IN SERVIZIO PERMANENTE
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Un'intervista a Renato Barilli -
Paolo Giuliani
P. Giuliani:
Professor Barilli, la sua attività di studioso letterato la si
può inquadrare, come nascita, all'interno del movimento di punta delle
neoavanguardie degli anni '60, il "Gruppo 63". Da quel periodo come
si è evoluta la sua passione di critico letterario e d'arte, cosa le ha
lasciato in eredità l'esperienza maturata in quella fase? R.
Barilli : Proprio il fatto di occuparmi sia d'arte che di letteratura
mi permette di essere in servizio permanente. Per esempio, verso il '68 la
ricerca letteraria è entrata in crisi, tanto è vero che il Gruppo
63 si è sciolto. Il fatto è che la letteratura è rimasta
abbarbicata all'aspetto gutenberghiano del libro, senza aprirsi all'impatto delle
nuove tecnologie di specie elettronica, come invece è avvenuto nel campo
delle arti visive, che hanno vissuto l'inebbriante capitolo delle nuove tendenze
nel segno del comportamento, della performance, dell'installazione, del concetto.
E infatti in quel momento mi sono sentito soprattutto addetto ai lavori nell'ambito
dell'arte, che poi a ben vedere stava vivendo la crisi nota anche come "morte
dell'arte", ovvero sfiducia nei mezzi pittorici tradizionali e attenzione
ai mezzi cosiddetti extra-artistici, come la foto, il video, il corpo, gli oggetti
tali e quali. Per la letteratura, qualcosa di simile poteva essere dato dalle
ricerche di poesia sonora, o visiva, o simbiotica, ovvero dal capitolo detto anche
della "nuova scrittura", comunque lungo tutti gli anni '70 il territorio
letterario sembrò condannato a una certa stasi, o addirittura a un carattere
regressivo e reazionario. E' vero che anche in arte dopo la fase avanzatissima
delle tendenze attorno al '68 ci fu una fase di riflusso, da me preconizzata quando
nel '74 organizzai una mostra presso lo Studio Marconi di Milano intitolata "Ripetizione
differente", col che si apriva l'avventura della "citazione", del
"ritorno a", del recupero del museo e fenomeni simili. Poi, dopo l'80,
la temperatura cominciò a risalire, e proprio la poesia conobbe una fase
di intensa sperimentazione, capace di affacciarsi sugli abissi che mi capitò
di definire della ricerca intraverbale: in sostanza, si scopriva la grande
attualità della prospettiva aperta da Joyce col Finnegans Wake, ovvero
di una letteratura fatta di vocaboli nuovi, creati dal poeta fondendo tra loro
le radici verbali di varie parole. Per il romanzo, si è dovuto aspettare
un momento successivo, gli anni '90, quando si sono affacciati alla ribalta tanti
giovani narratori che in genere hanno fatto la loro prima comparsa negli appuntamenti
annuali di "Ricercare" a Reggio Emilia (le scrittrici Campo, Ballestra,
Vinci, Santacroce, i loro colleghi Mozzi, Nove, Scarpa, Caliceti, Ferrandino,
Covacich, Voltolini ecc. E anche in arte ripartiva il clima del '68 sotto il segno
di un post-concettuale divenuto pratica diffusa e capillare. Ho raccolto tutti
questi fatti all'insegna di "E' arrivata la terza ondata", intendendo
che la prima fosse stata quella delle avanguadie storiche, e la seconda quella
delle neoavanguardie, tra Gruppo 63 e esplosione sessantottesca. P.
Giuliani: Dopo le mostre "Anniottanta" (1986), "Anninovanta"
(1991), "Officina Italia" (1997), "Officina Europa" (1999),
nel 2002 si è "chiusa" la sua terza "officina", "Officina
America", dove lei si è cimentato, come in ognuna delle mostre, in
una sorta di talent scout, profeta dell'arte, oserei dire. Cosa ci riserverà
per il futuro? Stiamo vivendo da anni il periodo della crescita dell'arte digitale,
che sia video-arte, web art, computer art o altro. Verso quale clima si è
diretti secondo lei? R.
