NEBBIA NEI TUOI OCCHI


Luca Martini



Le parole dei dialoghi tra un uomo e una donna sono sempre le stesse. Quando qualcosa ha inizio sono ricche di speranza, quando qualcosa finisce sono piene di rabbia. Sono le parole tra l'inizio e la fine, quelle che stanno in mezzo che fanno la differenza. Ed io quelle parole non so proprio pronunciarle.
Ho quarantatre anni, sono avvocato civilista e ho due matrimoni falliti alle spalle. Non ho figli, e nonostante tutto penso sia una fortuna, perché sarebbero cresciuti senza uno straccio di padre o, peggio, con tanti piccoli padri a passo ridotto.
Questa è la mia radiografia al torace.
Vivo a Bologna e lavoro nello stesso studio legale da dodici anni, da quando sono diventata avvocato.
Gabriele è il titolare dello studio e mi ritengo molto fortunata, perché per me lui è diventato un fratello più che un capo. Ha sempre avuto una carezza per me e mi ha sempre sorriso, anche quando tutti mi giravano le spalle e mi dicevano di arrangiarmi. Da quando sono arrivata a Bologna, lui è stato la mia famiglia e il mio affetto vero. Non ho mai provato alcuna attrazione per lui, anche se più di una volta mi sono detta che se mi avesse chiesto di fare l'amore, l'avrei fatto, per gratitudine. Penso meriti più lui che non mi è mai piaciuto fisicamente piuttosto che un uomo che trovo attraente e poi sparisce o mi dice un sacco di balle. Già, perché fare l'amore con coscienza significa potersi controllare, cosa che non puoi fare quando sei coinvolta. Se ti concedi a qualcuno che non ti fa sragionare sai esattamente quello che farai e dove andrai a parare. Così puoi difenderti e non devi inventare scuse per farlo restare un po' di più. Per la cronaca Gabriele non me l'ha mai domandato, troppo affezionato e troppo poco interessato al piacere fisico per farlo.
Gli uomini mi sono sempre piaciuti moltissimo, per questo ne ho fatto incetta più che ho potuto, e l'ho fatto salvando la faccia ed il giudizio degli altri. Questo fino ai quaranta, poi ho iniziato a selezionare solo quelli che avrebbero potuto farmi male. E siccome ho un carattere del cavolo, la scelta è diminuita drasticamente e la selezione si è fatta spietata. Finché vivevo a Potenza non ho avuto la possibilità reale di frequentare abbastanza i ragazzi per capire di avere qualcosa che loro desideravano, che poi è sempre la stessa cosa che possiedono tutte le donne. Quello che cambia è il contorno, più o meno gradevole, e la sostanza del cervello, più o meno densa. Ma da quella gli uomini spesso rifuggono. Lo chiamano effetto castrante, poverini. Al mio paese è ancora come cinquant'anni fa: se baci un ragazzo a diciotto anni poi te lo devi sposare, e non ci sono santi che tengano. Non è un modo di dire, giuro che mi è capitato davvero. Era un ragazzo di diciannove anni, ci incontravamo il sabato sera davanti al cinema. Capitò, dopo un mese che ci si vedeva, che ci scambiammo un bacio prima di andare a casa. Il giorno dopo la commissione di censura famigliare, convocandoci nel salotto buono di casa su sedie di legno con paglia di Vienna allineate ad uso inquisitorio, domandava che intenzioni avessimo, e il padre di lui aveva già telefonato al padre di lei, cioè al mio, per capire gli sviluppi della relazione. Gli sviluppi e gli impegni reciproci. Roba da medioevo, ma accade ancora, anche se vi dicono che non è vero. Così ho aspettato di fare l'università a Bologna, mi ci sono trasferita e lì mi sono tolta le mie curiosità. A Bologna frequentavo tanti ragazzi, che baciavo, accarezzavo e vedevo per pochi giorni, a Potenza, invece, tornavo da virtuosa, sempre sola, e quando capitavo a casa per le feste mi sorbivo le ramanzine delle zie sulle donne che restano sole, che vengono lasciate dai maschi e che intraprendono la professione di zitella vita natural durante. Io invece lasciavo sempre tutti, una specie di mantide laica. Quando le mie cose si confondevano con le sue e il mio lavoro diventava meno importante del loro, quello era il momento di tagliare. Tutto ciò fin quando non mi sono innamorata e sposata, e l'ho fatto per due volte. Ma anche in quei casi li ho lasciati io, perché condividere un letto con altre non è cosa per me. Non ho mai voluto condividere nemmeno una macchina, figuriamoci un uomo. Meglio lasciarli andare e restare da sola. Però vi posso garantire che quando sono stata sposata non li ho mai traditi. Credevo nella fedeltà, ma purtroppo ero la sola a farlo. Penso che loro fossero davvero innamorati di me, ma dopo che finisce una storia in quel modo ti assalgono tutti i dubbi della terra, e metti in discussione anche il tuo sentimento verso i genitori. Figuriamoci nei confronti di un marito che ti ha appena tradita.

