LA
SCONFITTA DEI PACIFISTI
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Brano del saggio Le guerre mondiali: dalla tragedia al mito dei caduti
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George L. Mosse
(
) Immediatamente dopo la cessazione delle ostilità, sembrò
ad alcuni pacifisti tedeschi che la guerra stessa fosse stata il loro miglior
alleato. Un raduno di massa organizzato nel 1919 a Berlino all'insegna dello slogan
"Mai più guerre" attirò tra cento e duecentomila persone.
Il movimento "Mai più guerre" ("Nie wieder Krieg"),
creato dopo il primo grande raduno, tentò di fornire al pacifismo tedesco
una base di massa. Esso ebbe successo finché i sindacati e il Partito socialdemocratico
l'appoggiarono. Ma quest'alleanza tra pacifisti e repubblicani non poteva durare:
il movimento "Mai più guerre" collaborava strettamente con i
pacifisti francesi e inglesi, ed era quindi sospettato di rafforzare il trattato
di Versailles. V'erano inoltre le rivalità tra i suoi capi, che nel 1928
avevano ormai messo virtualmente fine al movimento, e con esso ad ogni tentativo
di dare al pacifismo tedesco una base di massa. Gruppi pacifisti di rilievo rimasero
- è vero - entro il Partito socialdemocratico, ma erano efficacemente neutralizzati
dai costanti sforzi compiuti del partito in appoggio alla Repubblica di Weimar
assediata. I socialdemocratici dovevano difendere la Repubblica contro la sinistra
rivoluzionaria oltre che contro la destra. Il risultato fu da un lato l'appello
all'esercito per sconfiggere i tentativi rivoluzionari, e dall'altro la creazione
del Reichsbanner, un'organizzazione paramilitare, come difesa contro la destra
radicale. Esistevano altre organizzazioni pacifiste tedesche, alcune più
moderate del movimento "Mai più guerre". Ma rimasero relativamente
piccole, senza una vera base di massa. Il movimento pacifista cattolico ebbe una
certa importanza grazie al suo successo tra la gioventù cattolica; ma il
movimento pacifista tedesco più largamente noto, e ch'ebbe vita più
lunga - la Deutsche Friedensgesellschaft (Società tedesca per la
pace) - non contò mai più di circa 27.000 membri. La Società
era peraltro lacerata da costanti risse interne tra moderati e radicali, e nel
1932, alla fine della Repubblica di Weimar, s'era ormai ridotta alla patetica
cifra di 5.000 iscritti. Il pacifismo rimase vivo tra alcuni intellettuali di
sinistra e nelle loro riviste. Uomini come Carl von Ossietzky e Kurt Tucholsky
diedero lustro al movimento, e lo mantennero all'interno del dibattito politico.
Ma l'unico suo atto politicamente rilevante fu l'aver svelato il riarmo segreto
della Reichswehr (una rivelazione rimasta peraltro senza conseguenze). Esso fornì
inoltre alla destra nazionalista un comodo bersaglio. Il fallimento del pacifismo
tedesco fu dovuto soltanto in piccola parte all'inadeguatezza del suo gruppo dirigente,
ai suoi continui litigi interni e alle sue secessioni. Queste erano le stigmate
del settarismo, e il pacifismo tedesco fu in effetti costretto nella posizione
di una setta. Fin dall'inizio, l'handicap del pacifismo stava nella realtà
di una nazione sconfitta e umiliata. In una situazione del genere, la questione
delle responsabilità della guerra aveva un carattere altamente emotivo,
su cui tutti i movimenti politici erano chiamati a pronunciarsi. Ma, soprattutto,
la destra giunse a dominare in misura vieppiù crescente il dibattito politico
in seno alla Repubblica, spingendo i suoi avversari in una posizione difensiva.
Durante buona parte del periodo weimariano, la lotta politica nazionale si concentrò
tendenzialmente sulle rivendicazioni nazionalistiche; e il pacifismo si trovò
privo di un appoggio politico significativo. Il pacifismo era debole anche
in Italia, dove fu bloccato dall''avvento al potere del governo fascista (ma fin
allora il Partito socialista italiano aveva mantenuto le sue posizioni pacifiste,
malgrado le aggressioni della destra). Il pacifismo francese riuscì dal
canto suo a conservare una base politica in un ampio settore del Partito socialista.
