UN ATTIMO DI CORAGGIO
Andrea Tònolo
-Mi licenzio!-
grida con voce stridula, una nota troppo alta, che si incrina alla fine e si arrampica
verso l'alto assumendo un tono vibrato di angoscia; e subito, mentre il suo urlo
pieno di legittima indignazione ma scellerato ancora echeggia nell'aria ferma,
gonfia di tempesta, se ne pente con raccapriccio, colto da una vertigine come
se si fosse accorto all'improvviso di trovarsi a camminare sull'orlo di un immenso
abisso. Cosa ho fatto, sente una voce attonita dirgli dentro, mentre intorno
tutti sono immobili come statue di sale, increduli che tanto sia potuto accadere,
affascinati e sbigottiti dal 'hic et nunc' cui hanno avuto il privilegio di assistere. Un
grido di protesta contro l'arroganza padronale e l'ipocrisia che la nasconde sotto
il belletto di complimenti o motti di spirito, la proterva grettezza che intima
quali siano gli obiettivi e la piatta prontezza nell'allineamento, la minaccia
sempre latente e lo stordimento collettivo che ne deriva: questa sua ribellione
genuina e poderosa, covata a lungo e con fatica mal celata è esplosa stamattina
sorprendendo lui prima e più di ogni altro tra i presenti. Come mai accade,
come mai proprio oggi? E' più adatto un mercoledì o un giovedì
per prendere un'iniziativa così radicale, gravida di conseguenze, e in
fin dei conti distruttiva? Cosa ho fatto mai, ripete quella voce, ora con minor
stupore ma già con una sensibile sfumatura di rammarico. Certo, la dignità
della persona, non disgiunta da quella professionale; certo, la coerenza negli
atteggiamenti, il rispetto dei sacrosanti principi, la sicurezza delle proprie
ragioni, ed una specie di eroico opporsi contro corrente alla violenza strisciante
unanimemente subita come inevitabile; ma che sia stato troppo eroico? E a cosa
porta l'eroismo, oltre che ad un generico, frettoloso riconoscimento venato di
insofferenza quando non di disprezzo per la stolidità dell'eroe che tanto
ha rischiato? E' mai possibile, veramente possibile che una frase, due paroline
appena possano cambiare irreversibilmente il destino di un individuo? E che da
oggi la sua strada, così, a causa di un bel gesto, o, a seconda dei punti
di vista, di un colpo di testa, non sia più ben tracciata, ma debba snodarsi
via via in un incerto futuro, tra ammassi di rovine, buche e precipizi? Cosa
mi è successo, domanda quella voce prossima ormai al rincrescimento, mentre
lui contempla le macerie di cartelline, blocchi notes, portapenne, penne e matite
che la sua furia cieca e incontrollata ha scagliato sul pavimento pochi attimi
fa, per accompagnare con un gesto eloquente e liberatorio il significato di quelle
due terribili parole, ormai dette, e stampigliate per sempre nella memoria degli
astanti. Gli ultimi due, tre fogli di carta hanno smesso di svolazzare, e sono
atterrati, senza un suono nel silenzio assoluto, sul linoleum screziato accanto
ad una gomma rosso-blu. Vale dunque la pena mettersi tanto a repentaglio, per
chissà quanti anni futuri, solo in cambio del piacere di sostenere il punto,
di gridare finalmente la propria diversità, di premiare il proprio orgoglio,
di far vedere che non si teme nulla? Ma non è vero: ora ha paura di quel
che sarà. Forse un'aura di 'maudit' (libero e selvaggio) è comparsa
a circonfonderlo stamattina agli occhi delle segretarie. Però magari non
è così, e tutti pensano solo ad un gesto dissennato che metterà
di malumore la direzione per il resto della giornata, le cui conseguenze per lui
vanno ben al di là dell'immaginabile, ed è senz'altro del tutto
sproporzionato alle circostanze che l'hanno causato. Ed allo stesso tempo l'assale
il sospetto sinistro che si sia appena arrivati proprio là, dove lo si
voleva portare: la vera meta di un insopportabile mobbing, perpetrato con metodo
freddo e calcolato giorno dopo giorno, a scavare un profondo quanto invisibile
fossato tra lui e tutti quegli altri, che ora stanno distribuiti in ordine lungo
le pareti della stanza, prima accorsi alle grida e ora cristallizzati dal fascino
stregato dell'avvenuta tragedia. Tutti a conoscenza del sordido progetto, tutti
ovviamente tranne lui, la vittima designata che ora è caduta nella trappola
e come previsto si è tirato dietro la botola. Tutti sapevano e hanno taciuto,
vili e forse consapevolmente stritolati nel meccanismo del consenso estorto con
la promessa della riconosciuta adeguatezza al modello. Conformismo! Fin dove può
condurre l'umanità. E adesso cosa succederà, si domanda la voce,