Ogni mattina mi alzo alle otto, arrivo in studio alle nove, esco alle tredici, rientro alle quindici e trenta e rimango sui codici almeno fino alle diciannove e trenta. Se ti capita una scadenza improvvisa puoi andare avanti ad oltranza, ma tutto sommato riesco ad organizzarmi bene.
L'avvocato Santese mi ha messo a disposizione una bella stanza, con le travi in legno a vista ed il soffitto cassettonato. Pare che in quella stanza il conte Aldobrandi ricevesse le sue amanti. Proprio la stanza che fa per me. Gli affreschi sono originali del Milletrecento e le stampe appese ai muri le ho comprate io negli anni, frequentando i mercatini di antiquariato del sabato mattina. Sono tutte antiche e la mia laurea in mezzo ai pubblici proclami ingialliti fa davvero un figurone. Gabriele mi fa stare con lui senza contribuire alle spese. Ed è una cosa impagabile, anche se a volte mi sento una intrusa a rischio di sfratto per morosità. In cambio seguo alcuni clienti per lui, tra cui una grossa ditta di forniture ospedaliere, che tra recupero crediti e cause di servizio mi impegna un paio di giorni alla settimana. Gli altri tre giorni li dedico ai miei clienti, che non sono tanti ma generalmente buoni. Con i sinistri faccio un discreto lavoro e di amici ne ho tanti. A qualcuno prima o poi un tamponamento capita sempre, e quando vai a trattare alle assicurazioni una bella scollatura su seno prosperoso et abbronzato comporta sempre un risarcimento soddisfacente ed un onorario più cospicuo. Una volta sono anche andata a letto con un liquidatore di una importante agenzia di assicurazioni della città, ma l'ho imparato dopo. Senza volerlo ho guadagnato un bel po' di lavoro e l'ho mantenuto anche a storia finita, perché l'uomo è stato trasferito altrove. E nonostante la sua rabbia ed il malcelato tentativo di affossarmi, il direttore si è dimostrato contento del mio lavoro e delle mie gambe, anche se non mi confessò mai né l'una né l'altra cosa. Ancora adesso continuo a curare una parte dei loro sinistri e l'uomo fa ancora il liquidatore in una agenzia di provincia.

