LIBERTAS CALCIO VS. FALCE&MARTELLO

- Brano tratto dal romanzo Ballo ad Agropinto -


Giuseppe Lupo




(…) Per rimettere in piedi la sezione della Coldiretti, uscita malconcia dalle elezioni amministrative del '46, Natale Ganciodestro decise di fondare una squadra di calcio con lo stemma scudocrociato cucito sulle maglie. Incaricò Gioacchino Sceicco e Iano Bardotto di contattare i migliori giocatori della zona e si accollò le spese per riparare la Balilla. Gioacchino e Iano cominciarono a gironzolare tra i paesi del circondario a caccia di talenti, informarono i loro amici sensali e avvicinarono uno per uno arbitri e allenatori. Dopo un paio di settimane si presentarono da Natale Ganciodestro con i primi nomi: Mario Sparavalestre, un formidabile centravanti di Vitalba che durante una partita aveva fatto goal direttamente dal centrocampo, Rocchino Matarazzo, un asso del gioco alla danubiana, l'ala tornante Ricuccio Vungolicchio, che crossava come se avesse avuto il compasso ai piedi, Carletto Parasiccia, il portierone di Serra San Vito che, girava voce, teneva la calamita alle mani.
In poco meno di un mese la squadra della Libertas Calcio fu al completo e Ganciodestro si sentiva l'erede di Vittorio Pozzo alla guida degli Azzurri. All'elenco iniziale si aggiunsero Ginetto Chianozza, Nicola Conessa e Carmelo Serracchio, tre pacifici braccianti di Caldbanae che sul rettangolo di gioco si trasformavano in difensori velenosi, il regista Pasquale Capafina, che guardava gli avversari negli occhi e li atterrava con una finta di bacino, Giannino lo Spaccone e Peppe Beccaccia, due centromediani dai polmoni di ferro, Donatino Ganascia, l'ala sinistra di Celenne che, quando andava in fuga sulla linea laterale, correva peggio di Tazio Nuvolari. Il meno dotato era il calciatore di riserva: uno spilungone dal fisico asciutto e dai movimenti legnosi, che aveva un controllo di palla disastroso e, poiché suo padre, da giovane, accendeva i lampioni a gas nella piazza di Agropinto, era stato soprannominato Stoppino Fulminato. Non avendo possibilità di competere con i titolari, si rassegnava a portare i secchi d'acqua a bordo campo e a far da comparsa, sperando negli infortuni degli altri.


La Balilla si rivelò davvero un grande affare. Tutti ammiravano i copertoni bianconeri, la sagoma dei fanali, la ruota di scorta e, vedendoci sfrecciare sulla Nazionale, dicevano che eravamo nati per fare i piloti alla Mille Miglia.
Quando si trattava di accompagnare alle gare i calciatori della Libertas, Gioacchino Sceicco guidava con prudenza: non voleva che i campioni soffrissero di stomaco. Nei paraggi dei campi sportivi azionava una sirena a manovella, avuta in omaggio da Tano Ucciallì, e i custodi spalancavano i cancelli. Gli undici fuoriclasse iniziavano a palleggiare sotto gli occhi di tutti, a fare piroette in aria, a cimentarsi in brevi scatti di corsa, quindi passavano ai lanci, ai tiri in porta, ai rigori; concluso il riscaldamento, si schieravano nella propria metà campo e aspettavano gli avversari.
Non c'era paragone tra la Libertas e le altre formazioni della zona e perfino Saverio Dragone, mentre assisteva in incognito alle gare, invidiava l'organizzazione della Democrazia Cristiana: come dar torto a Natale Ganciodestro quando diceva che il calcio era il riscatto dei poveri?
Un giorno parlò con i più agguerriti capipopolo del circondario e insieme a loro fondò una società sportiva con la divisa rossa e la stella a cinque punte sul cuore: la Falce&Martello. I giocatori furono selezionati direttamente da lui. Li convocava tutti i pomeriggi in sezione, li addottrinava urlando slogan politici, poi, a ore insolite, li portava in campagna e li allenava con tecniche rudimentali: correre nel fango, inseguire le galline, tirare l'aratro al posto dei buoi.
La sfida tra la Libertas e la Falce&Martello fu giocata una domenica di ottobre del 1946. Era la prima volta che si incontravano e nessuno voleva perdere. Il maestro Virgilio Salmenta, invitato ad arbitrare, chiamò i due capitani a centrocampo, li costrinse a scambiarsi i gagliardetti, poi piazzò il pallone a terra e fece cenno agli altri di tenersi pronti. Al fischio d'inizio i calciatori della Falce&Martello si avventarono sul regista della Libertas peggio dei cani rognosi. Pasquale Capafina, da campione qual era, se la cavò con una serpentina e i suoi avversari ricorsero agli sgambetti per fermarlo. Salmenta ammoniva i giocatori in continuazione e Dragone, a bordo campo, ringhiava contro di lui.
A metà partita ci fu un pericoloso batti e ribatti in area della Falce&Martello. Il pallone danzava nella polvere e i difensori faticavano ad allontanare gli spioventi millimetrici di Ricuccio Vungulicchio, destinati alla testa di Donatino Ganascia. L'assedio si concluse solo quando Mario Sparavalestre sferrò un diagonale all'incrocio dei pali, che quasi bucava la rete e scatenò il tifo democristiano. Da quel momento non ci furono più regole. Gli undici in divisa rossa, messe da parte le raccomandazioni dell'arbitro, si scatenarono a pugni e pedate tanto da costringere il maestro Salmenta a gettare il fischietto e andarsene a casa.
L'incontro finì per otto a uno a favore della Falce&Martello e Dragone fu portato in trionfo dai suoi atleti che cantavano Bella ciao per la strade di Agropinto. Carletto Parasiccia, il portierone con la calamita alle mani, passò alla storia con il nome di Paperon de' Paperoni per il numero di goal subiti. Nelle gare seguenti, tra i pali della Libertas si schierò Natale Ganciodestro. Aveva ancora il fisico da pugile e, nonostante la gamba zoppa, nessuno riuscì a mettergli il pallone alle spalle. Talvolta, nelle mischie davanti alla sua porta, gli avversari della Falce&Martello si beccavano da lui qualche cazzotto e uscivano dalla polvere con un occhio nero e i denti in mano. (…)




(Brano tratto dal romanzo Ballo ad Agropinto, Marsilio, Venezia, 2004.)



Giuseppe Lupo, nato ad Atella (PZ), svolge attività di ricerca presso l'Università Cattolica di Milano. Con il romanzo L'americano di Celenne (Marsilio 2000) ha vinto il Premio Giuseppe Berto 2001 e, in Francia, il Festival du premier roman 2002. E''autore, inoltre, di alcuni saggi sulla letteratura del Novecento, tra cui Sinisgalli e la cultura utopica degli anni Trenta (1996, Premio Basilicata per la saggistica 1998), Poesia come pittura. De Libero e la cultura romana (2002) e Le ragioni dell'utopia. Raffaele Crovi intellettuale e scrittore (2003).


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