MASSACRO A STONEHEAD
MANOR
John Sinclair
“Eravamo pochi
a scuola. Gli altri ragazzi ci chiamavano hippy e fricchettoni, ma noi siamo stati
i primi. Ora ci stanno dentro tutti” :
5
novembre 1970 Tre
giorni dopo che Allison Krause, Jeffrey Miller, Bill Schroeder e Sandy Lee Scheuer
sono stati assassinati dai militari della Guardia Nazionale a Kant State, tre
giovani fratelli e una giovane sorella sono colpiti a morte nel sonno a Lincoln
Street, Detroit. Non stavano dimostrando o appiccando il fuoco a edifici dell'esercito.
Non urlavano neanche contro qualche militare. Eppure sono stati ammazzati dalla
stessa mano che si è presa la vita dei loro fratelli e sorelle dell'Ohio:
sono stati uccisi perché erano parte di una cultura, parte di un popolo
che è odiato e temuto dalle forze dominanti della società americana.
Stavano dormendo nella loro stanza a Stonehead Manor, una "comune hippy"
in una enclave giovanile di Detroit situata nel mezzo di un quartiere centrale
abitato da neri e nativi appalachiani. Erano le 2,30 del mattino dell'8 maggio
1970 quando Arville Garland, padre di Sandy Garland, ha sfondato la porta con
una pistola in ogni mano e ha aperto il fuoco contro sua figlia, il suo compagno
Scott Kabran, suo fratello Greg Walls e Tony Brown, un sedicenne fuggito dal campo
di concentramento giovanile di Whitmore Lake, Michigan, uccidendoli. La
prossima settimana Arville Garland affronterà il processo davanti alla
corte di Detroit su tre capi d'accusa per omicidio intenzionale (Sandy, Scott
e Greg) e uno per omicidio colposo (il giovane Tony Brown). È rimasto sotto
custodia nella prigione di Wayne County per qualche tempo ma poi il giudice
Joseph Gillis si è dispiaciuto della sua sorte e gli ha concesso una cauzione
di 30mila dollari. Gillis prova simpatia per Arville Garland perché
sono fatti della stessa pasta, con la differenza che la sua opera genocida
è più subdola perché è portata avanti sotto l'ombrello
della legge. Gillis spedisce ogni giorno in prigione persone come Tony Brown,
come Scott Kabran, Gregory Walls e Sandy Garland, li uccide a fuoco lento in prigione
perché si sballano e scopano senza sacramenti e rifiutano di seguire il
programma letale dell'Amerika dei visi pallidi. “Molte
persone dicono che Sandy e Scott e Greg e Tony hanno meritato di essere puniti
per la maniera in cui hanno vissuto. Per i loro capelli lunghi e il loro stile
di vita anticonvenzionale. Per la loro musica hard rock, per la loro erba.
La gente dice che loro stessi avrebbero potuto fare quello che ha fatto Garland
se avessero incontrato la loro figlia nuda a letto con un hippy e un ragazzo nero
in un altro letto della stessa stanza”. (Dal
resoconto del Detroit Free Press ) L'Amerika
freme per i primi spasmi di una guerra civile, una guerra genocida condotta dai
mercanti della morte contro tutti coloro che rifiutano di seguire il loro programma
fatto di paura, rapacità, follia e controllo totale. È una
guerra tra culture, l'ultimo disperato tentativo della vecchia generazione di
euroamerikani di conservare il controllo sulla vita degli altri nel mondo.
La guerra civile in Amerika è solo un fronte della guerra mondiale tra
occidentali e non occidentali, tra l'Euro-Amerika da un lato e i popoli pre e
postoccidentali dall'altro. La battaglia di Chicago in cui è stato ammazzato
Dean Johnson, la battaglia di People's Park in cui è stato assassinato
James Rector, il massacro di Kent State e quello di Stonehead Manor a Detroit
sono i primi colpi di una guerra che sarà combattuta fino alla fine, una
guerra che non poteva essere predetta 5 o 10 anni fa (come invece era possibile
con le altre guerre della modernità) soltanto perché i combattenti
di questa guerra, almeno quelli che stanno dal lato della libertà e dell'autodeterminazione
contro il mostro euro-amerikano, allora non esistevano, almeno come un popolo.
Molti di loro ancora non si rendono conto di far parte di una lotta di liberazione
nazionale, di un movimento rivoluzionario internazionale destinato a vincere una
guerra mondiale e ad assicurare il futuro al pianeta e alla sua gente, contro
i mercanti di morte dell'Occidente. Come per la repressione, la campagna genocida
contro di noi cresce d'intensità alla stessa maniera di quella contro i
popoli neri e gli altri oppressi del pianeta; nel frattempo milioni di giovani
postoccidentali si svegliano, si armano con le armi e con la coscienza rivoluzionaria,
si sollevano assieme ai fratelli e alle sorelle insorti nel paese e nel resto
del mondo per farla finita una volta per tutte con la bestia euroamerikana. Torniamo
indietro e prendiamola da un'altra parte, perché è importante capire
di cosa sto parlando. Non voglio fare retorica violenta solo per far star bene
la gente. Voglio che capiate perché e come noi siamo un popolo, cosa significhi
essere un popolo e cosa abbia a che fare con il nostro popolo e la nostra lotta
l'assassinio di Sandy Garland, Scott Kabran, Greg Walls e Tony Brown. Comincerò
da quest'ultimo punto, perché la loro morte e le circostanze in cui questa
è avvenuta possono fornire un'apertura per quella consapevolezza di cui
abbiamo bisogno per prepararci e proteggerci contro altri assalti di questo tipo.