Un potente gruppo pacifista e di resistenza alla guerra continuò ad esistere
in Francia durante tutti gli anni Venti e Trenta. Ma nel periodo tra le due guerre
il più forte movimento per la pace si ebbe in Inghilterra. Qui, malgrado
le difficoltà economiche, la transizione dalla guerra alla pace era stata
relativamente tranquilla. Inoltre, la tradizione evangelica offriva ai movimenti
pacifisti una solida base, assente nei paesi in cui non v'erano legami tra religione
e pacifismo. Per esempio, il protestantesimo tedesco non aveva nessuna tradizione
del genere. In Inghilterra invece il pacifismo poteva venir praticato come un
atto di fede. Nel 1936, nel momento del suo massimo sviluppo, la Peace Pledge
Union (la più grande organizzazione pacifista britannica) contava 136.000
iscritti. Inoltre, diversamente dai socialdemocratici tedeschi, in Inghilterra
il Labour Party appoggiava i pacifisti. Anche la causa della Società delle
Nazioni fornì un sostegno importante al movimento antibellicista: un fattore
che, di nuovo, ebbe scarso rilievo in Germania, dove la Società delle Nazioni
era largamente considerata uno strumento dei vincitori. Canon H. R. L. Sheppard
fornì alla Peace Pledge Union quella leadership efficace che altrove
mancava. E tuttavia, quando, nel 1934, sollecitò l'invio di cartoline sottoscriventi
la dichiarazione che ogni specie di guerra, per qualsivoglia causa, costituiva
un delitto, ricevé soltanto 50.000 adesioni. La
lotta antifascista, quale è illustrata dalla guerra civile spagnola, costituì
l'ostacolo maggiore ad un movimento pacifista basato sulla sinistra. Era giusto
porgere l'altra guancia al fascismo, anziché arrestarne l'avanzata con
ogni mezzo, guerra compresa? Era una questione di priorità. Così
C. E. M. Joad, messo di fronte all'insurrezione del generale Franco, domandò:
"Supponete di essere dei socialisti spagnoli, fedeli sostenitori del governo.
Ebbene, avreste permesso ai generali di insediare il fascismo senza muovere un
dito?". Ma Joad, la cui posizione era quella di un "pacifista puro",
concludeva che "non può mai esser cosa giusta smettere di propugnare
un metodo di salvezza valido sul lungo periodo soltanto perché le circostanze
sono sfavorevoli alla sua applicazione nel breve periodo"". Joad
era un isolato, come mostra lo slogan "Contro la guerra e il fascismo":
una contraddizione in termini. Tra coloro che abbracciarono questo slogan, molti
si arruolarono nella guerra civile spagnola. Naturalmente, le realtà politiche
fecero sentire il loro peso sui pacifisti inglesi, com'era accaduto, sia pure
in maniera diversa, ai pacifisti tedeschi. Comunque, tirando le somme, occorre
domandarsi: il maggior movimento pacifista europeo fu davvero una realtà
così imponente? Una base di massa indubbiamente esisteva; ma in un paese
con una popolazione di quaranta milioni di unità anche 136.000 persone
non sono poi molte. Certo, il movimento ebbe un'influenza politica maggiore dei
suoi omologhi negli altri paesi; un'influenza che si esercitò non soltanto
attraverso il Labour Party, ridotto per tutti gli anni Trenta ad una presenza
parlamentare disperatamente minoritaria, ma anche attraverso la sua diretta incidenza
sugli studenti universitari (un elemento delle élites dominanti). E tuttavia,
il pacifismo non riuscì mai a sfondare davvero, a divenire cioè
parte del credo delle classi medie, e neppure delle classi inferiori. Nell'intero
periodo tra le due guerre, in nessun momento riuscì a diventare una forza
politicamente potente, né a conquistarsi l'adesione di una parte considerevole
della popolazione. La letteratura pacifista degli anni tra le due guerre ebbe
un impatto altrettanto grande, e forse maggiore, rispetto a qualunque movimento
pacifista. Il romanzo di Erich Maria Remarque Niente di nuovo sul fronte occidentale
(1929) divenne uno dei massimi successi editoriali tedeschi di tutti i tempi;
e la sua influenza fu temuta dalle forze pro-guerra. La semplicità e la
potenza del tema - un gruppo di giovani soldati intrappolati in una guerra degradante
e distruttiva - esercitarono una forte attrazione non soltanto in Germania, ma
in tutto il mondo. Il linguaggio era grossolano, e le immagini orribili. E tuttavia,
la rivista pacifista e di sinistra "Die Weltbühne" definì
il libro "propaganda bellica pacifista". Remarque aveva esplicitamente
negato che Niente di nuovo sul fronte occidentale fosse una storia d'avventure
; ma questa appunto fu la tesi della "Weltbühne", la quale
addusse, per esempio, le burle che i soldati, freschi di studi, giocano ai loro
ufficiali, o il loro senso d'orgoglio al pensiero della superiorità che
l'esperienza della guerra gli procura su quanti sono nati troppo tardi per combattere.