Stamattina sono in ritardo. Non mi capita molto spesso perché amo la puntualità e la pretendo pure. Sono quasi maniacale in questo e per me è un test che pratico su ogni persona, in qualsiasi situazione. Se qualcuno ritarda più di dieci minuti non merita la mia attenzione, che si tratti di uomo, di amante, di cliente o di amico. Questo ormai lo sanno tutti e con me corrono tutti.
Mi butto sulle scale e saluto il portiere.
Apro la porta, l'impiegata non è ancora arrivata.
Incrocio subito Gabriele, lui arriva sempre alle otto per preparare il lavoro della giornata e per leggere i giornali.
Ciao Monica, già stata alle notifiche?
Ciao, non ancora, prendo il fascicolo ed esco.
Mi raccomando, il termine scade domani.
Lo so, non preoccuparti, la faccio urgente.
La stanza ribolle dal caldo, non è facile concentrarsi, Gabriele non vuole mettere l'aria condizionata e io mi arrangio con un vecchio coso che fatica a muovere l'aria bollente che si è seduta sul pavimento durante la notte. L'aria condizionata secca la gola, dice. Sarà, ma almeno ti fa sopravvivere.
Prendo la pratica e la infilo nella borsa, afferro l'agenda legale con il mio nome scritto ad oro sul fondo rosso della copertina e corro all'ufficio notifiche. Sono passate le nove, troverò senz'altro gente. Quando ci arrivo, la coda arriva fin sulle scale.
Mi attendono almeno due ore di fila. Quando lascio l'ultimo gradino della scala penso che se i clienti vedessero come funziona la macchina giustizia diserterebbero tribunali ed avvocati, e si sforzerebbe di risolvere le controversie da soli, usando il buon senso. Per fortuna siamo così bravi da far credere loro di essere indispensabili.
In coda decine di praticanti, giovani avvocati e vecchie cariatidi forensi che faticano a salire le scale con il bastone da passeggio nella mano destra e un anello d'oro massiccio nel mignolo che lo impugna.
Quando ero giovane io, non c'era mica tutta questa fila.
Beato lui.
La coda va avanti a rilento, mancano ancora cinquanta minuti buoni. Dopo un po' riesci a capire il tempo che ti resta dalla gente che ti precede, come una specie di meridiana in cui il sole è rappresentato dalle persone che hai davanti e l'ombra dal numero di atti che portano con sé.
Monica, ehi Monica.
Ciao Vittorio, come stai?
Bene grazie. Senti, dobbiamo vederci per chiudere la questione Tonelli.
Veramente io non ho molto da dirti, sai quanto chiedo per chiuderla, devi solo dirmi se il tuo cliente accetta o meno.
Beh, potremmo parlarne stasera verso le sette da me, poi prendiamo un aperitivo e vediamo che fare, va bene?
Gli avvocati uomini fanno sempre così, credono che perché sei una donna, e per giunta attraente, tu debba sottostare al loro fascino standard e alla loro seduzione da fotoromanzo. Pensano che l'uomo abbia il dovere di provarci e credono tu ci debba stare, comunque. E che se non ci stai lo fai solo per salvare la faccia, ma in realtà se potessi essere libera lo faresti di certo. Mi fa ridere questa cosa, e spesso ci gioco per avere quello che voglio. Ma questa non è una di quelle volte. Mentre chiudo la mia cassettina e ritiro gli atti giacenti mi giro verso di lui e lo disintegro.
Con te non prenderei nemmeno una marca bollata, figurati un aperitivo.
Ehi, siamo nervose oggi...
Scusa, perdo la fila. Non ho altro da dirti, se hai novità chiamami, il numero lo conosci, altrimenti ci vediamo in udienza.
Guarda che non te lo propongo più Monica, pensaci bene, lo dico sia per te che per il tuo cliente.
Ciao Vittorio, buona giornata.
Vittorio lavora per l'avvocato Cifiello, un legale noto a Bologna per la mancanza di principi deontologici, più volte deferito al Consiglio Forense per motivi disciplinari. E' quello che negli anni settanta, in piena contestazione, spacciava insieme alla sua collaboratrice-amante volantini pubblicitari che reclamizzavano la sua attività. Vuoi vincere la tua causa? Studio Legale Cifiello. E tutto sarà facile e bello.
Vittorio era della stessa pasta, solo con più puzza sotto al naso e la infondata certezza di piacere a tutte le donne. E, credo, anche agli uomini. Dopo il mio saluto se ne va col sedere dritto e mentre scende le scale lo sento sogghignare e commentare qualcosa sulle donne insieme al suo giovane praticante tirapiedi.
Arriva il mio turno, pago i miei diritti e me ne vado. Ci impiego centotre minuti in tutto.
Ritorno in studio e faccio una decina di telefonate che mi portano direttamente all'ora di pranzo.
Corro a casa, preparo la borsa della palestra e mi porto con me frutta fresca e yogurt.