Queste
quattro persone non sono morte in quanto individui — Arville Garland neanche conosceva
i tre fratelli che ha ucciso – ma in quanto parte di un popolo, un popolo che
è alieno a Arville Garland e alla cultura che lui rappresenta. Sono morti
come risultato di un atto politico, sono vittime civili di una guerra che, come
tutte le guerre, è un'azione politica, e la loro morte è arrivata
come conseguenza politica delle vite che hanno vissuto. Potevano non essere "radicali"
o "politici", ma vivevano come parte di un popolo che è esso
stesso un'entità politica; un popolo che è definito in quanto tale
dalla propria cultura nazionale e dall'opposizione e la resistenza alla cultura
dominante euroamerikana da cui ha dichiarato la propria indipendenza. So
che è difficile per alcune persone considerare questo massacro un
evento politico, perché abbiamo una visione ristretta della politica, la
vediamo come qualcosa di separato e distinto dalla vita quotidiana, una sorta
di attività astratta: un giorno decidi di essere "politico" e
vai a una manifestazione o lanci dei sassi attraverso le finestre di una classe.
Ma dobbiamo allargare questa definizione. Dobbiamo allargarla fino a quando percepiamo
che le nostre stesse vite, qualsiasi cosa facciamo di loro (o loro fanno di noi)
sono politiche nel senso più operativo: vale a dire che viviamo la nostra
politica e che la questione non è se io e lui o lei siamo "politici"
bensì quale tipo di politica pratichiamo . Capite? È
nelle società occidentali che le politiche sono volutamente separate dalla
vita quotidiana e trattate come qualcosa di superfluo. L'occidentale medio è
portato a credere che la politica sia quell'attività realizzata da politici
professionisti che ha molto poco a che fare con la sua vita (a parte quei pochi
mesi ogni due o quattro anni in cui i politici competono per le cariche). Negli
ultimi anni è emerso un altro senso del temine "politico", un
po' diverso dal precedente, ma non di molto: i giovani preoccupati dalle condizioni
del loro mondo che agiscono in maniera più o meno organizzata per cambiarlo
sono considerati "politici", mentre le masse dei loro fratelli e sorelle
che non si organizzano sono considerate "apolitiche". Pertanto
questo nuovo senso del "politico" perpetua la separazione della politica
dal resto della vita: uno sceglie di essere o non essere "politico"
sulla base del proprio desiderio di prendere parte a manifestazioni, andare ai
meeting dell'SDS (Students for Democratic Society, ndt ), entrare nel
comitato di mobilitazione studentesco, etc. Anche tra le persone "politiche"
c'è un grande gap tra la loro politica e la loro vita quotidiana, a meno
che non diventino politici a tempo pieno e spendano tutto il loro tempo andando
a riunioni, progettando manifestazioni, leggendo letteratura politica e così
via. Ma
io sto parlando di uno stile di vita in cui il "politico" è pienamente
integrato con tutte le altre aree dell'esperienza umana di modo che la politica
sia vista nel complesso della vita di una persona, in cui ogni atto sia un atto
politico consapevole. Ovvero: uno stile di vita in cui, se uno non è coscientemente
politico, comunque gli effetti della sua vita sono politici nel senso a cui si
riferiscono i radicali, cioè nel senso che tutta la propria esistenza è
un colpo contro l'ordine stabilito, un assalto permanente con una forza tremenda
che infligge paura nel cuore degli sbirri al potere (tanta di quella paura che
infatti non esitano ad ammazzarci e ad ammazzare i loro stessi figli). Con queste
parole mi riferisco a James Rector e ai fratelli e alle sorelle di Kent State,
e non a Sandy Garland, Scott Kabran, Greg Walls e Tony Brown, che sono stati uccisi
dal padre di Sandy (il quale agiva non in quanto parte di una forza istituzionale
come la National Guard o il dipartimento dello sceriffo della contea di Alameda).
E comunque fanno tutti parte dello stesso scenario, perché Arville Garland
è solo una versione desautorata di Richard Nixon, Ronald Reagan o David
Rockfeller: condividono la stessa cultura e le stesse convinzioni politiche e
Arville Garland (e "i milioni di genitori" come lui) hanno imparato
che i loro interessi sono gli stessi degli sbirri al potere, che ciò che
va contro quei porci va anche contro di loro. Sono stati letteralmente spinti
a credere che, come ha detto Engine Charlie Wilson ai tempi del buon vecchio generale
Eisenhower, "quello che va bene per la General Motors va bene per il paese".
