QUANDO FAI L'ALBERO DI NATALE
Monica Dini
Lino mise il filo d'argento sull'abete, ne arrotolò un capo alla cima per
fermarlo, gli sembrò che sua moglie facesse così. Lo guardò
ciondolare morto lungo le fronde e rimase lì a contemplarlo come se da
esso dovesse arrivare l'indicazione per continuare. Lo guardò bene e per
la prima volta si rese conto che era un ammasso di fili di plastica. Gli altri
anni era stato un decoro brillante. Tolse dallo scatolone degli addobbi, le
confezioni di palline. Sua moglie le riponeva ogni anno nella propria confezione,
le spolverava una alla volta, chissà se si era resa conto che l'anno dopo
non lo avrebbe più fatto. Di certo no, non si vive pensando di morire. Ne
prese una di oro opaco con le righe rosse, la guardò in controluce e pensò
che l'aveva tenuta in mano lei l'ultima volta. Chiuse la pallina delicatamente
fra le mani, si concentrò ma non sentì nessun calore residuo. Niente,
solo vetro. Sono
di torrone le feste di Natale. Stucchevoli di buoni propositi, dure da digerire
e appiccicose. E poi se hai il diabete, sono anche pericolose. Il
filo d'argento si muoveva, l'aria del radiatore lo faceva vibrare. Brillava finto
come la bava di carità di quei giorni dell'anno. Il Natale era solo la
moltiplicazione dei mendicanti, ancora più tristi, ancora più poveri,
ancora più buoni e sfigati. E i regali? Aveva un set di pigiami
ben piegato e imbustato pronto per quando sarebbe stato ricoverato in ospedale.
Aveva anche un set di magliette, di mutande, di calzini e una vestaglia di pile
color buccia d'arancia avvizzita. Tutte cose nuove pronte per l'ospedale. Come
un corredo da matrimonio. Non era una cosa brutta però, dava sicurezza.
Solo le donne potevano pensare a queste eventualità. Non
era male essere soli, si poteva mangiare la pasta in bianco per Natale. Pensò
al suo unico figlio sposato, era andato al caldo a passare le vacanze. Era una
fortuna, visto che aveva una nuora svenevole, concentrata in quel periodo,
a dare tutto l'amore che in un anno non aveva avuto tempo di dare. Ci voleva l'insulina
per combatterla. Mise
un gancetto ad una pallina, era un gancetto di ferro e si bucò un dito
nel ripiegarlo. Lanciò la pallina contro l'albero. Si incastrò magicamente
tra i finti aghi, ne lanciò altre due. Si lisciò le braghe dei pantaloni
si spostò un po' all'indietro, piegò il capo in contemplazione e
gli caddero le braccia lungo il corpo, come un mancamento. Infilò la
giacca e scese in strada. Faceva
freddo. La gente era come topi in una discarica. L'associazione commercianti
si era occupata dell'illuminazione natalizia della strada. Era un tunnel di luci,
potevi immaginare che dopo averlo percorso tutto, ti dessero i risultati di una
risonanza magnetica. Ad un terrazzo pendeva uno striscione sfilacciato che augurava
buone feste e una fila di lucine a tratti spente, come un sorriso cariato. All'angolo
dove c'era lo studio del notaio, un Babbo Natale in gommapiuma, agonizzava impiccato
nella canala. In lontananza, alberi di Natale con poche luci messe male, scrivevano
sulla sera. Lino ciondolava sul marciapiede. Un Babbo Natale in bicicletta
l'apostrofò imbestialito -
Levati di mezzo, scemo - poi si allontanò imprecando. Per terra, in
un cantuccio vicino ad un vaso di fiori con una pianta morta, il vento aveva lasciato
dei volantini. C'erano quelli di "Babbo Natale a casa tua", quelli del
"Cenone di Capodanno con le donne più belle del mondo" c'erano
anche gli orari delle messe nelle Festività. Sullo scalino del negozio
di giocattoli, una donna chiedeva l'elemosina. Teneva sdraiato sulle ginocchia,
un bambino sudicio che dormiva. Aveva le manine livide e le piccole braccia erano
allargate, distese come in un crocefisso. Lino lo pensò morto. Nell'aria
girò un profumo di arrosto, gli fece bene come un radiatore caldo d'inverno
in piazza. In fondo dove la strada biforcava e a destra entravi nel centro
storico, brillava con la B iniziale spenta, l'insegna "BOUTIQUE DEL BONGUSTO".