Arrivo in palestra. Mi cambio a velocità supersonica e preparo la bottiglia d'acqua. Non conosco nessuno, dispenso soltanto un ciao veloce senza guardare in faccia i presenti, anche per evitare di infondere coraggio ai soliti seduttori improvvisati dell'ora di pranzo. Ho scoperto che statisticamente la maggior parte dei tradimenti avviene durante l'ora della pausa pranzo, tra le tredici e le quattordici. Sul giornale la chiamano l'ora del mandrillo, e la palestra è al primo posto tra i luoghi galeotti. Capirai che mandrilli, ipertrofici dappertutto tranne che negli unici due punti che mi interessano.
Corso di fit box, dalle tredici e quarantacinque alle quattordici e quarantacinque. Mi stendo, ci do dentro, mi allungo, do calci, pugni, mi sfogo, mi distruggo. Sudo un litro d'acqua che reintegro con un altro litro d'acqua. La palestra a volte non mi pare altro che fare uscire liquidi dai pori per poi farli rientrare dalla bocca. Forse se me ne stavo ferma e buona il risultato sarebbe stato lo stesso senza bere nemmeno un goccio d'acqua, che ora mi sballotta nella pancia e mi fa venire la solita acidità. Tampono il sudore con l'asciugamano e mi siedo sulla panca dello spogliatoio, inerte.
Il tempo di una doccia veloce, mangio una banana e uno yogurt e torno sempre di corsa in studio.
Arrivo alle quindici e quaranta, ho un appuntamento alle sedici e l'impiegata non è ancora arrivata. In compenso ha lasciato accesa la luce per l'ennesima volta e una serie di fotocopie che non è riuscita ad evadere.
Si?
Scusi avvocato, è arrivato il signor Milani.
Ah bene, lo faccia passare, grazie.
E' un uomo attraente, più o meno la mia età, un po' stempiato davanti, un pizzetto color pece appena accennato e curato, gli occhi di un nero petrolio profondissimi. E' alto e si porta dietro un fisico sportivo. Si sa vestire. Ha un neo su entrambi i palmi della mano. Fa un buon profumo. Cammina con andatura decisa. Però i calzini bianchi col mocassino beige sono terribili.
Buongiorno signor Milani, e lui chi è?
Buongiorno avvocato, lui è Mattia, mio figlio.
Ciao Mattia. Scusi ma non dobbiamo parlare di una separazione?
Si esatto.
Credo allora sia meglio che Mattia ci aspetti fuori, gli farà compagnia l'impiegata.
Accompagno il bimbo nella sala d'aspetto e lo affido a Maura. Non è molto loquace e come impiegata ho visto di meglio, ma con i bambini ci sa fare, forse perché il livello mentale è molto simile al loro, e non è una cattiveria. Il bambino non parla, ha gli occhi bassi ed è stato vestito in fretta. Quel suo viso e lo sguardo spento raccontano da soli tutto quello che mi dirà il padre. Cercherà di dipingere la moglie come un mostro, giurerà che lui non ha fatto niente di male, che lei ha tutte le colpe, che lui è un angelo caduto dal cielo e vuole solo il bene di suo figlio. Pronuncerà un'invettiva contro il sistema giudiziario e una difesa in favore dei padri vessati e danneggiati da una legislazione che favorisce troppo le donne. Io lo rassicurerò e preparerò un'atto da vera stronza, lo so fare bene quando voglio. E scriverò la mia verità processuale, cioè un sacco di balle; poi mi chiamerà l'avvocato di controparte e ci metteremo d'accordo. Trasformeremo la separazione giudiziale in separazione consensuale e ci pagheranno spese legali doppie. E saremo tutti contenti, e magari ci scapperà pure una cena in un bel locale, tanto per festeggiare.
Non ce l'ho con mia moglie, avvocato. Sono stato io che l'ho tradita.
Esordisce così, giuro, appena rientro nella stanza. Mi spiazza, non so che dire.
Non possiamo scriverlo questo, signor Milani, lo capisce vero?
Lo so, ma mi pareva giusto farle sapere la verità. A me interessa mio figlio, mi interessa il suo bene, non il mio.
Capisco. Se comprendo bene quello che mi sta chiedendo, lei non cerca una difesa contro sua moglie ma un accordo per una separazione consensuale, o sbaglio?
Esattamente questo.
Prima sarà meglio tentare una conciliazione, si fa sempre in questi casi.
Se lo ritiene faccia pure, ma conoscendola non credo accetterà.
Beh, devo dirle che per esperienza il tentativo fallisce nel novantanove per cento dei casi, ma mi sento di provare lo stesso.
Bene avvocato, allora lo faccia pure, non ho nulla in contrario.
Mi sento indifesa mentre mi guarda, non capita spesso con un cliente, di solito se ne stanno seduti là sotto, io sullo scranno più alto, e da quella posizione posso compensare tutto il mio senso di inferiorità mai confessato. Li indottrino, li ammonisco, dico loro come comportarsi, spesso esprimo giudizi morali e non ammetto grandi contraddizioni.