Loro ci credono e si comportano di conseguenza: fanno quello che gli viene detto
affinché la General Motors e i suoi complici rimangano con le leve della
società in mano e quando la National Guard, secondo gli ordini, ammazza
i giovani alla Kent State University, uno come Arville Garland – un riservista
della polizia di Detroit – segue l'esempio, prende le pistole e abbatte la figlia
e i suoi "amici hippy". Voglio
dire che fa tutto parte dello stesso scenario. Sandy, Scott, Greg e Tony non erano
ciò che i radicali chiamano "politici": erano hippy, poeti, fumatori
d'erba e fanatici del rock che amavano sballarsi e scopare e andare in giro coi
loro amici, sul tavolo vicino al letto avevano un mucchio di spille di Woodstock,
un disco di Jimi Hendrix sul giradischi e un bersaglio con le freccette e la facciaccia
di Lyndon Johnson appiccicata; avevano sul muro un poster di John Sinclair, quando
potevano lavoravano per progetti sociali e pensavano di partecipare a una
marcia di protesta per il massacro dell'Università del Kent. Insomma, erano
fricchettoni che vivevano a Stonehead Manor e probabilmente non avevano mai letto
Lenin o Mao o Kim II Sung, ma il complesso della loro esistenza era politico e
la loro morte è adesso politica. Sono stati assassinati perché parte
di un popolo disprezzato dagli euroamerikani alla pari di neri, gialli, nativi
e indigeni. Quel
che sto cercando di dire è che noi siamo attaccati perché siamo
quel che siamo, perché viviamo secondo le nostre convinzioni e non ci limitiamo
a proclamarle come una filosofia politica, perché siamo parte di un popolo
che si sta sviluppando come qualcosa di diverso dal popolo euro-amerikano. Per
questo siamo assaliti e imprigionati e presi a pistolettate: non per la nostra
politica nel senso radicale del termine ma perché in questo paese (e nell'Occidente
nel complesso) rappresentiamo una minaccia per la cultura dominante. La gente
di questa cultura si sente minacciata da quegli hippy pace e amore non violenti
che vivono per strada e sono considerati "i fiancheggiatori dormienti dei
Weatherman". Questo
dobbiamo capire: che gli sbirri della struttura di potere e la gente che loro
controllano ci considerano una minaccia, senza troppe differenze individuali.
Proprio come nell'adagio dei visi pallidi uno scienziato nucleare di colore non
è altro che un muso nero, allo stesso modo un hippy innocente non è
altro che un pericoloso degenerato da massacrare quanto prima perché rappresenta
i bombaroli e protestatari della "sinistra radicale". I porci sanno
che siamo un popolo anche se noi stessi rifiutiamo di ammetterlo e sono decisi
a fornirci lo stesso trattamento inumano che riservano agli altri popoli non occidentali.
Sandy, Scott, Greg e Tony sono stati ammazzati perché facevano parte di
un popolo estraneo, perché condividevano una cultura "aliena"
che agli occhi degli euro-amerikani merita solo lo sterminio e l'oblio. Le loro
morti, come le loro vite, li assimilano ai neri massacrati, ai vietnamiti
massacrati, ai nativi americani massacrati (la cui terra è stata loro sottratta
dagli antenati di Arville Garland senza che riuscissero a sradicare la loro cultura).
Arville Garland ha sparato a sua figlia e ai fratelli di lei per le stesse ragioni
per cui i militari della National Guard in Ohio hanno ammazzato Bill Schroeder,
Sandy Lee Scheuer, Allison Krause e Jeff Miller: perché facevano parte
di un popolo che rifiuta lo stile di vita letale degli Americani, perché
non sopportavano la repressione e lo sterminio dei popoli neri e rossi e gialli
e meticci, sterminio che ha il solo fine di permettere oggi agli euro-amerikani
di comprare più apparecchi televisivi e automobili e spazzolini elettrici
e altre stronzate del genere. Tutto si riduce a questo. La distinzione è
chiara. Sandy, Scott e Greg erano assieme perché si amavano; Arville e
Martha Garland hanno fatto irruzione nella loro stanza e li hanno ammazzati, assieme
a Tony Brown che dormiva sul divano in un'altra stanza perché non aveva
altro posto dove stare e i suoi fratelli lo avevano accolto perché lo amavano.
