle feste cattoliche, tipo Natale e Capodanno, il centro veniva adornato come se si trattasse di una capitale occidentale: sulle vetrine brillavano le scritte di auguri in fran­cese e in inglese, e le raffigurazioni di Babbo Natale. I bar e i ri­storanti si riempivano di stranieri e aristocratici che festeggiavano bevendo, cantando e danzando.

Il quartiere era pieno di piccoli bar dove, nei momenti liberi, si poteva andare a bere e a mettere sotto i denti qualcosa di appetitoso a un prezzo più che onesto. Negli anni trenta e quaranta alcuni locali offrivano insieme alla consumazione piccoli spettacoli di musica dal vivo: un pianista greco, un italiano, un gruppo di danzatri­ci ebree. Fino alla fine degli anni sessanta nella sola via Suleyman pasha si contavano più di dieci bar. Poi arrivarono gli anni settanta e il centro cominciò a perdere di importanza. A poco a poco il cuo­re del Cairo si spostò dove viveva la nuova classe dirigente, a Mohan­disin o a Medinet Nasr. La società egiziana fu scossa da un'inesora­bile ondata di religiosità; bere alcolici divenne socialmente mal visto. I governi successivi, ubbidendo alla pressione del clero (con ri­sposte ancora più eccessive di quelle della corrente islamista cui si opponevano), restrinsero la vendita di alcolici ai ristoranti e ai gran-di alberghi e proibirono le licenze di nuovi bar, così alla morte del proprietario (quasi sempre straniero) il governo ritirava la licenza ed esigeva dai successori il cambio di attività. Per non parlare delle continue retate della polizia che controllava i documenti dei clien­ti e talvolta se li portava in questura per accertamenti.

Fu così che all'inizio degli anni ottanta, in tutto il centro del Cairo non si contavano che pochi bar dispersi qua e là, i cui pro­prietari erano riusciti a resistere alle ingerenze religiose e alla re-pressione governativa in due modi: occultando l'attività o pa­gando una tangente. Nessun locale del centro si faceva pubbli­cità, la parola bar venne sostituita con ristorante o caffè e i pro­prietari dei bar e dei negozi di alcolici dipingevano le bottiglie per nasconderne il contenuto. A volte coprivano le vetrine con dei fogli di carta oppure vi esponevano altre merci che nascon­devano la vera attività. Era vietato bere alcolici sui marciapiedi davanti ai bar, o anche solo davanti a una finestra aperta che dava sulla strada.

Se da un lato furono prese severe misure precauzionali – do­po che giovani islamisti avevano incendiato alcuni negozi di alco­lici – dall'altro ai proprietari dei pochi bar rimasti fu imposto di pagare una regolare tangente, molto salata, ai poliziotti in bor­ghese della zona e ai responsabili del comune che permettevano loro di rimanere aperti. E poiché vendevano alcolici nazionali a basso prezzo, i proprietari dei bar che non riuscivano a sostenere i costi della tangente, si videro costretti a cercare "un'altra strada" per aumentare le entrate. Alcuni si dedicarono allo sfruttamento della prostituzione, utilizzando le ragazze come cameriere (era il caso del bar Cairo a piazzaTawfiqeyya, del bar Midò e del bar Pus­sy Cat ad ‘Amad ed-din); altri invece si misero a produrre gli alcolici in laboratori rudimentali, invece di comprarli, per raddop­piare i guadagni, come era avvenuto nel bar Haligiyan in via An­tikhana e nel bar Giamaica in via Sherif. Quegli alcolici, adulterati e tossici, furono causa di non poche disgrazie: una delle più famose fu quella di un giovane pittore che perse la vista dopo aver bevuto un brandy deteriorato nel bar Haligiyan. La procura ge­nerale ordinò la chiusura del locale ma il proprietario riuscì poco dopo a riaprirlo, utilizzando i soliti metodi.

Alla fine i piccoli bar del centro che erano sopravvissuti, non erano più quei luoghi puliti e a buon mercato dove ci si andava a divertire, ma divennero covi mal illuminati e soffocanti, frequen­tati per lo più da gentaglia e persone di malaffare, a parte rare ec­cezioni come il bar Maxime, situato nel passaggio fra via Qasr al-Nil e via Suleyman pasha, e il bar Chez nous situato proprio sotto Palazzo Yacoubian.

