DALLA DOLCE VITA ALLA VITA AGRA

Gino Ruozzi




Benessere, volgarità e consumismo

Negli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento il boom economico causa in Italia un cambiamento radicale e irreversibile dei modi di vita. Esso muta la vita quotidiana della gente, i connotati del paesaggio, i ritmi di vita. I tempi dell'esistenza hanno un'accelerazione mai conosciuta prima e diventano per tutti “stretti” (dall'emblematico titolo del romanzo di Ottiero Ottieri, Tempi stretti , del 1957).

Progresso e alienazione

L'inizio del secondo dopoguerra era stato segnato da grandi propositi di riforma culturale; si pensi per esempio a Elio Vittorini e al suo programmatico intervento Per una nuova cultura , pubblicato sulla rivista “Il Politecnico” nel 1946. La rapidità e la violenza delle trasformazioni è tuttavia tale che la fiducia nell'evoluzione lineare della società si incrina profondamente. Al rapporto positivo con la realtà subentra in molti un senso di squilibrio e di alienazione.

Gli anni Sessanta conoscono una straordinaria fioritura letteraria

In quest'ottica i primi anni sessanta sono ricchi di testimonianze letterarie indicative. C'è un anno in particolare, il 1962, che vede la pubblicazione di libri tanto rappresentativi sul piano culturale e sociale quanto di notevole valore letterario: Il giardino dei Finzi-Contini di Giorgio Bassani; La vita agra di Luciano Bianciardi; Una nuvola d'ira di Giovanni Arpino; Memoriale di Paolo Volponi; La linea gotica di Ottiero Ottieri; Il calzolaio di Vigevano e Il maestro di Vigevano di Lucio Mastronardi (1959 e 1962). Il 1962 è in poesia l'anno della raccolta La ragazza Carla e altre poesie di Elio Pagliarani, preceduta l'anno prima dall'antologia de I Novissimi curata da Alfredo Giuliani e seguita l'anno successivo dalla fondazione del Gruppo 63.

La letteratura si interessa delle trasformazioni sociali e politiche

Intorno al 1962 ruotano altri testi di rilievo; Italo Calvino pubblica in quegli anni La nuvola di smog (1958); La giornata di uno scrutatore , Marcovaldo e La speculazione edilizia (1963), dedicati alle trasformazioni politiche, ambientali ed economiche della società. Giuseppe Pontiggia aveva da poco esordito con il romanzo di tema bancario La morte in banca (1959); nel 1960 Alberto Moravia pubblica La noia ; nel 1961 Leonardo Sciascia esce con Il giorno della civetta , che denuncia apertamente il predominio politico della mafia in Sicilia; Raffaele La Capria pubblica Ferito a morte , in cui ritrae la società borghese napoletana fuori dai cliché del folclore ; nel 1963 Dino Buzzati stampa Un amore , Beppe Fenoglio Una questione privata , Luigi Malerba La scoperta dell'alfabeto , Primo Levi La tregua ; nel 1964 Giuseppe Berto pubblica Il male oscuro , in cui racconta e analizza il proprio disagio esistenziale e scrive uno dei più autentici romanzi psicanalitici della nostra letteratura; nel 1965 Goffredo Parise, che già si era imposto all'attenzione del pubblico e della critica con Il prete bello (1954), pubblica Il padrone , ritratto di una realtà industriale paranoica.

La tematica industriale

Buona parte di questa letteratura è stata qualificata per anni con l'aggettivo “industriale”. Fu soprattutto Elio Vittorini a promuovere e ad approfondire la natura tematica e stilistica di questo aggettivo. La “tematica industriale” è anche il titolo di un noto saggio di Italo Calvino pubblicato nel 1962 sul “menabò di letteratura”. Calvino si sofferma in particolare su tre libri usciti in quello stesso anno: Una nuvola d'ira di Arpino, Memoriale di Volponi, La vita agra di Bianciardi.

La “vita” al cinema

Il tema della “vita” interessa molto anche il cinema. Del 1960 è il film culto di Federico Fellini La dolce vita , straordinario affresco delle macerie di un mondo in rovina che, paradossalmente, crea invece un duraturo e nostalgico mito vitalistico. L'anno seguente esce Una vita difficile di Dino Risi, in cui il protagonista, interpretato da un magistrale Alberto Sordi, vive la sua difficile integrazione/umiliazione di uomo qualunque. Nel 1964 il regista Carlo Lizzani riprende da Bianciardi La vita agra e narra il disagio e lo spaesamento metropolitano.