Arville Garland ha ammazzato questi ragazzi perché lui diceva di "amare"
troppo sua figlia per vederla frequentare hippy e negri, per vederla vivere e
dormire con gente del genere. Un amore il nostro amore reciproco, il nostro amore
per i fratelli e le sorelle, offerto senza pretese né forme di controllo,
senza promesse né minacce
che si misura contro l'amore-odio dei visi pallidi, che ti dice: io ti amo a condizione
che tu rispetti tutte queste folli pretese, e se ti rifiuti ti ammazzo. Tutto
si riduce a questo. Ma Arville Garland è un babbeo, proprio come le National
Guard o i nostri fratelli delle forze armate: babbei manovrati dai porci che gestiscono
per proprio tornaconto il paese. Questa gente è vittima della cultura occidentale
tanto quanto i non occidentali, questa cultura opprime e assassina per far felice
il suo popolo con pessimi articoli di consumo. Dobbiamo rendercene conto. La cultura
occidentale si forma e si estende per conto dei porci al potere come un mezzo
per sostenere il controllo politico ed economico delle masse euro-amerikane: usano
questa cultura per instillare i vili principi della rapacità, della paura,
della follia e del controllo nelle persone sotto la loro influenza. Sono gli esecutori
e i beneficiari di questa cultura – i porci al potere – i nostri nemici, non i
loro babbei. Per evitare il peggio, se vogliamo la nostra libertà senza
una guerra civile a oltranza tra i popoli dell'Euro-Amerika e i non-occidentali,
che considerano loro nemici, dobbiamo vincere questa maligna propaganda gettata
contro di noi dai porci. Dobbiamo ricordarci che gli Arville e le Martha Garland
dell'Euro-Amerika non sono nostri nemici fino a prova contraria, dobbiamo
ricordarci che loro ci attaccano solo perché i porci che controllano le
loro coscienze li hanno fatti impazzire manipolando le loro possibilità
economiche e le informazioni su cui basano le loro convinzioni. Dobbiamo in qualche
modo far capire a questa gente che il mondo che vogliamo creare è anche
il loro mondo, se solo vorranno accettarlo (e accettarlo non significa rinunciare
alla loro cultura, a meno che quella cultura li intossichi contro le persone diverse
da loro). Loro
ignorano tutto questo, hanno paura di noi, non ci capiscono e pensano — i porci
non smettono di ripeterglielo — che noi stiamo provando a portare loro via tutto
quello per cui hanno lavorato come schiavi in questi anni. Dobbiamo capire quanto
a lungo sono stati ingannati dagli sbirri al potere e dobbiamo provare a liberarli
così che possano riguadagnare la loro umanità. Loro non sono il
nemico, ricordiamocelo, sono le pedine nelle mani del nemico ed eseguiranno i
suoi ordini a meno che noi insegniamo loro a fare altrimenti: dovremo abbatterli
solo se continuano a muoversi contro di noi. Dobbiamo proteggerci e ci proteggeremo,
e ci sarà un bel numero di euro-amerikani che dovranno morire prima che
la gente della colonia del-l'arcobaleno e gli altri popoli oppressi ottengano
la loro libertà. Si tratta di ridurre al minimo il numero delle morti,
come ho scritto alcuni anni fa in una poesia: "Come uscire di qui/ &
danzare, senza calpestare più teste / di quelle necessarie". Il
massacro di Stonehead Manor è una metafora perfetta della grande lotta
che è in corso nel mondo occidentale, in cui i ragazzi dell'ultima generazione
sviluppano un nuovo stile di vita che li prepara a vivere in un Nuovo Mondo, in
una Nuova Era che comincia col collasso dell'Occidente. È già una
lotta spietata e sarà anche peggio quando le sue dinamiche si estenderanno:
i genitori uccideranno i propri figli e i figli si solleveranno contro i
padri e li abbatteranno, se sarà necessario. Non è quello che vogliamo
fare – la nostra cultura (che vogliamo disponibile per tutti senza esclusioni)
si basa sull'apertura, sulla libera espressione, sull'amore e la condivisione
e non sulla repressione, sulla paura, sulla rapacità e il controllo – ma
lo faremo se dovremo, perché difenderemo il nostro popolo contro l'aggressione.
Distruggeremo il dominio dell'Occidente e lo faremo con ogni mezzo necessario
anche se questo implica una guerra senza quartiere. Lo faremo perché non
abbiamo scelta, ma lo faremo. Dobbiamo
costruire il nostro sentimento di appartenenza a un popolo, a una nazione, l'idea
di essere qualcosa di più di noi stessi e i nostri amici. Dobbiamo renderci
conto di essere vera-mente un popolo: dobbiamo difenderci come un popolo, dobbiamo
muoverci assieme come un popolo se vogliamo il mondo per noi, dai radicali più
militanti agli hippie più scoppiati. Non avverrà per magia, non
accadrà come vorremmo che accada, accadrà nella maniera in cui stanno
andando adesso le cose, attraverso la lotta e il sangue e la guerra. E non perché
a noi piaccia ma perché ci viene imposto: o ci sottomettiamo alle richieste
perverse degli Arville Garlands, degli Spiro P. Agnew e degli Henry Ford, o ci
sottomettiamo al fascismo e abbandoniamo la nostra cultura e i nostri sogni
di una nuova vita per il pianeta, o difendiamo noi stessi e il nostro popolo,
unendoci gli uni gli altri con i nostri alleati naturali, i nostri fratelli e
sorelle della colonia nera, e tutti gli oppressi del paese e del mondo: lottiamo
uniti per difendere noi stessi e la nostra cultura, per conquistare l'autodeterminazione
per noi e per tutti i popoli (incluse le masse euro-amerikane), per fare tutto
quello che è necessario per eliminare la bestia imperialista che ci opprime.