 

 

Lo Chez nous è situato qualche gradino sotto il livello della stra­da. L'illuminazione è soffusa e anche durante le ore diurne c'è una specie di penombra creata da pesanti tende. Il bancone del bar sulla sinistra, i fitti tavolini di legno verniciato scuro, le lampade antiche in stile viennese appese alle pareti, i lavori di legno intarsiato, le tovaglie di carta stampate a caratteri latini e i grossi calici per la birra danno al bar l'aspetto di un pub inglese. Com'è piacevole d'estate entrare nello Chez nous, dopo essersi lasciati alle spalle via Suleyman pasha con tutto il chiasso, il caldo e la folla, e sedersi a bere una birra ghiacciata nel silenzio, con l'aria condizionata al mas­simo, con quell'illuminazione tenue e rilassante. Sembra di aver trovato riparo dal tran tran della vita di tutti i giorni. È soprattut­to questa l'impressione che caratterizza il bar Chez nous.

Il locale è noto come luogo di incontro per omosessuali (in più di una guida turistica occidentale viene segnalato per questa ca­ratteristica). Il padrone si chiama ‘Aziz, ma lo chiamano l'Inglese (per la carnagione bianca, i capelli biondi e gli occhi azzurri). È omosessuale, e si dice sia stato l'amico del vecchio greco, l'antico proprietario del bar che, per amore, glielo ha regalato prima di morire. Corre poi voce che organizzi feste scandalose nelle quali presenta i gay ai turisti arabi, e che la prostituzione omosessuale gli renda laudi guadagni, una parte dei quali serve a pagare le tangen­ti che lo mettono al sicuro dalle seccature con la polizia. L'Inglese ci sa fare: ha fascino e buon gusto. Sotto la sua supervisione, gli omosessuali che si incontrano nel bar Chez nous stringono amicizia, liberi di dichiarare le loro tendenze, lontani dalla pressione so­ciale che glielo proibisce.

Nei ritrovi omosessuali, come nelle fumerie di hashish o nelle bische, i clienti provengono da ambienti e classi diverse; tra loro si trovano artigiani, professionisti, vecchi e giovani uniti dalla comu­ne predilezione sessuale. I gay, come i ladri di appartamento, i bor­saioli o tutte le persone che hanno a che fare con la giustizia, usano un codice specifico per intendersi, senza essere capiti dagli estra­nei. Per esempio, chiamano l'omosessuale passivo "kodiana" e gli danno un nome di donna per identificarlo, tipo Su‘ad, ‘Angy, Fatma ecc. L'omosessuale attivo è chiamato "burghul', e nel caso di un sempliciotto e ignorante viene chiamato "burghul secco". Il ses­so fra uomini è detto "aggancio". Gli omosessuali si riconoscono e si inviano messaggi con i gesti delle mani: quando per esempio si stringono la mano e uno dei due tocca il polso dell'altro con un dito, significa che vuole avere un rapporto; se avvicina due dita e le strofina durante la conversazione, significa che sta invitando l'in­terlocutore a un appuntamento; se appoggia un dito sul cuore vuol dire che si è innamorato e così via.

‘Aziz, l'Inglese, veglia sulla tranquillità e l'allegria dei suoi clien­ti, ma nello stesso tempo proibisce loro di esternare troppo i sen­timenti. Con l'avanzare della notte il tono delle voci si fa sempre più alto, i clienti bevono e vengono colti da un'irrefrenabile voglia di chiacchierare (come succede in tutti i bar), ma i beoni del bar Chez nous non pensano solo a ubriacarsi: si scambiano parole d'a­more e barzellette oscene, facendo continue allusioni al sesso. Quando qualcuno allunga le mani, però, ecco che immediatamen­te interviene l'Inglese, usando ogni mezzo a sua disposizione per ristabilire l'ordine. All'inizio il soggetto viene ammonito garbatamente, poi, se insiste, viene minacciato di espulsione. A volte l'In­glese si infuria così tanto da diventare paonazzo e inveisce contro chi si è lasciato andare, dicendo: "Ehi tu, visto che ti trovi nel mio locale, comportati bene. Se ti piace il tuo amico alzati e sparisci con lui, ma qui nel bar, guai a te se allunghi le mani".

La severità dell'Inglese non dipende naturalmente da scrupoli morali ma da un puro calcolo. Molto spesso infatti il bar riceve visite dalla polizia. È vero che si limitano a dare una rapida occhia­ta in giro senza molestare i clienti (grazie alle cospicue mazzette), ma se per caso assistono a uno scandalo, mettono tutto a soqqua­dro e colgono l'occasione per estorcere più soldi all'Inglese.

 

 

Poco prima di mezzanotte si aprì la porta del bar e Hatim Rashid apparve con un giovanotto sui vent'anni, scuro di carnagio­ne, vestito in modo semplice, con i capelli rasati a zero da soldato.

Gli avventori erano ormai ubriachi. Urlavano e cantavano, ma nel momento in cui Hatim entrò, si calmarono e lo osservarono con curiosità e rispetto. Sapevano che era un kodiana, ma una barrie­ra invisibile impediva loro di parlargli in modo sconcio; perfino i clienti più sfacciati e insolenti si comportavano con lui in modo educato.

