RAGAZZINI
Marco Bertollini
Guardai
oltre l'angolo del caseggiato, cercando di non farmi vedere. Con una mano feci
cenno ai compagni di fare silenzio. Angela scese dalla bici. Andrea arrotolava
i pallini e li fissava sulla sua cerbottana. Io
girai il cappello, spostando la visiera sulla nuca. Mi sporsi di nuovo. Il sole
picchiava. Li vidi lontani, fermi all'angolo opposto dell'isolato. Erano tranquilli,
appoggiati alle bici. Qualcuno era seduto in terra. Niente ragazze. Mi
girai verso i miei. Sono in cinque, però uno è piccolo. Niente
ragazze. Sono tranquilli. Hanno
le cerbottane? No,
non mi sembra. Da qui non riesco a capire. Però in mano non hanno niente.
Magari
le hanno attaccate alla canna. Aspettate.
Dissi, avvicinandomi di nuovo all'angolo. Mi sporsi nuovamente, cercando
di capire se avevano cerbottane. Alcuni passanti li coprirono. Aspettai. Tornai
indietro. Non
mi sembra, ma non posso giurarci. Cosa
facciamo? Andiamogli
addosso! Disse Giovanni, piombiamo con le bici, e gli buttiamo giù
le loro, poi scappiamo . Ho
un idea migliore , dissi io: p otremmo fare che Giovanni e Andrea, voi
due, fate il giro dell'isolato, e arrivate all'angolo opposto, potete appostarvi
dietro una macchina parcheggiata. Poi li aspettate lì. Ehi
ma sei scemo? Perché
non lo fai tu? Aspettate!
State a sentire, voi vi appostate. Io e Dario gli andiamo addosso urlando, con
le biciclette a tutta velocità. Loro scappano e non possono attraversare
la strada… E
chi te lo dice? Non
lo fanno mai! Eppoi se lo fanno,voi correte all'altro angolo dell'isolato, e li
aspettate lì. Noi li inseguiamo. E
io? Chiese Angela. Noi la guardammo, mentre stringeva la sua cerbottana coperta
di stucco. Tu
sei una ragazza, non puoi venire. Ha
ragione Giovanni , disse Andrea, è troppo pericoloso, se ti catturano
siamo nei guai… Nessuno
mi ha mai catturata. Angela fece uno sguardo di fuoco. Di fuoco come i capelli.
Poi
Angela guardò Giovanni. Lui si girò dall'altra parte, strusciando
i piedi sul marciapiede. Era stato fatto prigioniero la scorsa settimana. Avevamo
dovuto pagare perché lo liberassero. Avevamo dovuto pagare due chili di
stucco per le loro cerbottane. Duecento lire a testa. Era andata Angela a consegnarlo,
lo stucco. Poi tornò con Giovanni, attraversando la strada, con lui che
rideva e faceva finta di niente… Vai
troppo piano in bicicletta, tu fai la vedetta. Se arriva qualcuno… Io
non faccio la vedetta. Io faccio la carica con loro . E mi guardò
fisso negli occhi. Gli altri stettero zitti. Il
tempo stringeva. Potevano muoversi da un momento all'altro e noi avremmo perso
l'occasione. Altri appostamenti, altri inseguimenti a distanza… Angela,
tu tiri bene con la cerbottana. Mentre noi partiamo all'attacco, tu inizi a tirare,
sopra le nostre teste. Così oltre alla carica si beccano anche i pallini
di stucco. Va bene? Proposi. No.
Io voglio caricare con voi. Va
bene, carichi con noi. Decisi. Attaccammo le cerbottane alla canna, con
le mollette. Angela, che aveva la Graziella , l'agganciò in orizzontale
sul manubrio. Quando
Giovanni e Andrea girarono l'angolo, contammo fino a centoventi, per dargli il
tempo di raggiungere l'angolo opposto.
Io,
Dario e Angela ci avvicinammo con le bici fino all'incrocio. Aspettammo un altro
minuto. Loro, gli altri, stavano fermi a parlare. Non sospettavano niente. Sorrisi
al pensiero che gliela avremmo fatta pagare. Paura ed eccitazione mi morsero lo
stomaco. Mi presero i dubbi: e se non scappavano? E se avessero cominciato a tirare,
protetti dietro le bici? Giovanni e Andrea erano troppo lontani per venire a darci
una mano. Noi eravamo solo tre. Anzi, due e una ragazza.