Altrimenti dovremo entrare nel numero di quei fratelli e sorelle martiri nel paradiso
delle culture morte, ovvero il camposanto. Tutto
si riduce a questo. O l'uno o l'altro. E faremmo meglio a svegliarci e a costruire
alleanze prima di doverci svegliare alla maniera di Scott e Sandy, con una pistola
alla testa. Chiamo martiri questi fratelli e sorelle, ma prima di finire questo
scritto sarebbe meglio chiarire: se la loro morte ci induce a muoverci,
può essere d'ispirazione per riconoscere quei legami comuni che ci rendono
un popolo; se la loro morte può stimolarci nella nostra lotta per
la libertà e l'autodeterminazione in quanto popolo, allora sono veramente
dei martiri. Altrimenti sono soltanto dei morti, e anche le cose per cui hanno
vissuto sono morte, morte e sepolte. Infine
voglio leggere questa poesia di Scott Kabram, pubblicata postuma da suo padre
Stanley Kabran in cooperazione con The Alternative Press. Il libro si intitola
Motionless / Lest It F all. La poesia parla del nostro popolo:
troppi
amici
ho
avuto e ho perso ma
ora credo, ora penso tra
questo bel popolo c'è
un legame di
amicizia un
sentimento d'amore una
speranza duratura un
legame eterno d'amore.
-
- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -
- - - - - - John
Sinclair: Poeta militante di
Vito Laterza “Si,
proprio John Sinclair, quello della canzone di John Lennon”': Capita sovente anche
a me introdurre John Sinclair con gli stessi meccanismi della pubblicità
da quattro soldi. Quei meccanismi subdoli secondo i quali se una star come John
Lennon ha scritto una canzone intitolata “John Sinclair”, il soggetto del suo
brano acquisisce in automatico un posto nello star system internazionale, divenendo,
pertanto, degno di attenzione. Questo
meccanismo serve anche a me per parlare di un uomo che ha lottato, pensato, suonato
e declamato poesie contro (e continua a farlo ancora oggi). In fondo basta poco
a entrare nel pantheon delle icone vuote del consumismo. Un John Lennon in crisi
di coscienza intento a utilizzare il suo successo per aiutare il mondo è
un ottimo trampolino di lancio. Al mercato interessa poco la sua crisi di coscienza.
Molto di più che abbia ancora prodotti da vendere. Che la canzone si chiami
"John Sinclair" o "Yellow Submarine"; alla fine poco importa.
Passato
il 'turmoil' delle controversie politiche, quello che rimane anni dopo sono soltanto
etichette senza significato. Etichette che non bastano a raccontare una storia,
un pezzo di storia sistematicamente omessa dalle versioni ufficiali. E se
moltissimi ricordano, seppur vagamente, l'esistenza della canzone di Lennon, una
buona parte ricorda anche un altro pezzetto di questa storia: John Sinclair,
uno dei tanti prigionieri politici dell'establishment americano, quello che ha
scontato due anni e mezzo di carcere per due spinelli. Ma anche in questo caso,
non si va molto oltre la celebrazione dogmatica degli eroi della “ribellione”.
Quasi una reazione automatica di rispetto per tutti coloro che hanno lottato per
un Nuovo Mondo negli anni '60 e hanno pagato a caro prezzo le loro visioni rivoluzionarie.
Il John Sinclair icona mediatica, quello della canzone di Lennon e della prigione,
paradossalmente segna la fine del sogno, o meglio la fine di un sogno, la fine
della carriera del poeta militante epolitico acido-visionario che prometteva bene,
ma contro la repressione spietata poco ha potuto fare. Guitar
Army è il testamento del Sinclair politico. La storia vera e senza
filtri di un movimento nel Movement, di un pezzo importante della controcultura
americana altrimenti dimenticato e obliterato dalle categorie di un revisionismo
storico che semplifica per stemperare, che crea stereotipi vendibili e comprensibili
a masse di giovani ribelli (ma non rivoluzionari) che ancor oggi sentono il bisogno
di “differenziarsi” dagli altri, di creare la propria nicchia (di mercato) attingendo
alle icone del passato. Sinclair
ha rischiato di sparire dalla costellazione della Storia, quella vera, per una
serie di ragioni, tra le quali la debolezza mediatica e politica della “periferia”
nelle lotte antagoniste. Quando si parla di rivoluzione, infatti, i “rivoluzionar”'
che operano da “centr”' (quello amministrativo, burocratico e/o di potere) sono
sempre privilegiati rispetto a coloro che sono confinati nelle periferie.
Detroit e il Michigan — il territorio in cui si è sviluppata principalmente
l'azione di Sinclair & Compagni — sono troppo periferic' per fare notizia
nella storia della controcultura americana. New York e la California sono di certo
più spendibili. Ma
c'è un'altra ragione che rende il Sinclair pensiero difficile da digerire.