Improvvisamente sento il mio sistema immunitario che si azzera, e sono sicura di potere prendere un raffreddore solo con un alito di vento. Mi sento nuda, esposta ad ogni tipo di intemperie.
I flash sono tanti, dal giorno delle sue nozze alla nascita del figlio, dal tradimento confessato al perdono promesso e non mantenuto. Non mi risparmia nulla, ed io prendo nota su alcuni fogli bianchi, preparando il fascicolo di studio. E lo studio. Con attenzione. Quando mi parla del figlio inizia a muovere le mani, mi descrive il disegno che gli ha fatto per il compleanno e dipinge quel bambino come l'unica risposta ad un amore che sta svanendo. Tutto il dolore non potrebbe fargli rimpiangere un sorriso così ben riuscito. E forse ha ragione.
Lei è sposata avvocato?
Lo sono stata, due volte.
Ed ha figli?
Nessuno, vivo da sola.
Silenzio.
Non capisco perché glielo dico, perché aggiungo quel vivo da sola, ma non ci vedo nulla di male. Anzi, tutto.
Inizio a rassicurarlo, gli spiego le modalità e le tempistiche, lui mi pare soddisfatto anche se freddo. Mi ringrazia, mi stringe la mano da brividi, raccoglie il pupo e se ne va per le scale parlando di cartoni animati.
Passo il resto del pomeriggio a combattere contro eserciti di bottegai non pagati, di elettricisti più che onesti, di operai ingiustamente licenziati. Una guerra silenziosa, un coro a bocca chiusa con un unico indice puntato e la bilancia sbilanciata, sempre verso l'iniquo. Sto per uscire sconfitta da quella trincea, con le ossa a pezzi, il morale basso e nemmeno un euro di fondo spese.
Ah, capisco, magari ripasso la prossima settimana, va bene avvocato?
Certo avvocato, potrebbe andarle bene un assegno postdatato?
Oddio, non pensavo subito, sono uscita senza portafogli.
Ormai mi vergogno quasi a chiederlo, ma io non posso più andare avanti così.
No guardi, o mi da un fondo spese di cinquecento euro oppure il suo decreto ingiuntivo lo fa fare ad un altro avvocato, chiaro?
Imbarazzo.
Oh, che sbadato, avevo il bancomat con me, vado e torno subito.
Sarebbe tornato davvero, dopo dieci minuti, con tutti i soldi.
Avevo vinto una piccola battaglia, almeno contro me stessa, la mia timidezza, la mia rigidità.
Chiudo la porta dello studio, Gabriele nel pomeriggio non è venuto. Spengo la luce.
Fuori dallo studio, in un angolo sotto il lauro, c'è un albanese che sta pisciando.
Ehi tu, che fai? Vattene via, o chiamo il custode. Non sono più così sicura sia un albanese.
E questo mi prende in parola e si mette a correre, con il pisello ancora tra le mani. Che spasso. Che schifo.
Certo che è una bella fortuna per gli uomini poter pisciare così. Un colpetto di lampo, giù gli slip e via, pochi secondi. A volte vorrei poterlo fare anche io. Deve essere divertente ed anche liberatorio. Ora mi abbasso i pantaloni, scosto il perizoma, piego le ginocchia e mi metto a chinino. E la faccio qui, nello stesso punto dove la faceva lui. La faccio tutta, e ne ho tanta.
Ma che dico? Sono matta?
Giro la testa e mi rimetto a camminare sotto la corte.
Dovete sapere che io vivo di apertivi.
Non c'è una stagione particolare, la cosa dura tutto l'anno.
Mi incontro sempre con le stesse amiche, due colleghe di lavoro separate e una ex compagna di liceo felicemente sposata.
Ci ritroviamo quasi sempre al Barrique, un bel wine bar vicino allo studio, che la sera organizza un aperitivo favoloso. E lì bevo due drink, un calice di vino e mangio. Molto più comodo così. Non ne ho mezza voglia di andare a casa, aprire il frigo, buttare via due zucchine marce e un pezzo di formaggio ormai erborinato. Faccio prima, non faccio nemmeno la spesa e mangio fuori direttamente. Tartine, pizzette, salatini e qualche panino. E il gioco è fatto, torno a casa verso le undici, sazia e felice.
Arrivo al Barrique per prima, mi siedo sullo sgabello e mi metto a leggere il giornale per scoprire dopo un po' che è quello di ieri. Niente di nuovo.
Le altre sarebbero arrivate dopo dieci minuti, tranne Claudia, che ci avrebbe raggiunto verso le nove, appena lasciato il pupo dalla madre. Avrei bevuto due calici di spumante e un daiquiri offerto da tre ragazzetti. Finito l'ultimo bicchiere avrei sentito qualcosa salire dalle ginocchia ed arrivare piano fino al collo. Come un nodo, che mi avrebbe fatto smettere di rispondere a domande inutili e mi avrebbe impedito di parlare di sciocchezze sterili. Quel nodo sarebbe diventato sempre più grande e sempre più dolente, e mi avrebbe fatto sorridere, e dire no, niente, sono solo un po' stanca. Sarei tornata a casa, io e il mio nodo, ubriaca e triste. Se ne sarebbe andato soltanto nottetempo, senza fare rumore.