sempre più simile ad un lamento senza conforto. E' stata soltanto una dabbenaggine,
un colpo di testa velleitario ed inutile, tanto più inatteso in una persona
di solito pacata e riflessiva, e che ha disorientato tutti ma più degli
altri lui stesso, che ancora sente nelle orecchie il grido gonfio d'ira e le parole
dure e definitive. Come è possibile tornare indietro? Se si potesse
riavvolgere il nastro, e come per magia le cianfrusaglie sparse sul pavimento
tornassero con un balzo ordinate sulla scrivania, le parole fossero inghiottite
al contrario dalla sua gola, così che non potessero essere mai udite, ed
i colleghi non accorressero eccitati sul luogo del disastro; ma non si può,
il film è andato troppo avanti, e la pellicola si è bruciata. Fino
a qualche attimo prima eravamo tutti nei binari del previsto, e saremmo potuti
andare a pranzo al solito bar, e nel pomeriggio a bere il caffè alla macchinetta
ripetendo le noiose sciocchezze quotidiane; ed ora, per un momento di follia,
tutto è diverso e niente sarà mai più come prima. Ecco cos'è
stato: follia, un istante di semplice follia scatenata, eruttata come lava da
un vulcano, che nessuno poteva prevedere, né desiderare, tanto meno lui
che si è cacciato da solo in questo guaio senza rimedio. Alza gli occhi
dagli oggetti sparsi sul pavimento a scrutare i volti seri ed impassibili, testimoni
di tanta pazzia e rovina; vorrebbe chiedere loro se non è stupefacente,
che una mattina qualsiasi, indifferentemente un mercoledì o un giovedì,
in una situazione già capitata e vissuta altre volte, pur se con rabbia
e frustrazione, si possa deviare dai binari sempre percorsi e prendere quella
strada nuova ed abbagliante, dove non c'è spazio per la mediazione del
pensiero, ma dilaga l'energia dell'impulso e dell'azione, il grido tanto taciuto
che irrompe nell'educata atmosfera come un'onda di piena che tracima superando
la diga, come una bomba che esplode nella via: farà del male, e non importa
a chi. E cosa succederà adesso: da un lato serpeggia il panico nelle
sue viscere, ma dall'altro è realmente curioso di saperlo. Sente così
caldo, intanto, deve avere le orecchie in fiamme e tutti lo avranno notato. Se
non fossi qui, se non fossi io, pensa poi, con puro rimpianto: che ingiustizia
sia capitato proprio a me, potrei essere là in mezzo agli altri, indistinto
tra il pubblico, e con espressione vitrea fissare un punto lontano, pensando intanto
alla rata del mutuo da pagare, o alla scamorza alla piastra che mangerò
a pranzo, o infine a quanto sciocco è stato quel collega che sarebbe qui
al posto mio. E cosa sarà della famiglia, incredula, amareggiata, incolpevole,
come la prenderà, potrà mai perdonare tanta sventatezza, e farsi
una ragione di questo, che tutto sommato è solo un atto di supremo egoismo? Ma
come si fa a tornare indietro adesso, sospira tra sé. Tutto tace e resta
immobile intorno, nell'attesa del prossimo atto dello spettacolo. Potrei svenire
scivolando al suolo, ma sarei credibile solo se fosse un reale deliquio, e purtroppo
questo non succederà. Dovrei forse umiliarmi fino al punto di balbettare
qualche scusa, di chiedere perdono stracciandomi le vesti, sostenere che non volevo,
non intendevo; dovrei accampare stanchezza, nervosismo, problemi familiari, indicare
in un cedimento della psiche il motivo di quello che deve essere considerato solo
uno spiacevole incidente? Ma come posso fare questo, gettarmi addosso tanta melma
e sopravvivere tra questa gente? Allora davvero perderò per sempre la stima
che ho di me stesso, per non parlare di quella degli altri, che da quel momento
mi considererebbero uno dei preferiti zimbelli; o forse solo un patetico imbecille. Dunque
non c'è altra soluzione: uscirò lentamente da questa stanza e me
ne andrò per le mie strade. Questo dice a sé stesso, con disperata
determinazione ed un gelo dentro mai provato prima. Non può essere diversamente,
abbiamo varcato una soglia precisa, e da lì non si torna indietro, tutti
si aspettano questo da me. E in fondo, perché no? Non è assolutamente
liberatorio, mandare al diavolo questo ambiente di satrapi sprezzanti, guardie
feroci e schiavi collusivi, ed uscire a testa alta a camminare per la città
nel bel mezzo del mattino? Ma dopo tutto questo interminabile silenzio, questa
pausa estenuante durata troppo a lungo per tutti, proprio quando, con la morte
nel cuore, sta per avviarsi alla porta, sperando che nessuno si provi a fermarlo,
e così facendo gettarseli tutti insieme alle spalle, ecco che il capo,