Lui rompe gli schemi anche tra quelli che `rompono gli schemi. La separazione
e la diversità di vedute e strategie tra gli hippies e i “militant”' (i
vari SDS, Weathermen, Black Panthers e altre organizzazioni che si sono evolute
dal Civil Rights Movement) non si applica a Sinclair, alle White Panthers e agli
MC5, ai freeks' che trovano in John un nuovo e più “sincretico” portavoce.
Per
capire l'unicità del Sinclair- pensiero, dell'esperienza totale Sinclair,
bisogna andare alle sue radici. L'esperienza che forgia il futuro Sinclair più
di ogni altra è l'incontro con l'energia vitale della musica dei neri.
Questo amore a primo ascolto inizia negli anni dell'adolescenza, quando Sinclair
si immerge nel blues e nel rhythm and blues. Sinclair inizia a filtrare anche
le altre esperienze musicali, come l'ascolto del rock 'n roll dei primordi attraverso
il framework concettuale della musica afro-americana. La sua definizione
di rock 'n roll arriverà a includere i più improbabili voli destrutturanti
del sofisticato avantgarde jazz di Sun Ra e John Coltrane. Gli MC5, con la loro
fusion senza confini, diventeranno l'esempio vivente della visione sinclairiana
del rock 'n roll e del concetto di "music as revolution": Certamente
l'impatto della musica come strumento di espansione della coscienza e realizzazione
immediata di un nuovo stile di vita, di un nuovo ritmo, fa di Sinclair un fricchettone,
il suo stile di vita più affine all'ideale artistico dei beats e degli
hippy che all'austerità militante delle ali più politicizzate
del Movimento. Al tempo stesso, l'acid rock della West Coast nasce dall'incontro
della tradizione country and folk — una tradizione principalment bianca—
con l'esperienza caleidoscopica dello LSD.. I
tre precetti della rivoluzione culturale delle Pantere Bianche — "rock 'n
roll, marijuana e scopare per strada" — mostrano sicur-mente dei paralleli
con l'esperienza hippy dei fricchettoni del Magic Bus di Ken Kesey e della West
Coast. L'enfasi
sul potere di trasformazione della musica, l'importanza del cambiamento qui e
ora, del rinnovamento del vissuto quotidiano come pratica costante, del vivere
il Mondo Nuovo in ogni momento possibile, sono comuni a entrambi. Denominatore
comune dei due movimenti è sicuramente l'esperienza dello LSD e di
altre droghe psichedeliche. Sinclair, come i cugini hippy, prende coscienza del
concetto di unità e interdipendenza di persone e organismi attraverso
l'esperienza psichedelica. L'LSD fornisce la visione del Mondo Nuovo, permette
a John di vivere il futuro adesso, di gustare il piacere dall'amore puro, universale,
incondizionato di tutti verso tutti, di tutto verso tutto. Questa visione non
lo abbandonerà mai. Ma
se la logica non-lineare e olistica dell'acido rende possibile questa sincronicità
di esperienze tra Detroit e San Francisco, il materiale grezzo su cui l'acido
opera la sua magia mostra delle differenze fondamentali. Ed è qui che bisogna
soffermarsi per qualche momento sul ruolo del Nero e della Negritudine nella cosmologia
lisergico politica di Sinclair. Da un lato, il nero rappresenta il sogno
di libertà dall'alienazione del conformismo de-la “suburbia” americana.
Il ner' è creativo, ascolta musica che travolge corpo e mente, mantiene
il suo spirito libero a dispetto delle condizioni di povertà strutturale
nelle quali è costretto a vivere. Il nero rappresenta anche il peggio che
la società amerikana (con la kappa dispregiativa), quella dei “visi
pallidi”, è in grado di produrre. Egli è vittima di un'oppressione
sistematica che gli impedisce di usufruire delle stesse opportunità offerte
ai bianchi della suburbia, che gli impedisce di guadagnarsi da vivere senza logorarsi
in lavori sfiancanti o esporsi ai tentacoli brutali della polizia e del sistema
carcerario. Il nero personifica tutto ciò che i visi pallidi, i vecchi
conformisti, i “babbe”' manipolati dai “porci capitalisti” euro-amerikani,
odiano e disprezzano. Diventare nero per Sinclair significa al tempo stesso liberarsi
dall'alienazione della suburbia, dalle gabbie mentali del sistema e smascherare
la brutalità della repressione economica e militare del capitalismo,
con la kappa. Diventando sempre più neri, i freeks' di Sinclair diventano
bersaglio dell'ira e della repressione dei loro stessi padri. Il sistema
