PADRE E FIGLIO

- Brano tratto dalla sceneggiatura di Sarabanda -

Ingmar Bergman



SCENA QUARTA


Biblioteca.
Johan (il padre, 85 anni) sta leggendo un libro. Henrik (il figlio, 63 anni) entra. Johan finge di non vederlo.

HENRIK: Disturbo?
JOHAN: Ah, sei tu. Da quanto tempo. Come va?
HENRIK: Bene, grazie. E tu, papà?
JOHAN: A sessant'anni si hanno sei malanni, a settanta se ne hanno sette. Eccetera. È così che conto. E funziona, anche. Dipende da cosa si considera prioritario, naturalmente.

(Silenzio.)

HENRIK: Ho sentito che la tua ex moglie è arrivata di sorpresa. Ti avrà fatto piacere.
JOHAN (Breve risata.): Tipico di Marianne. Sa da tempo immemorabile che odio le improvvisazioni.
HENRIK: Ma un po' di piacere te l'avrà fatto, comunque?
JOHAN: Puoi scommetterci.
HENRIK: Forse la vedrò.
JOHAN: Marianne è andata a raccogliere lamponi. Non so se sarai ancora qui quando tornerà.
HENRIK: Per carità. Non voglio disturbare.
JOHAN: Grazie. Cosa vuoi?
HENRIK: Volevo chiederti ottocentonovantamila corone. Possiamo considerarlo un anticipo dell'eredità.
JOHAN: Allora hai bisogno di soldi. Ancora!
HENRIK: So di aver già avuto un prestito di duecentomila.
JOHAN: Un prestito che non stai saldando, secondo il mio commercialista.
HENRIK: Non preoccuparti. Riavrai i tuoi soldi.
JOHAN: Sono abbastanza convinto che non li rivedrò mai più. E semplicemente ridicolo chiamare quelle duecentomila corone un "prestito".
HENRIK: Se pensi che sia divertente continuare a umiliarmi, allora non dobbiamo dimenticare che non pago l'affitto per abitare con mia figlia nella Casetta sul Lago. E sono ormai più di tre mesi che ci viviamo. Non hai ancora visto un centesimo.
JOHAN: Ma ti sei potuto permettere una macchina nuova.
HENRIK: Me la sono fatta prestare, la macchina. Il proprietario è all'estero per tutta l'estate e torna in ottobre. Poi non avrò più nessuna macchina.
JOHAN: E come va il tuo saggio?
HENRIK: Bene, grazie.
JOHAN: Una risposta esauriente.
HENRIK: Sono dieci minuti che me ne sto qui a lasciarmi umiliare da mio padre. Se non avessi bisogno di quei soldi di cui ti ho parlato all'inizio della nostra conversazione, me ne sarei già andato da un pezzo.
JOHAN: Allora puoi andartene adesso.
HENRIK: Ti chiedo di aiutarmi. E importante. Veramente, non si tratta di me. Riguarda Karin. JOHAN: Ma guarda! Avete litigato, da quanto ho sentito da Marianne. Cerchi di trattenere tua figlia? Credi che sia il tipo che si lascia corrompere? Da quel che ho visto e capito, assomiglia piuttosto a sua madre e neanche un po' a te. (All'improvviso.) A volte mi domando davvero come abbia fatto Anna a sopportarti.
HENRIK: Non coinvolgere Anna in questa storia. Non nominare Anna con il tuo putrido becco. JOHAN: A dire il vero ti preferisco, o meglio mi dispiaci meno, quando usi quel tono. Quando c'è un po' di onesto odio nella tua spugnosità generale.
HENRIK (si passa la mano sul volto): La situazione è questa: potrei comprare un violoncello a Karin, un Fagnola del 1815. È un ottimo esemplare, quasi come un Guarneri. Karin ha un talento eccezionale, non sono l'unico a sostenerlo. Può diventare una grande musicista. Sono io che finora mi sono preso la responsabilità di farle da maestro. E va abbastanza bene, ma siamo lontani dallo standard che il talento di Karin richiede. E con lo strumento è la stessa cosa. Karin suona un buon esemplare tedesco, un Paul Knorr. Darà l'esame d'ammissione al conservatorio in autunno. Dunque c'è fretta.
JOHAN: Come puoi sapere se quel violoncello è così straordinario come dicono? Ti potrebbero imbrogliare. E nel caso, non sarebbe la prima volta.
HENRIK (deglutisce): C'è un certificato di autenticità. Inoltre, il venditore è una persona corretta.
JOHAN: E la sua correttezza gli suggerisce di vendere sottoprezzo?
HENRIK (deglutisce di nuovo): È vecchio e malato e non può più utilizzare il suo strumento. Karin lo ha provato. Lui ha detto che non poteva immaginarsi un erede migliore.
JOHAN: Commovente.
HENRIK: Da dove viene tutto questo astio?
JOHAN: Parla per te, figlio mio. Molto tempo fa, tu dovevi avere diciotto o diciannove anni, cercai di avvicinarmi a te. Eri stato molto malato e tua madre voleva che finalmente ci "parlassimo senza peli sulla lingua". Ti dissi che sapevo di essere stato un cattivo padre, ma che volevo migliorare. Allora tu urlasti, tu urlasti: "Cattivo padre! Tu non sei mai stato un padre per me". Questo è quel che hai detto. E poi dicesti che facevi volentieri a meno dei miei sforzi forzati. Così andò la faccenda. Si può rispettare un odio sincero, e io rispetto il tuo odio. Del resto, a dir la verità, me ne fotto se tu mi odi o no. Quasi non esisti. E se tu non fossi il padre di Karin, che grazie a Dio somiglia a sua madre, non esisteresti proprio. Quindi, non si tratta di astio, te lo posso garantire. Scrivi il nome di quel tizio del violoncello, nome e telefono, così lo chiamo e controllo le tue informazioni.
HENRIK (scrive su un foglio di un piccolo notes, strappa il foglio e lo porge a Johan): Ecco.
JOHAN: Grazie.
HENRIK: Ma non mi dai una risposta.
JOHAN: Avrai una risposta. A tempo debito.
HENRIK: Così l'udienza è finita?
JOHAN: Questa conversazione è stata, come dire, piuttosto stancante.
HENRIK: Me ne vado. (Si alza, va, si volta.) Posso dire una sola cosa?
JOHAN: Se è proprio necessario.
HENRIK: Quella storia che hai tirato fuori sul nostro scambio di opinioni di quasi cinquant'anni fa non è una spiegazione, e nemmeno una menzogna.
JOHAN: Dici?
HENRIK: Sì, dico.
JOHAN: Povera Anna.
HENRIK (Non riesce a dir niente. Gesto di disgusto. Si allontana.)

 



(Tratto dal libro Sarabanda, Iperborea edizioni, Milano, 2003, traduzione di Renato Zatti.)


Ingmar Bergman è nata a Debrecen, in Ungheria, nel 1917. La porta è stato pubblicato nel 1987.




         Precedente    Successivo          Copertina