rimasto bloccato anche lui dall'altra parte del tavolo, inebetito dalla sua imprevedibile,
violenta reazione, fa un giro della scrivania, per andargli lentamente incontro
e gli si ferma davanti. Lui non sa se alzare gli occhi a guardare quel volto un
minuto fa tanto selvaggiamente odiato, ma intanto lo fa. E quel volto abbozza
un sorriso: sorride. Stenta a crederlo, ma i suoi occhi non si ingannano, quel
tipo prova a sorridere, un po' mesto, un po' incerto: una traccia di allarme e
apprensione vela quel sorriso inopinato, ma negli occhi potrebbe sembrare di scorgere
persino, insieme allo stupore che ancora vi regna, un che di rincrescimento. -Via,
si calmi, ora: non può aver detto sul serio- parla infine l'altro pacato,
con tono bonario. Ed è come se un segnale fosse stato dato, un interruttore
girato, il pulsante del fermo immagine rilasciato. La tensione nella stanza palpabilmente
si dissipa, è come un vapore che esala rapidamente verso il soffitto, lo
trapassa, non c'è più. Si spostano piedi, qualcuno sospira, e presto
prendono tutti a muoversi un poco sullo sfondo; altre facce si distendono, altri
sorrisi si fanno strada timidi e desiderosi di conferme, persino qualche parola
viene scambiata in un cauto bisbigliare. Con tono bonario! Dunque non è
tutto perduto, non sono rimaste solo macerie. Dovrebbe tener duro, rifiutare
la mano tesa, la possibilità di considerare veramente l'accaduto come uno
scivolone, uno spiacevole incidente sul quale sono ora tutti disposti a passare
sopra con incredibile prontezza? Questo no, non può farlo: sarebbe superbia
suicida, puerile rigidezza senza sbocco. Però se quello tenta di passargli
un braccio intorno alle spalle, mirando al restauro totale delle convenzioni,
a maggior edificazione degli astanti, allora si vedrà costretto ad andare
fino in fondo, e sia quel che sia. Ma per fortuna l'altro si ferma un attimo prima,
può darsi ancora un po' impaurito, turbato dall'idea di trovarsi davanti
ad un pericolo magari finora sottovalutato, forse non ancora o non più
del tutto controllabile. Si limita a sorridere ancora, allarga appena le braccia,
poi fa un gesto circolare ad includere l'intera stanza e tutti i presenti, forse
come a voler dire: siamo tutti imperfetti, siamo una famiglia, siamo tutti sulla
stessa barca, o alcune altre idiozie del genere. Eppure, che altro dovrebbe
fare, se non assentire? Non gli sono nemmeno richieste delle scuse esplicite,
basta che rientri nel gruppo con una certa docilità, che può anche
permettersi di mostrare condizionata, lievemente critica, addirittura concessa
dalla sua lucida intelligenza che a volte può essere scabra, difficile;
ma che per ora sceglie di accondiscendere. Perché alla fin fine è
comunque uno di loro, non condividono lo spazio e il tempo, in quelle stanze,
giorno dopo giorno, ogni mercoledì ed ogni giovedì attraverso le
stagioni? E non può fare sul serio, escludersi volontariamente e saltare
nel buio denso d'angoscia solo per dimostrare una sua vana autonomia. Cosa c'è
là fuori, lo sa solo Dio. Ed una strana calma è scesa intanto
su di lui, lo permea, si diffonde, lo invade; dunque assente chinando il capo:
s'è calmato, non diceva sul serio. Un attimo di esasperazione può
capitare a tutti. Sarà la spiegazione ufficiale dell'accaduto. Sorridono
tutti adesso, apertamente; qualcuno che potrebbe tacere lancia una battuta e ne
ride, qualcuno più utilmente volenteroso raccoglie gli oggetti dal pavimento
per rimetterli nel loro buon ordine sul piano della scrivania perché si
possano riprendere con sollievo le attività tanto bruscamente interrotte. Non
è successo niente in realtà, lui non diceva sul serio quando ha
minacciato di lasciarli squarciando la placidità della loro mattinata;
lui ha gridato -Mi licenzio!- ma l'altro l'ha riacciuffato per i capelli prima
che affondasse. Ma non ringrazierà per questo, comunque, nemmeno in
seguito; non è sicuro di doverlo fare.
Andrea
Tònolo
(Roma, 1958) - ingegnere, sposato. Finalista al Premio 'Palazzo al Bosco' con
il romanzo "Raimondo per aria".Vincitore del 2° premio nel concorso
'Autori da scoprire', edizione 2002, indetto dalla Provincia di Bolzano con "Sirene
alpine". Il racconto "L'autobus delle buone maniere" è stato
pubblicato nel volume "Parole in corsa" edito dalla Full Color Sound.
Il racconto "Qualcosa nell'armadio" è stato recensito nel numero
52/53 2004 di Storie. Il romanzo 'Macchie' è stato pubblicato da Robin
- Biblioteca del Vascello nel 2005.
Precedente Successivo
Copertina
|