mostra la sua vera faccia, e dietro l'ideologia degli stereotipi di lunga
data (come quelli usati per discriminare i neri, in quanto inferiori, violenti
e primitivi), mostra quello che veramente non può tollerare, vale
a dire la libertà di pensiero e di azione. Droga,
sesso e rock 'n roll non sono concepibili nella patria della libertà. Sinclair
e i suoi freeks', con il loro amore incondizionato per i neri e per la loro cultura,
mostrano alle vecchie generazioni quanto siano diversi da loro, quanto l'America
stia cambiando e i tempi siano maturi per una trasformazione dalle radici,
un mutamento radicale che determini un rinnovamento dello stile di vita e delle
strutture di potere. L'amore per i neri diventa la misura dell'oceano che ormai
separa padri e figli, madri e figlie. Il contatto profondo con la musica, le condizioni
di vita, la storia, la cultura e la politica dei neri d'America permette a Sinclair
di vedere con chiarezza i limiti e gli errori della sua cultura d'origine,
quella dei visi pallidi della suburbia. Attraverso il filtro concettuale
della negritudine, Sinclair comprende inoltre i tratti essenziali della nuova
cultura che sta prendendo piede nel cuore dell'America, una cultura rivoluzionaria,
inedita, in profondo conflitto con l'establishment, i suoi valori e le sue
pratiche. Grazie
al dono della visione olistica che soltanto l'acido poteva dare a questi freek'
nati nel cuore dell'America razionalista e monoteista, Sinclair è in grado
di sintetizzare amore e politica militante, musica e rivoluzione, lotta contro
l'alienazione borghese e l'oppressione capitalista, psichedelia bianca e
spirito nero, in un unico framework culturale. Sinclair vive la nascita di questa
nuova cultura in prima persona, sulla propria pelle e quella dei suoi compagni,
e al tempo stesso ciò che lo differenzia dagli altri fratelli e sorell'
è la sua capacità di diventare l'antropologo di se stesso, e, contemporaneamente,
di un'intera generazione. La
sua non è antropologia positivista: Al diavolo la separazione tra osservatore
e osservato, al diavolo la separazione in quanto concetto: tutto è politica,
è militanza, ogni atto diventa politico, a prescindere dall'intenzione
e dal livello di coscienza del suo agente. Fumare spinelli è politica,
scopare per strada è fare politica, ascoltare gli MC5 è un'esperienza
politica. Se da un lato il concetto di vita quotidiana come vita politica avvicina
John agli hippies, il modo in cui egli concepisce il suo ruolo di intellettuale
e leader e le strategie da adottare per raggiungere quella rivoluzione culturale
voluta anche dagli hippies, allontanano Sinclair dalle tatti-che del “drop out
and don't play the game” di Kesey e Leary. John
Sinclair è consapevole che la società dominante non si dissolverà
in un attimo e non basteranno LSD, amore universale e modelli personali per abbattere
le fondamenta del sistema. Il sistema va attaccato con ogni mezzo necessario.
Ancora una volta l'influenza del movimento nero si fa sentire. Dall'esperienza
di Malcolm X e delle neonate Pantere Nere, John capisce che l'errore fondamentale
delle varie ali del movimento più spiritualiste e hippy è stato
proprio il credere ciecamente che sarebbe bastato cambiare se stessi per
cambiare il resto del mondo. Gli individui, da soli, non sono sufficienti. Essi
devono unirsi, organizzarsi, pianificare strategie e tattiche per combattere
il sistema, in ogni suo aspetto, ogni giorno che passa. Da
qui la sintesi delle Pantere Bianche, che non sono un mero duplicato delle Pantere
Nere. Sinclair capisce le differenze fondamentali tra la nuova cultura che egli
rappresenta e quella dei neri. Comprende la diversità di esperienze, di
background e di posizioni strutturali all'interno del sistema capitalista americano.
Ne intuisce anche quegli elementi universali essenziali per una rivoluzione totale.
Il
ruolo delle Pantere Bianche è quello di portare un assalto pesante e costante
alla cultura dominante a partire dal suo interno. Creare una controcultura a partire
dal cuore del sistema, usando le sue stesse armi per diffondere il verbo della
rivoluzione, il programma d'azione per un Mondo Nuovo, per tutte quelle persone
che oggettivamente stanno dalla “nostra parte”, ma che non ne sono ancora consapevoli.