La letteratura cerca forme adeguate per rappresentare la società

Gli anni del boom economico sono anni di intensa progettualità sociale e politica, profondamente condivisa anche dalla letteratura. Occorre trovare forme consone allo sforzo e al travaglio che si sta vivendo, tanto sul piano collettivo quanto su quello personale (si pensi per esempio all'inquietudine famigliare e sessuale presente nei romanzi di Arpino, Bianciardi, Mastronardi, Berto, che da problema individuale diventa questione sociale). Il racconto cerca vie mimetiche per raccontare la realtà. A forme continue di tipo più tradizionale come quelle dei romanzi di Bassani e di Sciascia si accostano le forme discontinue e per frammenti di Ottieri e di Flaiano. In queste narrazioni del presente è come se si assistesse a un movimento di resistenza che si oppone all'alienazione prodotta dal progresso industriale. È quanto accade, sotto differenti punti di vista, sia nella Napoli estiva e marina di Ferito a morte di La Capria (1961) sia nella Torino invernale e impiegatizia de La suora giovane di Arpino (1959).

 

La letteratura “industriale” degli anni Sessanta

Tempi stretti e vite agre. Il difficile rapporto tra letteratura e industria

Attraverso la sperimentale “narrativa integrale” della Vita agra Luciano Bianciardi si prefigge di toccare “tutta la tastiera della sensibilità contemporanea”. È un progetto ambizioso, che vuole dare conto della nuova complessità sociale e linguistica, oltre che letteraria, dell'Italia del “miracolo economico”. Bianciardi cerca di rappresentare la molteplicità delle esperienze contemporanee giocando abilmente, con serietà e ironia, sulla grottesca onnicomprensività della propria descrizione. Il testo di Bianciardi presenta una grande freschezza intuitiva e coglie elementi della contemporaneità che oltrepassano il periodo storico del boom economico e anticipano con allucinata lucidità tratti essenziali dell'epoca odierna.

I primi romanzi di Ottieri, Volponi e Mastronardi

Questo carattere distingue anche i testi di Ottieri, Volponi e Mastronardi. La loro ambientazione è nordica e ritrae gli straordinari cambiamenti provocati dal boom economico nella pianura padana. Sul piano cronologico Il calzolaio di Vigevano di Mastronardi (1959) è ambientato ancora prima della seconda guerra mondiale e descrive gli albori di quella piccola industria che costituì la spina dorsale dell'imprenditoria italiana. Fu questa industria, nata dall'attività e dalla genialità di tanti singoli lavoratori ed ex operai diventati imprenditori, a creare una ricchezza diffusa e impensabili fortune economiche.

Il mito imprenditoriale della “fabbrichetta”

Il protagonista del romanzo di Mastronardi incarna il mito dell'ex operaio che vuole avere la propria “fabbrichetta” ed è disposto a ogni sacrificio pur di raggiungere lo scopo. “Mario Sala detto Micca” è un perfetto esempio di uomo macchina, piccolo ma indispensabile motore del progresso industriale e ingranaggio ideale (proprio perché concreto) del sistema capitalistico, che richiede persone che ragionano in termini esclusivamente economici.

Fabbrica e malattia

Lo stesso senso di svuotamento si avverte in Tempi stretti di Ottieri (1957) e in Memoriale di Volponi (1962). Il primo mantiene senz'altro prospettive più positive del secondo, benché sia chiaro che nell'uno e nell'altro caso la “fabbrica” assume i connotati di un'entità umana e divina a cui bisogna sottostare e posporre ogni altro bisogno. La fabbrica è la vera divinità contemporanea e spesso viene non a caso rappresentata in termini religiosi, come un esemplare cattedrale. La fabbrica è anche il nuovo luogo delle relazioni, che sovente sono delle “non relazioni”, specchio di un mondo che ha disimparato a parlare e conoscersi (emblematica, da questo punto di vista, la presenza assordante del “rumore” delle macchine, che impedisce il dialogo).

La vita di fabbrica impone un diverso uso del tempo

La fabbrica impone anche un nuovo uso del tempo, che non è più regolato dalle stagioni e dai ritmi della natura ma da quelli delle macchine, che ogni giorno diventano sempre più veloci. È in questa condizione di “tempi stretti” che le persone e gli operai si riducono a macchine di produzione, senza altra identità che quella della catena di montaggio. Ciò provoca in molti uno stato di alienazione e di malattia, un senso di smarrimento sociale e professionale (così accade per la giovane operaia Emma in Tempi stretti e per Albino Saluggia in Memoriale ). Il disagio si trasforma spesso in malattia, venendo a costituire una nuova variante operaia della malattia borghese già rappresentata nella Coscienza di Zeno di Italo Svevo (1923) e negli Indifferenti di Alberto Moravia (1929).

