UN PETALO Lucia
Salfa
Al suo passaggio la porta sbatté con violenza. Neanche il tempo di afferrare
la maniglia o di tornare a interporsi per fermarne la corsa. Un boato nella tromba
delle scale. Uno schiaffo violento nel silenzio dell'appartamento, accompagnato
da una lenta e inarrestabile vibrazione, che si impossessò delle pareti
e spalmandosi sul pavimento salì sul soffitto e iniziò a possedere
le gocce del lampadario, i piatti rimasti ad asciugare sul lavandino, i bicchieri
di cristallo di Boemia, ricordo di un viaggio a Praga, i vetri delle finestre,
arrivando infine al vaso di fiori con un unico girasole, poggiato sul davanzale.
L'ultimo tremito violentò lo stelo e, vibrando, salì fin su alla
corolla. Un petalo giallo si staccò e cadde dal quarto piano di quel palazzo
all'angolo tra Via Tuscolana e Via Gela. Sua madre era uscita. Si guardò
intorno e si chiese quanto quella casa le appartenesse ancora. Dalla sua posizione
poteva vedere la porta del bagno, un po' dell'ingresso e uno scorcio del salotto,
dove poteva ancora immaginare la stella di Natale fiorita dall'anno prima, la
poltrona nera, grande e avvolgente nella quale sprofondava leggendo e la sua scrivania,
piccola, in rovere, messa ad angolo tra due finestre. Si chiedeva cosa avesse
già lasciato della sua vita, cosa fosse cambiato senza che lei ne avesse
potuto percepire le trasformazioni. Si sentiva in fondo già partita, per
il tempo che era trascorso senza la sua presenza diretta, solo un sentito dire,
a volte e se capitava, oppure il silenzio, che vuoi che interessi a una persona
malata se la lavatrice si è rotta, o se il quadro all'entrata viene cambiato.
Nessuno che la escludesse, per carità, solo un eccesso di zelo e premure.
Zelo e premure. Troppi per non comprendere e non rassegnarsi. E con altrettanto
zelo e premure lei aveva finto, per la prima volta senza cedere e senza tradirsi,
con tutti, senza esclusione e indipendentemente dalle confidenze che la legavano.
Aveva finto e fingeva di non sapere. Il
vento sollevò il petalo, lo rivoltò scoprendone la parte più
chiara e più ruvida, lo fece planare, con una interminabile lentezza. Impercettibilmente
scosso da qualche folata più forte, resisteva, grazie alla sua leggerezza,
mantenendosi a galla nell'aria. Dal fondo nessuno lo avrebbe distinto. Chiuse
gli occhi, ormai stanca e si assopì, per pochi brevissimi istanti. Sognò
di lei che tornava dal lavoro e assaporò il piacere dei pochi e insignificanti
gesti che compongono il tutto. Poter guidare, scendere dalla macchina e camminare,
portare, seppur a fatica, le borse della spesa. Cercare le chiavi del portone
mentre ti cade tutto di mano e incontrare qualcuno che esce mentre tu entri e
ti facilita il compito. Salire le scale ed entrare. Buttare la spesa sul tavolo
della cucina, sfilarsi le scarpe e sedersi per pochi minuti, sfogliando il giornale.
Avere qualcuno per cui cucinare e inondare la casa di odori, senza per questo
dover vomitare, mettersi a tavola e mangiare le cose più buone di quando
era bambina. I cibi più ghiotti che nella memoria, sanno solo di festa.
Riaprì gli occhi e vide la sua figura nel letto. Un corpo sformato che
non le apparteneva e in cui non si riconosceva, ma per il quale, ormai, non avrebbe
più avuto pudori. Un
mulinello invisibile fece roteare il petalo e lo attirò in un vortice che
finì la sua corsa sul davanzale del secondo piano. Tra un vaso di garofani
e un altro di ciclamini, poggiato sul travertino bianco, il giallo spiccava e
si riposava. La signora Masotti pensò, indignata, che era arrivata l'ora
di far smettere di buttar giù la roba agli inquilini di sopra. Impietosa,
scartò con un gesto infastidito della mano il petalo, e applicando il metodo
che puoi fare agli altri quello che non vuoi venga fatto a te, pensò, coerente
con se stessa:"che se lo pulisca quella di sotto". Pensò
al mare. Aveva una gran voglia di comprare una casa al mare e si ricordò
che lo voleva anche sua nonna prima di andarsene e forse ora l'avrebbe rincontrata
e l'avrebbero potuta prendere insieme. "Ciao nonna, mi riconosci? Baciami
e fammi sentire il tuo odore. Ti confesso, a te lo posso dire, ho paura, ho tanta
paura. Ma mi sento già meglio se so che ci sei. ..Hai visto mia figlia.
Ti somiglia negli occhi. Davvero! Non mi credi
Ma come io l'ho guardata
per tutti questi anni convinta di ritrovarti. .. No, non è la morfina
ti vedo
sicuro. Dai forza nonnina, dammi la mano che devo attraversare.
Aiutami, la strada è grande e io sono piccola
sono tornata piccola
e da sola non posso riuscirci e poi
la mamma si arrabbia e lo dice a papà
e lo sai succede un macello e se poi litigano io piango, io piango. Aiutami nonna,
ho un bruciore nel petto, consolami con il tuo abbraccio e fammi dormire. Dormire,
dormire
senza sudore, senza le nausee, senza il dolore
solo dormire". Il
petalo scese veloce sfruttando la spinta che aveva ricevuto e tornò a galleggiare,
ma solo un istante. Il caldo torrido che saliva dall'asfalto infuocato lo fece
diventare di piombo. Iniziò a roteare, prima più lento e poi sempre
più accelerato. Schivò la giacca blu del portiere e rischiò
di infilarsi nel pelo di un cane. Si adagiò, infine e stremato sul selciato
rovente. Un piede, inconscio di quello che stava per fare, lo calpestò.
In quel momento Emilia partì.
Mi
chiamo Lucia Salfa. Sono nata a Roma e vivo a Pistoia. La lettura,
la musica e la scrittura sono le mie grandi passioni e i mezzi di trasporto preferiti
per i miei viaggi migliori.
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