Apro gli occhi, mi fanno male le orbite. Mi fa male dappertutto. Sono le dieci passate ed è sabato mattina. Dovrei andare in studio a preparare la comparsa della Edillcosmos, ma non ne ho voglia e posso buttarla giù a casa, nel pomeriggio. Mi sembra di essere stata pestata stanotte, mentre invece ho dormito da sola, con il nodo, fin verso le tre, anzi, le quattro, perché mi sono svegliata per andare in bagno e c'era ancora. Adesso sembra andato via, spero non torni più, forse è meglio che non ci pensi troppo sennò ritorna di sicuro.
Mi faccio una doccia gelata che mi fa stare peggio.
Mi vesto e mi preparo per uscire.
Suona il telefono. Qualcuno cerca di appiopparmi un abbonamento ad internet a condizioni irripetibili che si stanno ripetendo da quando ho allacciato la linea del fax.
Proprio mentre sto con gentilezza rifiutando il regalo, cosa della quale, mi assicurano, mi pentirò amaramente, suonano alla porta.
Penso sia il postino.
Buongiorno avvocato.
Non è il postino.
Milani, che ci fa qui?
Avevo bisogno di parlarle.
Senza avvisare? Come ha fatto a trovare il mio indirizzo?
Esiste l'elenco telefonico, avvocato.
Rimango interdetta e non so più cosa dire. Lui mi guarda il seno e non vedo la sua ombra.
Posso entrare? Soltanto un minuto.
Meglio farlo entrare prima che la Pedretti capisca che non è il postino. Lo faccio sedere sul divano mentre io mi sistemo in quello di fianco, a deontologica distanza.
Parliamo per quasi due ore. Mi racconta di tutto, cose intime che io nemmeno racconterei ad una psicoanalista. Mi illumina sulle sue frustrazioni, mi elenca le sue insoddisfazioni e mi parla perfino delle sue perversioni. Io gli do corda, lo ascolto, è piacevole, e rivedo i miei due mariti chiusi a chiave in bagno, seduti sulla tazza del water a rileggere la gazzetta dello sport.
Pranziamo insieme. Gli preparo una gramigna alla salsiccia, la so fare bene e fa sempre colpo. Lui sa cucinare e prepara un secondo al volo, con quanto trova in frigo. Scaloppine ai funghi profumate al marsala, che poi non è un marsala ma un'albana passita che vegeta in frigo sul fondo della bottiglia da due mesi. Il profumo è squisito e anche l'aspetto è ottimo. Apro il vino che tengo sulla mensola della cucina, lo serbavo per un'occasione particolare, e questa in fondo lo è. In cucina fa un caldo pazzesco ed è carino guardarlo con indosso il grembiule con i vini francesi stampigliati davanti. Anche mentre cuciniamo lui continua a parlare, io faccio lo stesso, alternando la storia dei miei matrimoni al commento sul freddo che quest'anno pare non terminare mai. Mi soffermo a parlare di quanto mi piaceva a letto con loro e di quello che invece proprio non sopportavo. Io rido e lui sembra prendere nota di tutto. Mangio le scaloppine e mi sorprendo. Lui se ne accorge e segna un punto.
Dopo pranzo gli faccio il caffé e gli chiedo che programmi ha per il pomeriggio.
Stare con te, Monica, dice a voce bassa.
Che ne sai se lo voglio anche io? rispondo con casalinga sensualità mentre sistemo le tazzine nel lavello.
Non lo so infatti, ma lo spero, dice lui alzando il tono della voce.
Guardo i fondi del caffé mentre pulisco la moca e non dico più niente. Fuori le rondini volano basse.
Rondini + fondi sbriciolati.
Cosa significa? Dovrei consultare la mia amica che conosce l'arte divinatoria della caffeomanzia, ma non c'è tempo, e mi accontento delle mie vaghe nozioni.
Mi sfilo piano il grembiule, lo guardo all'altezza delle spalle, ed è fatta.
Passiamo il pomeriggio da me, e anche la notte.
E' qualcosa di freddo, impalpabile, scurrile.
Non ha senso, ma lo faccio. E mi piace.
Non sembra mai venire mattina, e non parliamo più.
La passione ginnica prende il posto delle frasi che prima mi sembravano così facili, ed ora così assenti. Le contorsioni ardite spengono anche l'ultima sigaretta della sera, che riaccendo per prima alle cinque e venti di mattina.
Francesco, lo sai che questa cosa deontologicamente non è molto corretta?
Vuoi dire che non sei mai andata a letto con un tuo cliente?
A dire il vero no.
Sorride e appoggia il viso sul mio seno.
Resto ad accarezzarlo per un po', poi lo invito ad alzarsi e a rivestirsi. Voglio riposare.
Mi chiede se ci rivedremo.
Gli dico che non lo so, e chiudo la porta.
Resto a guardare per un po' dallo spioncino, sembra non volersene andare. Guarda il campanello, avvicina l'occhio alla porta come per spiarci dentro, ed io mi ritraggo, pensando possa vedermi. Poi realizzo che non è possibile, e faccio per guardare ancora. Se n'è andato, nemmeno la curvatura della lente riesce a metterlo a fuoco. Se n'è andato davvero.
Ora capisco che non ho le parole, nemmeno quelle che servono per finire. Non ho quella rabbia che occorre, e stavolta mi manca anche la speranza dell'inzio. Decido di smettere senza nemmeno cominciare, così non corro rischi. Salto tutte le parole, troppo complicato, cerco di prendermi quello che mi serve. Devo diventare cinica e ipocrita, me ne convinco mentre mi infilo la maglietta bianca da casa e mi guardo al contrario.
Ora invidio Claudia, con due bambini, un marito ed una vita vuota, tutta serena e realizzata. L'invida non fa parte del mio essere, me lo ripeto sempre. A forza di ma e di eccezioni mi rendo conto che invece è dentro di me, esattamente quanto la mia vita. Ma non posso farci niente e mi sorrido allo specchio.
Mi metto sotto le lenzuola e cerco di non agitarmi.
L'importante è stare ferma, e non pensare a niente. Il resto forse verrà da sé. Forse avrei dovuto accettare l'offerta telefonica, spero di non pentirmene davvero.
Dopo una buona mezz'ora mi faccio una doccia, stavolta bollente.
Il sapone che cola dal vetro della doccia sembra darmi ragione. Forma una serie di strade bianche che si incrociano e si perdono, sempre da sole, contro a niente. Con un dito ne seguo una, lambendo le bolle che si formano al passaggio, e raccolgo un po' di sapone sull'indice, per disperderlo poi sulla spalla sinistra, disposta ad assorbirlo. La strada si è chiusa ancora prima che potessi percorrerla, ed è giusto così, è quello che volevo in fondo. E' quello che non volevo. Sento che mi viene da piangere. Forse è meglio che esca dalla doccia prima che mi prenda un malanno.