Barilli : Ora vorrei fare un'"Officina Asia", se riuscirò
ad avere un finanziamento sufficiente. Sarebbe prevista per la tarda primavera
dell'anno prossimo, e dovrebbe svolgersi, come d'abitudine, a Bologna, Imola,
Cesena e Rimini. Il tema di fondo è che ormai l'arte non è
solo un fenomeno controllato dall'Occidente, ma, grazie all'avvento dei nuovi
media, tutti i Paesi possono dire la loro e riscoprire le proprie radici, senza
paura di cadere nel folclore. Con il triangolo foto-oggetto-scrittura si
possono fare delle affascinanti scoperte nel proprio passato. Si pensi alla bellezza
delle scritture non-alfabetiche. P.
Giuliani: Le chiedo ora di esprimersi criticamente sull'arte di Franco
Vaccari, dalle sue sperimentazioni sulla poesia, alle sue memorabili "Esposizioni
in tempo reale", fino ad una delle sue recenti opere, "Artist's Atelier",
che proprio quest'anno, dopo sei anni di assenza dal web è tornata on-line.
Quest'ultima opera conferma Vaccari come il pionere della net.art in Italia, o
meglio dell'arte concettuale applicata ad Internet. R.
Barilli : Sono da sempre un sostenitore di Franco Vaccari, che ho
avuto il piacere di portare alla Biennale di Venezia nel 1972, dove ha realizzato
un'opera che è ormai un classico. Tuttavia è proprio del mio metodo
non giurare mai su una carta sola del mazzo, ovvero sono abituato al fatto che
esistono quelle che Dorfles ha chiamato le "oscillazioni del gusto".
Si pensi alle coppie chiuso-aperto, formale-informale ecc. Oggi quella più
di attualità è la coppia data da materiale-immateriale, dove però
non è detto che il secondo termine vinca senz'altro sul primo. Non
credo che si proceda inevitabilmente verso indici di smaterializzazione sempre
più spinta, con ruolo via via accresiuto di internet, computer art e simili.
Da un momento all'altro potrebbe scatenarsi una reazione di segno opposto e l'arte
potrebbe desiderare di rituffarsi in una materalità ostentata. Del resto,
l'amico Vaccari è abituato a una specie di "incontrarsi e dirsi addio",
tra me e lui, sa cioè che su di me può contare fino a un certo punto,
ma che all'improvviso lo mollo per seguire altri orizzonti, salvo poi a ritrovarlo
dopo un giro di valzer. P.
Giuliani: Dal 1990 lei ha curato alcune mostre di Manuela Corti. Nel
1997, all'interno di "Officina Italia" ha riprodotto un falso Caravaggio
dipinto da un falso "Madonnaro" il tutto ambientato con finestre da
chiesa (ricreate con finte vetrate di textures computerizzate). Nel '99 con "Passages"
prosegue per la strada aperta da Vaccari due anni prima, realizzando un'opera
che definirei di net-conceptual art, per riproporsi poi, nel 2000 con "Project
Grey". Come descriverebbe, nel suo complesso, la variegata forma di espressione
dell'artista in questione? R.
Barilli : Considerazioni analoghe valgono anche per la Corti, che
ho conosciuto quando era impegnata in un astrattismo geometrico troppo classico,
affidato a tele e colori a olio, spingendola a tentare tecniche più ardite.
Ma ora ho l'impressione che Manuela abbia esagerato, smaterializzandosi un
po' troppo, quindi le consiglierei di ritrovare qualche grado di concretezza e
di manualità. P.
Giuliani: Nel caso di Maurizio Cattelan le chiedo di raccontare come
è iniziata la sua carriera. Considererei la sua arte spesso dissacrante,
ludica, intenta in un meccanismo comico e ironico che lascia gli spettatori a
bocca aperta. A parer mio, al momento è uno dei maggiori esponenti italiani
a livello internazionale, cosa ne pensa lei? Potrebbe approfondire brevemente
la sua poetica? R.
Barilli : Ammiro Cattelan, da quando l'ho inserito, nel '91, nella
rassegna internazionale Anninovanta, ed apprezzo le sue invenzioni estrose e acute.
Però rifuggo dai cliché, come quello per cui sembra che sia il solo
artista italiano, tra i giovani, degno di fama internazionale. Spero che l'arte
si possa permettere tante altre avventure, oltre quelle di Cattelan. P.