Dario
fissava dritto davanti a sé. Non diceva mai niente, Dario. Le
cicatrici sulle ginocchia parlavano al suo posto. Angela sbatteva le palpebre,
sempre più in fretta, forse per scacciare il sudore. Avete
messo le raganelle ? Angela e Dario si girarono a controllare la ruota di
dietro. Io feci altrettanto. Andiamo!
Gridai pigiando il piede sul pedale, nel momento in cui non c'erano troppi
passanti. Io ero davanti, e di fianco pedalava Dario chino sul manubrio. Sentii
Angela che iniziava a urlare, mentre le raganelle facevano un chiasso d'inferno.
Loro ci videro subito. Rimasero fermi per un secondo e mentre uno imbracciava
la cerbottana, gli altri salirono sulle bici per scappare. Quello con la cerbottana
tirò in fretta, chi sa dove. Poi prese la bici e scappò dietro gli
altri. Proprio verso Andrea e Giovanni, senza attraversare la strada. E
noi dietro, veloci. E forti come il vento. Feci
l'angolo, poggiando il piede in terra, mentre Dario finì contro la macchina
parcheggiata, cadendo a gambe all'aria. Sentii il botto contro la portiera. Dietro
avevo solo Angela, che continuava a urlare e la sentivo dietro di me, attaccata
alla ruota. Quando
gli altri raggiunsero l'angolo dell'isolato, Andrea e Giovanni saltarono fuori
da dietro una macchina e iniziarono a tirare. Due di loro furono colpiti in faccia,
e uno perse il controllo, lasciando andare la bici che rotolò in mezzo
alla strada. Rimase in piedi, inciampando e finendo contro una macchina, con le
mani su un occhio. L'altro sbandò con la bici e urtò uno dei suoi
compagni, che cadde in mezzo a gambe, catene e cemento. Gli andai addosso con
la bici, ma riuscii a rimanere in sella, ricominciando a pedalare verso gli altri
due. Angela era dietro di me, scampata anche lei al groviglio di bici sul marciapiede.
Il ragazzo a piedi rimase fermo, con la bici tra le gambe, coprendosi il capo
per evitare i pallini. Andrea e Giovanni continuarono a tirare, e si sentiva lo
stucco che colpiva i jeans e le sbarre di ferro dei cortili, tra le ultra di tutti.
Sanguinavo
dallo stinco, forse era stata una catena, forse il muretto. Ma non sentivo dolore.
Angela riuscì a prendere al volo un cappello, come trofeo. Adesso erano
rimasti in due, come noi. Loro tirarono dritto, attraversando la strada e invadendo
l'altro isolato. Io e Angela dietro. Mi girai dietro la spalla, per vedere dov'era,
continuando a pedalare. Indossava il cappello catturato, girato di lato, e i capelli
le uscivano mossi dal vento. Aveva la bocca spalancata e rideva. Gli occhi erano
grandi e spalancati sul nostro mondo veloce. Gli
altri due arrivarono in fondo al secondo isolato, di corsa, rischiando di cadere,
e noi dietro. Raggiunsero i prati delle costruzioni, dove la strada finiva ed
iniziavano le buche e lo sterrato. Era il territorio degli zingari. Pensai che
Angela aveva la Graziella e che non ce l'avrebbe mai fatta. E io sarei
rimasto da solo. Frenai
prima dello sterrato e per poco lei non mi venne addosso , ma che fai? Perché
ti fermi ? Mi urlò Angela, fermandosi pochi metri più avanti.
Afferrò la cerbottana, lasciando cadere la bici nel prato. Soffiò
il primo colpo che stava già in canna in direzione dei due che scappavano.
Sentii
lo schiocco. Mentre caricava lo stucco mi disse, con le lacrime agli occhi, li
avevamo presi, stupido! Li avevamo presi! Poi tirò di nuovo e vidi
la parabola del pallino che terminava nel polverone di terra, lontano… Tirava
un filo di vento adesso e lontano si alzavano i nuovi palazzi. Non
ce la fai, con la Graziella. E' sterrato. Ci sono le buche. Dissi. Che
mi frega delle buche! Rispose piangendo e mostrandomi la cerbottana, ti
avrei difeso con questa, e si sedette con la testa fra le mani, lasciando
cadere la cerbottana, ti avrei difeso con questa.
Marco
Bertollini è nato a Parma nel 1966 e vive a Milano. Ha pubblicato la
raccolta di racconti Come una nera cicogna e sullo web il racconto Ti
vengo a cercare.
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