Ciò era dovuto a vari fattori: il professore Hatim Rashid è un giornalista molto noto, inoltre è il caporedattore del giornale "Le Caire", pubblicato al Cairo in lingua francese, e appartiene a una nobile famiglia aristocratica. La madre era francese e il padre, il dottor Hasan Rashid, un famoso avvocato, era stato preside della facoltà di legge negli anni cinquanta. Hatim, inoltre, è un gay con­servatore (se si può usare questa espressione): non si prostituisce, non si trucca e non assume atteggiamenti femminili come fanno molti kodiana. C'è nel suo aspetto e nel suo comportamento un misto di eleganza, delicatezza ed effeminatezza. Per esempio, stanot­te indossa un completo rosso scarlatto e una camicia rosa di seta pura con le larghe punte del colletto che gli scendono aperte sul pettorale della giacca, una sciarpa gialla legata intorno al collo e infilata nella camicia. Potrebbe sembrare una stella del cinema, con la sua eleganza, la figura slanciata, i fini lineamenti francesi, se non fosse per le rughe che gli solcano il viso, sintomi di una vita srego­lata, e quell'espressione cupa e sgradevole che caratterizza spesso i volti degli omosessuali.

‘Aziz l'Inglese gli si avvicinò dandogli il benvenuto. Hatim gli strinse amichevolmente la mano e con un gesto elegante gli pre­sentò il suo giovane amico dicendo: "Il mio amico ‘Abd Rabbu che sta facendo il servizio militare".

"Molto piacere" disse ‘Aziz con un sorriso, esaminando il cor­po forte e robusto del giovane. I due si andarono a sedere a un ta­volino tranquillo in fondo al bar e ordinarono un gin tonic per Hatim e una birra di importazione per ‘Abd Rabbu, con alcuni stuzzichini caldi. Poco a poco i clienti distolsero l'attenzione da lo­ro e ripresero a ridere e a chiacchierare fragorosamente mentre i due si immergevano in una lunga e logorante discussione.

Hatim parlava sottovoce guardando l'amico e cercando di convincerlo, mentre ‘Abd Rabbu lo ascoltava svogliato, rispondendobruscamente. Il discorso andò avanti per circa mezz'ora, durante la quale bevvero due bottiglie e tre bicchieri. Alla fine Hatim si ap­poggiò sullo schienale e lanciò una profonda occhiata ad ‘Abdu:

"Hai deciso?'.

"Sì" rispose ‘Abdu ad alta voce, sotto i rapidi effetti dell'alcol. "'Abdu, vieni con me stanotte e domani ne riparliamo."

"No."

"Dai ‘Abdu, per favore.' "No."

"D'accordo, ma ne possiamo parlare con calma senza che ti scaldi in questo modo" sussurrò Hatim affettuosamente, toccando con un dito la grossa mano dell'amico appoggiata sul tavolino. Quell'insistenza sembrò soffocare ‘Abdu che ritrasse la mano e sbuffò arrabbiato: "Te l'ho già detto, non posso dormire da te. La setti­mana scorsa sono arrivato in ritardo tre volte per colpa tua. L'uffi­ciale mi manderà in cella di punizione".

"Non ti preoccupare, ho trovato una buona raccomandazione."

"Basta!" gridò ‘Abdu irritato spingendo il bicchiere di birra che si rovesciò rumorosamente. Subito dopo si alzò, lanciò uno sguardo furioso in direzione di Hatim e si precipitò verso l'uscita. Hatim tirò fuori alcune banconote dal portafoglio, le gettò sul tavolino e si lanciò all'inseguimento dell'amico. Nel bar calò il silen­zio per alcuni istanti, poi risuonarono i commenti degli ubriachi: "Un burghal con i coglioni, ragazzi!".

"Povero chi ama senza trarne soddisfazione!"

"Cosa facciamo tesoro, ora che ti ho prosciugato il conto?"

I presenti scoppiarono a ridere e cominciarono a intonare vi­vacemente una canzone oscena finché ‘Aziz non fu costretto a in­tervenire per ripristinare l'ordine.

 


(Tratto dal romanzo Palazzo Yacoubian, Feltrinelli editrice, Milano, 2006. Traduzione di Bianca Longhi.)




Ala al-Aswani
è nato al Cairo nel 1957. Oltre a esercitare la professione di dentista (il suo primo studio era proprio a Palazzo Yacoubian), scrive per molti quotidiani e riviste di letteratura, politica e questioni sociali. Palazzo Yacoubian è stato pubblicato nel 2002 suscitando grande scandalo per i temi affrontati e, da allora, è il romanzo pia venduto nel mondo arabo. Dal libro è stato tratto un film che non mancherà di suscitare nuove polemiche.

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