Giuliani: Parlando di Franco Vaccari e di Manuela Corti abbiamo accennato
la net.art, una forma d'arte ancora poco nota al grande pubblico, che dagli inizi
degli anni '90 si sta evolvendo restando però un fenomeno di nicchia, rivolto,
nel maggiore dei casi, solo agli addetti al lavoro. Questa evoluzione digitale
la si può chiamare arte? Achille Bonito Oliva nel suo "Gratis - A
bordo dell'arte" parla "della morte del pubblico" (pag. 61):
" Con videotape, videogame, videoclip, realtà
virtuale e una sintesi dei linguaggi veloce ed elettrizzante, la tecnologia ha
creato un'involontaria scuola d'obbligo di prealfabetizzati cronici. Il pubblico
dell'arte diventa "istantaneo", "indiretto", provvisorio e
indeterminato per origine e formazione. […] La velocità diventa il tempo
della contemplazione […] Si assiste così a una morte vaporizzata del pubblico
dell'arte, bersaglio e vettore di molte offerte medianiche. Ad esempio, la navigazione
in Internet sviluppa un "anoressia dell'arte", una smaterializzazione
dell'opera che sembra eliminare ogni nostalgia per il luogo istituzionale del
museo. Ora la telematica ne ha ridimensionato e ridefinito ruolo e presenza. La
tecnica, nella sua capillare estensione e capacità irradiava fin dentro
le mura domestiche, ha allestito un banchetto telematico a domicilio che di nuovo
abbruttisce lo spettatore, terminale sazio di un sistema di iperinformazione quotidiana
e superproduzione creativa di immagini. La tecnologia più evoluta, come
una droga sintetica, ha creato prodotti ibridi in grado di assorbire le più
provocatorie sperimentazioni delle avanguardie, scremate di ogni utopia e virtualità
conoscitiva […] L'arte si fa sistema sovversivo, schegge di tortura di un pubblico
sempre più numeroso di cui non si può fare a meno."
Qual è la sua opinione su questo argomento, sulla "smaterializzazione
dell'opera"? R.
Barilli : Credo che in materia si debba essere molto dialettici:
per un verso, nessuno può fissare limiti all'arte, la quale si può
fare con qualsivoglia mezzo, anzi, è bene sperimentare ogni nuovo medium
proposto dalla tecnologia. Sono stato tra i primi ad occuparmi di videoarte, forse
il primo in assoluto, nel '70, ad andare a trovare gli artisti nei loro studi
o a portarli en plein air, con una esigua squadra di tecnici imprestatimi dalla
Philips, per riprendere direttamente su nastro, con telecamere amatoriali, le
loro operazioni. Già nel 1986 ho tenuto, alla Besana di Milano, una mostra
intitolata "Arte e computer", questo a riprova che non arretro di fronte
ad alcun passo innovativo, però non credo neppure che ciascuno di questi
passi sia irreversibile e costituisca un punto di non-ritorno. Ora, per esempio,
l'eccesso di videoarte che ci circonda francamente mi annoia, semmai mi piacciono
quelli che ci danno delle specie di cartoni animati; e anche l'invasione dei siti
internet mi lascia perplesso e poco appagato. Qualche volta bisogna venire
a patti con la buona materia, Anteo deve riprendere fiato a terra, e anche i trapezisti
sentono ogni tanto il bisogno di scendere dai loro trespoli
(Intervista
realizzata nel 2003. Tratta dal sito www.giulyars.net)
Renato
Barilli, critico letterario e d'arte (Bologna 1935). Ha preso parte alla neoavanguardia
degli anni Sessanta, culminata nel Gruppo 63. Come critico d'arte ha storicizzato
le esperienze d'avanguardia, dalla pop art, alla body art. È Ordinario
al DAMS di Bologna e Direttore del Dipartimento delle Arti Visive. Laurea in lettere
nel 1958, incarico in estetica dal 1970, straordinario di storia dell'arte contemporanea
dal 1972, ordinario di fenomenologia degli stili dal 1980. Ha scritto numerosi
volumi di Estetica, di critica letteraria e di critica d'arte.
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