Il libro poteva invero esser letto in questo modo, e ciò spiega forse in
parte la sua popolarità. Ma Modris Eksteins ha indubbiamente ragione quando
interpreta il libro come un commento sulla distruzione di un'intera generazione
ad opera della guerra, e aggiunge ch'esso non offre alternative. Eppure, di solito
un libro che propone un orizzonte così desolatamente squallido non diventa
un colossale bestseller (anche se vanno messe nel conto le vaste risorse della
Ullstein, ossia di quella ch'era forse la più abile tra le case editrici
tedesche). I lettori dovettero trovare nel libro un qualche aspetto positivo cui
aggrapparsi, si trattasse dell'elemento avventuroso, o di quegli aspetti nobili
della guerra che abbiamo così spesso menzionato in connessione con il Mito
dell'Esperienza della Guerra. Ad ogni modo, il film tratto dal libro, e diffuso
nel 1930, fu messo al bando in quello stesso anno (su pressioni della destra),
perché tale da costituire una minaccia all'ordine interno e all'immagine
della Germania nel mondo. E fu la Repubblica di Weimar a prendere questa decisione! Nel
suo resoconto autobiografico della guerra - Der Krieg (1929), considerato
uno dei più famosi romanzi antibellicisti - anche Ludwig Renn dipinge un
quadro realistico della paura, del massacro, e del vuoto della guerra. Ma ammette
il proprio entusiasmo d'un tempo, e riconosce che gli occhi gli si aprirono soltanto
alla fine, nel 1918. Intanto aveva fatto il suo dovere, aveva combattuto valorosamente,
ammirava il coraggio, ed era felice della sua Croce di Ferro. Non è chiaro
in quale misura il giudizio sulla prima guerra mondiale che emerge da questo libro
possa esser considerato un giudizio seccamente negativo. Condanne della guerra
schiette e inequivoche possono trovarsi in alcuni romanzi e copioni tedeschi assai
meno letti, come le opere di Fritz von Unruh. Ma nella narrativa popolare condannare
la guerra senza contemporaneamente lasciare al lettore qualche scappatoia appariva
un'impresa difficile. La più celebre eccezione fu Le feu (1916)
di Henri Barbusse, un libro in cui il ritratto realistico di una squadra di soldati
in trincea lasciava un ben scarso margine per qualsiasi ambiguità nella
condanna della guerra. Ma personalmente Barbusse non era un pacifista. Egli odiava
soltanto le guerre cosiddette imperialistiche, e non le guerre combattute nell'interesse
dell'Unione Sovietica, o di quanti giudicava appartenere alla categoria degli
oppressi. Anche se è possibile scorgervi qualche elemento di disillusione,
nel suo insieme la letteratura tedesca postbellica mise in risalto quegli ideali
ch'erano parte del Mito dell'Esperienza della Guerra: il culto dei caduti, il
cameratismo, lo stile di comportamento soldatesco, e infine l'eroismo dell'"uomo
nuovo", che forniva la necessaria leadership. L'"uomo nuovo" di
questi romanzi aveva gli occhi rivolti all'indietro, alla storia tedesca, e contemporaneamente
in avanti, verso il futuro. Nelle parole di Joseph Magnus Wehner, che nel suo
Sieben vor Verdun (Sette davanti a Verdun, 1930) descrive la guerra di
trincea, "Balzando al di sopra del parapetto, entravamo in una dimensione
senza tempo"". E un recensore di questo libro disse dei suoi eroi ch'erano
"figure più vere di ogni verità" . Dopo le traumatiche
esperienze della prima guerra mondiale, il pacifismo si trovò assediato
tanto da destra quanto da sinistra. I movimenti nazionalisti videro nella guerra
un mezzo per riconquistare i territori perduti e ringiovanire la nazione, mentre
dal canto loro i movimenti di sinistra colsero l'occasione di combattere il fascismo
unendosi alle file dei lealisti repubblicani nella guerra civile spagnola. L'influenza
del Mito dell'Esperienza della Guerra non trovò nel pacifismo un ostacolo
di rilievo. Il secondo conflitto mondiale modificò in maniera decisiva
la memoria della guerra, e parve porre termine alla maniera in cui la maggioranza
dei popoli e delle nazioni aveva percepito le guerre fin dall'epoca della Rivoluzione
francese e delle guerre di liberazione tedesche. Esso minò l'efficacia
dei miti e dei simboli che avevano ispirato il culto della nazione, come pure
lo stereotipo del nuovo uomo-soldato.
(Tratto
da Le guerre mondiali: dalla tragedia al mito dei caduti, Laterza editori,
1990, Bari. Traduzione di Giovanni Ferrara degli Uberti)
George L. Mosse (1918-1999) è stato uno dei più grandi storici del
nazismo e del fascismo. Ha insegnato nell'Università di Madison (Wisconsin) e
nell'Università ebraica di Gerusalemme. Tra le sue opere tradotte in italiano,
Sessualità e nazionalismo. Mentalità borghese e rispettabilità; Il fascismo.
Verso una teoria generale; Intervista sul nazismo; L'uomo e le masse nelle ideologie
nazionaliste; Le guerre mondiali; Di fronte alla storia.
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