***

Ciao mamma,

è un bel po' che non ti mando una lettera. Ti scrivo dallo studio. E' sera, ed è stata una giornata bellissima, ancora fredda ma tranquilla, e sto per andare a casa. Mi manca Potenza, e mi mancano tutti gli amici che non vedo da tanto, sarà dura non potere tornare a casa e rivederli.
Come stai mamma?
Qui la vita scorre bene, con il solito tran tran veloce e confuso.
In studio è arrivato un nuovo collaboratore, un certo Tommaso, un ragazzo che ho conosciuto anni fa ad una festa e che non ho più rivisto per tutto questo tempo. Credo che non si sia ricordato di me, oppure ha fatto finta, non lo so. Fatto sta che ho evitato di rammentargli quella sera, e mi sono tenuta i ricordi e le risate per me.
Ho vinto una causa importante ieri. Ti ricordi quell'eredità che portavo avanti da quasi dieci anni? Quella famiglia che abitava quel borgo vicino alla casa di montagna di zio Guido? L'abbiamo finalmente spuntata. Ora attendo soltanto il deposito delle motivazioni, ma non credo che la sentenza sarà impugnata. E' stata una bella soddisfazione per me.
E' più difficile di quello che ricordavo scrivere una lettera, e ormai ho finito tutte le sciocchezze e devo cominciare a pensare di scrivere qualcosa di sensato.
So che non ti aspettavi questa lettera, dopo le tue parole dell'ultima volta non me l'aspettavo nemmeno io, solo che non riesco a tenermi questo dentro, non posso farlo.
Claudia ieri ha incontrato Francesco. Pare si sia rimesso con la moglie e per festeggiare le ha detto che hanno fatto una splendida crociera ai Carabi. Mi è capitato proprio quell'uno percento di coppie che si riconciliano. Ma a conti fatti credo non sarebbe stato l'uomo per me. Ormai penso non esista l'uomo per me.
Io ho rimesso il mandato e anche la mia vita.
Partorirò da sola, fra cinque mesi. Le nausee sono ormai praticamente cessate e dicono tutti di stare tranquilla, che il peggio dovrebbe essere passato. Sarà anche così, ma a me la paura sta venendo ora. Sono felice di partorire dopo l'estate perché il caldo sarà passato e avrò tutto il tempo per riposarmi stando da sola. Ho sempre desiderato avere un figlio, lo sai. Forse troverò un padre strada facendo, qualcuno disposto a barattare le sue notti con la mia calma. Ma se non dovesse arrivare non sarebbe una tragedia. Ci ho pensato molto e ho deciso di non fargli sapere niente, non gli chiederò nulla e credo non se lo immaginerà nemmeno.
Mi aspettano mesi molto duri e impegnativi, non so come farò con il lavoro, ma lo studio aspetterà. Gabriele è così carino e premuroso con me, si trova a suo agio nel ruolo di futuro zio, e nonostante tutte le sue cause si è offerto di sostituirmi nelle udienze e da casa potrò comunque impartire tutte le direttive per fare un dignitoso lavoro. Che è quello che poi ho sempre fatto.
Quella che troverai insieme a questa lettera è l'ecografia che ho fatto la settimana scorsa. Non so se ci sarai quando mia figlia nascerà, io la guardo tutti i giorni e mi sembra già così bella.