John e le Pantere Bianche'militarizzano in senso rivoluzionario il meglio
dell'esperienza della controcultura lisergica. Mettono la loro arte, la loro musica,
le loro competenze mediatiche nel campo della produzione culturale, al servizio
della rivoluzione: Al tempo stesso, queste attività sono viste come
complementari e non alternative alle lotte di strada delle Pantere Nere,
agli scontri spesso violenti tra polizia e militanti. Le Pantere Bianche
non si distanziano dalla carica militante delle Pantere Nere, non ne condannano
gli atti di violenza, ma vedono le loro tattiche come necessarie in una situazione
di guerriglia costante e in un'atmosfera di repressione brutale iniziata e perpetuata
dall'establishment. I freeks' sono liberi e rimarranno liberi, costi quel che
costi. Non sono violenti per natura, ma, se attaccati, sapranno difendersi. Siamo
nella seconda metà degli anni Sessanta, l'atmosfera si fa rovente, gli
scontri tra polizia e militanti (Pantere Nere e non solo) si moltiplicano, l'establishment
mostra la sua anima più brutale, e Sinclair e compagni comprendono che
questa non sarà una passeggiata. Senza organizzazione, piani strategici,
commissioni centrali e militanza quotidiana, il sistema vincerà. Rileggendo
oggi i documenti di Sinclair, Ministro dell'Informazione delle Pantere Bianche,
non è difficile capire come egli sia diventato un bersaglio quasi scontato
della repressione. Non è difficile vedere nelle sue parole e nei suoi
atteggiamenti la vera ragione del suo arresto. I due spinelli ovviamente sono
soltanto un pretesto. Con
il passare dei mesi e la crescita della tensione, i suoi scritti politici
e le sue dichiarazioni svelano sempre più chiaramente un altro elemento
che accomuna le Pantere Bianche ai fratelli neri, un'analisi della realtà
e uno sviluppo degli scenari possibili in chiave marxista. Il marxismo diventa
il linguaggio universale attraverso il quale due diverse classi di oppressi, gli
oppressi bianch' e gli oppressi neri, possono dialogare, sviluppare una strategia
comune, seppur partendo da posizioni strutturali diverse. La nuova cultura
di cui John si fa antropologo ufficioso è sotto costante minaccia
dell'establishment. Ha bisogno di una dottrina rivoluzionaria per poter affermare
i suoi valori e il suo Nuovo Mondo. La nuova cultura è sotto attacco, i
suoi membri sistematicamente oppressi dal potere — condizione che li accomuna
a tutti gli altri gruppi oppressi — in America e nel resto del mondo. Il marxismo,
più dell'acido e unito all'acido, pone le basi per una coscienza universale
che unisce tutti gli oppressi, portando loro il conforto dei numeri e la
motivazione per sferrare l'attacco finale. Mao e Lenin, l'esperienza rivoluzionaria
del comunismo reale forniscono a Sinclair gli strumenti teorici per pianificare
l'assalto totale alla cultura dominante e alle sue strutture di potere. La vena
marxista di Sinclair diventa sempre più dominante. Nel 1970, John ha già
compreso che la frammentazione del Movimento potrebbe portare verso il fallimento.
L'ultimo
pezzo di questa collezione di scritti è una chiamata alle armi per tutti
i militanti della nuova cultura del rock 'n roll — da Woodstock a San Francisco,
da New York a Detroit—per non perire sotto i ferri della repressione. Scritto
in prigione, questo testo rimane forse l'espressione meglio articolata del “marxismo
psichedelico” di John Sinclair, il punto di arrivo di un breve ma intenso
percorso di vita e di pensiero. Le condizioni del mondo esterno, però,
rendono il progetto irrealizzabile. Molti compagni si sono persi per strada, la
repressione mostra i suoi frutti, le Pantere Bianche, adesso rinominatesi
Partito dell'Arcobaleno, si trovano sempre più isolate, i cugini hippies
non sono riusciti con la forza del loro amore a cambiare le strutture fondanti
del sistema, i fratelli neri sono stati fatti fuori, l'Amerika è ancora
integra, intatta, granitica. Guitar
Army costituisce un documento storico importante, che porta alla luce le
vicende di un movimento per gran parte cancellato dalla Storia. Un intero capitolo
della storia della controcultura americana è qui, pronto per essere
scritto. Forse
un giorno ritroveremo l'etichetta marxismo psichedelico in qualche libro di qualche
autorevole esperti della storia di quegli anni. Ma rimane difficile leggere questa
collezione di scritti con distacco, senza sentirsi d'un tratto catapultati in
un sogno a occhi aperti, in una visione di un mondo diverso e soprattutto possibile.
L'Amerika di Sinclair non è cambiata di molto nelle sue caratteristiche
principali. Il resto del mondo, nemmeno. Le
strutture di potere del capitalismo globale, dagli anni 70 in poi, si sono espanse
senza sosta e hanno ormai raggiunto i posti più remoti del pianeta. L'alienazione
mentale di intere classi di persone, molte delle quali in una posizione materiale
privilegiata, è aumentata visibilmente. E se guardiamo alle condizioni
materiali della maggior parte della popolazione mondiale, il numero degli oppressi
sicuramente non è diminuito. Cosa
è andato storto? Perché quelle masse alle quali Sinclair faceva
appello allora non si sono costituite in classe rivoluzionaria? Dov'è finita
la carica visionaria delle migliaia di gruppi militanti degli anni Sessanta
e Settanta? Leggere
Guitar Army porta a riflettere sulle nostre condizioni di vita oggi,
sui problemi fondamentali e sulle strategie possibili per sovvertire un sistema
che è confacente a sempre meno persone e opprime e aliena sempre più
individui. Allora
come oggi, la visione sinclairiana di un mondo nuovo mantiene tutto il suo fascino
utopico: un mondo di artisti e visionari, individui liberi che perseguono le proprie
inclinazioni, un mondo in cui la scarsità di beni e risorse non è
più un problema, un mondo a proprietà collettiva, in cui le
macchine producono il necessario per la sussistenza di tutti, senza sprechi
e senza l'oppressione dell'uomo sull'uomo. Come
arrivarci è tutta un'altra storia.
(Manifesto e biografia tratti dal libro Guitar
army, Il '68 americano tra gioia, rock e rivoluzione, Stampa alternativa,
Viterbo, 2007. Traduzione di Alberto Prunetti.)
John Sinclair
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