Era una gastronomia. Gildo
Bongusto, il proprietario, aveva rispolverato i vecchi addobbi di Natale. Aveva
un alberello parlante che si dimenava e cantava, aveva il Babbo Natale maniaco,
che parlava e tirava giù le mutande mostrando grasse chiappe suine, aveva
un festone blu e uno argento, di quelli a singhiozzo, come file di salsicce, ad
incorniciare l'ingresso, l'unico lusso che si era concesso per le decorazioni,
era un tappeto nuovo verde e rosso con la scritta Merry Christmas, lo vedevi appena
entravi in negozio . Sul banco, in bella vista, c'era una porchetta cotta al
forno con la crosta croccante e Gildo, per intonarla all'aria natalizia, le aveva
legato tra le orecchie una coccarda rossa. Una mela, come al solito, le tappava
la bocca.
A
Lino il profumo di arrosto fece venire fame, strascicò fino alla vetrina
di Bongusto, le luci riflettevano sui vetri, si avvicinò per vedere meglio.
D'un tratto, la scarpa destra sprofondò in qualcosa di viscido.
-
Merda! - disse piano. Guardò
sotto la scarpa. Era quella, un bioccolo viscido e filamentoso. C'era
gente nella gastronomia, non fecero caso a lui quando entrò. Bongusto
tagliava la porchetta sbavando sulla bontà e ne offriva alle grasse signore
che avrebbero voluto, ma non potevano mangiare niente. Purtroppo. Lino si pulì
la scarpa merdosa al tappeto nuovo Merry Christmas. Il tanfo cominciò
a confondersi tra gli aromi. Immediatamente. Una signora con i capelli dalle
feste e le unghie bianche, lunghe tutte uguali, si guardò intorno perplessa
allargando le narici. -
Cos'è questo puzzo? - disse - In effetti lo sento anch'io - confermò
un'altra Lino
stava indifferente in mezzo a loro. -
Non è che la porchetta è vecchia? - aggiunse il signore con gli
occhiali dalla montatura nera - MA COSA DITE? - si agitò Bongusto -
E' ancora calda, è profumata, assaggiate! - No grazie - fecero in coro. Comprarono
prosciutto, mortadella e solo un po' di pane, grazie. Bongusto era affranto,
aveva mezzo chilo di porchetta tagliata e nessuno che la voleva. Più volte
l'aveva odorata, assaggiata, era buonissima! La
comprò tutta Lino, la porchetta, pagò, prese il grasso cartoccio,
se lo infilò in una tasca della giacca, evitò il tappeto puzzolente
e uscì. Era
ancora più freddo fuori. Un bambino capriccioso piangeva dando calci alla
madre. Lino tornò a strascicarsi senza meta sul marciapiede. Teneva
le mani in tasca insieme alla porchetta. Il vento era più forte e molti
alberi di Natale nei vasi, erano caduti come soldati morti. In piazza c'era
la vecchia delle caldarroste. Era come la Befana, rinsecchita e infagottata in
uno scialle nero. Il profumo di caldarroste e di legna bruciata era portato dal
vento gelido. Lino si avvicinò per scaldarsi. Allungò le mani verso
il braciere. La vecchia pensò che volesse comprare e si mosse. -
No grazie - le disse Lino - Non mi piacciono le caldarroste - Allora vai, che
se stai davanti la gente non mi vede! - l'apostrofò la vecchia arcigna Lino
tirò su il bavero della giacca e riprese a camminare. Era curvo. Il vento
gelido gli mordeva le orecchie e il dolore si diffondeva fino alla base del collo.
Camminò lungo il muro scrostato della Manifattura dei Tabacchi, lungo
il parco con il suo enorme prepotente albero di Natale. Camminò lungo
la strada che porta al cimitero. Era buia, silenziosa, gli alberi lì erano
spogli e rassegnati al vento. Arrivò al cancello del cimitero. Era chiuso.
Si aggrappò alle inferriate fredde come cristalli e guardò le luci
delle tombe come alberi di Natale. Erano belle. Il vento gli sputava addosso,
mise le mani rattrappite in tasca. Trovò la porchetta. Sembrava ancora
tiepida, si rannicchiò tra il cancello e il muro. La scartò, l'odore
volò via subito col vento. Cominciò a mangiare la porchetta, prima
a spizzichi, come chi è a dieta, poi alzò al vento le fette profumate
come per benedirle e le lasciò cadere intere in bocca insieme al moccio,
che il vento gli strizzava fuori. La
mangiò tutta. Mezzo chilo di porchetta senza pane.
(Il
racconto Quando fai l'albero di Natale è inserito nella raccolta
Leggerezza prossimamente in libreria a cura della casa editrice Besa.)
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