Sai, ho scritto un poesia, sono parole che ho pensato per mia figlia, l'ho buttata giù, dopo che abbiamo litigato, vorrei che la leggessi:

Quando non ci sarò più,
prendi, amore, questa poesia
leggila, seduta, in silenzio, calma,
e rifletti;
ripensa ai tuoi grandi occhi scuri,
alle tue mani leggere,
ai tuoi lunghi capelli profumati,
alla acerba grazia che imponevi alle gesta.

Molte persone avrai incontrato,
altre conosciute,
alcune, forse, solo sfiorato.
Ma ricorda che solo una
ti avrà amato,
e quell'amore sarà nebbia nei tuoi occhi,
che rarefatta sottende ai tuoi desideri,
e illumina, serena, i tuoi ricordi.

Quando non ci sarò più,
vorrei essere nebbia nei tuoi occhi,
che, diradandosi,
dischiude, calmo, il sole.

So benissimo che in questo momento avrai alzato lo sguardo al cielo, ti sarai tolta gli occhiali e ti starai asciugando le lacrime. Singhiozzerai e starai faticando a proseguire. So anche che non me lo dirai mai, come hai sempre fatto, ma farò finta di non saperlo. Io sono felice, mamma, l'ho scelto, l'ho voluto, e per la prima volta ho scelto sicura, serena, consapevole. So che non condividi, non l'avrei fatto nemmeno io, ma qui fuori è dura, più dura di quello che si possa credere.
Sai, ci pensavo l'altro giorno, quando guardavo le immagini sbiadite di me, te e papà.
Io non avrò le foto all'ospedale, mentre ti dicono di dire formaggio e sorridere, e anche se stai male e sei stanca lo fai lo stesso perché tanto c'è la tua famiglia e prima o poi ti passerà anche il mal di schiena. Il mio sarà un silenzio assordante, ma tu questo non puoi saperlo, tu hai avuto tutte le grida di questo mondo, ed io ne sono tanto felice. Io avrò una figlia mamma, proprio come hai avuto tu, l'ho scelto, e se la cosa ti fa arrabbiare fa arrabbiare ancora di più me. So una cosa, però: sono fiera di me, di quello che sono, di come lo faccio.
Ho disegnato poesie per ogni persona che ho amato. Anche per te, ricordi? Rammenti per ogni festa della mamma? Alcune non le ho nemmeno scritte, le ho soltanto lette, con voce disperata, stringendo i denti, spesso senza farmi sentire.
Allora sapevi sorridermi, e cercavi di capirmi se qualcosa non andava come volevi tu. Poi anche tu sei diventata come tutti gli altri, dura, fredda, e da quel momento non ho più ricevuto in cambio nemmeno un pensiero. Non che me l'aspettassi, ma non avrebbe di certo dato fastidio.
Ora questa poesia la scrivo per me pensando a lei, a mia figlia che non ha ancora un nome, soltanto per noi e per il nostro futuro.
La dedico a me stessa, per tutte le poesie che non mi sono scritta.
E per la primavera, nella quale credo ancora. Nonostante tutto.
Scusa mamma, spero che prima o poi capirai.

Con affetto

Monica





Luca Martini è nato a Bologna nel 1971, e tuttora vive nella sua città natale. Laureato in giurisprudenza, dopo avere svolto attività legale per quasi quattro anni, esercita dal 2002 la professione di agente di commercio nel settore dell'edilizia. Ha pubblicato nel 2001 la raccolta di poesie "Per un attimo indelebile", pubblicata dalla casa editrice "I miei colori" di Pontassieve (Firenze). Nel 2004 ha pubblicato la sua seconda raccolta di poesie "Riflessi d'interno", edita dalla casa editrice "Bonomo" di Bologna.
Nel mese di dicembre 2006 è uscita la terza silloge "Partitura compiuta per pensieri distratti", a cura della casa editrice "Giraldi" di Bologna.
Scrive racconti dal 2004.




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