Il movimento operaio è il nuovo protagonista della letteratura

In Ottieri si affacciano però anche altre possibili risposte, che sono soprattutto quelle della coscienza politica e della solidarietà operaia. In Tempi stretti e anche in Memoriale di Volponi il movimento operaio cerca di reagire all'alienazione della vita e del lavoro di fabbrica attraverso la consapevolezza dell'importanza della propria professionalità e della propria insostituibile umanità. In questi romanzi si respira il clima a un tempo difficile e utopico dell'epoca, in cui accanto alla crescente disumanizzazione del lavoro si profilano anche nuove forme di socialità.

L'utopia come fuga dall'inferno contemporaneo

L'elogio dell'utopia, accanto a un'amara disillusione sullo stato attuale del mondo, viene compiuto da Bianciardi nella Vita agra , romanzo che riscosse uno straordinario successo e che fece dello scrittore un personaggio. La formula “vita agra” divenne quasi di moda e indicò un ribellismo da poeta maledetto che nocque a Bianciardi, riducendo il suo romanzo a un cliché. Il suo anarchismo di fondo fu malvisto sia dai benpensanti borghesi sia dall'area culturale e politica di sinistra, che cercava di organizzare la propria opposizione e che vedeva in Bianciardi una scheggia impazzita e incontrollabile.

 

Due regioni alla ribalta: Piemonte e Sicilia.

I romanzi di Arpino e di Sciascia toccano aree geografiche lontane e opposte

I romanzi La suora giovane di Giovanni Arpino (1959) e Il giorno della civetta di Leonardo Sciascia (1961) esulano dalla tematica industriale e toccano aree geografiche lontane e opposte (benché unite dall'emigrazione), il Piemonte e la Sicilia. Anche i temi sono diversi: al centro del romanzo di Arpino è una storia d'amore che a prima vista potrebbe sembrare drammatica, perché mescola religione e sentimenti; al centro di quella di Sciascia è il tragico e irrisolto tema della mafia in Sicilia.

Religione e sentimenti nel romanzo piemontese di Arpino

I modelli possibili del romanzo di Arpino sono tanti, a cominciare dalle monacazioni forzate di Diderot, Manzoni e Verga. Tuttavia il tono del romanzo di Arpino è più leggero e sorprendente proprio nella parte che riguarda la suora (in realtà si tratta di una novizia che non ha ancora preso i voti), la quale accetta con grande naturalezza la presenza dei sentimenti e si candida a cambiare stato, proponendo al meravigliato protagonista maschile di sposarlo. Arpino capovolge le parti tradizionali, produce un piacevole e ironico effetto di spiazzamento e propone un apologo sulla possibilità di cambiare vita. Per il ragioniere Antonio Mathis l'incontro con la suora giovane è un'inattesa apertura sul futuro della vita, un raggio di sole che rompe il grigiore della quotidianità impiegatizia del lavoro e dei sentimenti fino ad allora vissuti. Il romanzo offre sia un eloquente spaccato di vita della Torino piccolo borghese degli anni Cinquanta sia un ritratto della vita di campagna e di collina, da cui la giovane suora, con le proprie scelte, cerca di emanciparsi. I protagonisti sono in fuga da un mondo che non li soddisfa e cercano l'uno nell'altro la possibilità di una nuova esistenza.

Nel Giorno della civetta Sciascia denuncia il predominio della mafia in Sicilia

Nel Giorno della civetta di Sciascia lo scenario è un altro. Lo scrittore siciliano denuncia in modo aperto il predominio della mafia in Sicilia, mostrando quanto la vita dei siciliani sia paralizzata da questo governo ombra che gestisce il potere con la paura e la violenza. Sciascia ne mostra i lati più evidenti come quelli più subdoli e sottili. Per ragioni diverse dagli impiegati di Torino, i siciliani vivono una vita mutilata, ridotta, privi della libertà di operare e di esprimersi. Sciascia dà voce a questa impotenza, nella speranza che qualcosa possa mutare, sebbene la conclusione del romanzo sia nella direzione del disincanto. Con Il giorno della civetta Sciascia scrive un'opera di chiaro impegno civile, che focalizza l'attenzione sulla Sicilia in modo diverso rispetto al recente Gattopardo di Tomasi di Lampedusa (1958); non più un tempo lontano e quasi mitico (benché all'insegna della disillusione) ma un drammatico e inquietante presente. Con questa e le successive opere narrative e saggistiche Sciascia ha composto un quadro approfondito della storia sociale e culturale della Sicilia rivendicando con orgoglio la possibilità di emancipazione dal potere mafioso. Degno seguace di Verga e di un'idea di letteratura progressista e illuministica (con intenti simili, ma con al centro Napoli, Raffaele La Capria scrisse il proprio romanzo Ferito a morte , 1961), Sciascia è diventato un rigoroso esempio di letteratura impegnata e militante condotta con grande sagacia e ironia, sul grande e riconosciuto modello di Manzoni.




(Tratto dal sito www.griseldaonline.it )



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