IL MOMENTO
DI UNA ROTTURA -
TONI NEGRI E GIUSEPPE COCCO, I MOVIMENTI SOCIALI E I NUOVI GOVERNI SUDAMERICANI
-
Verónica Gago
“L'America
Latina sta vivendo il momento di una rottura” I
due intellettuali italiani, teorici dei movimenti sociali alternativi, discutono
la relazione con governi come quelli di Lula, Chávez, Kirchner ed Evo che,
con varie differenze, si aprono verso politiche non neoliberali. Suppongono che
questi governi devono permettere lo sviluppo dal democratico al sociale. Alcuni
avvenimenti in Brasile suggeriscono domande su come è la relazione oggi
tra i movimenti sociali e il governo di Lula. Forse il più diffuso è
stato quello di una frazione del MST 1
che ha invaso il Congresso a Brasilia. “Come interpretate questi fatti? Quale
è stato il clima riguardo la rielezione di Lula nel congresso della CUT?
2 Giuseppe
Cocco: “L'invasione al Congresso non è stata realizzata dal MST, ma da
una frangia dissidente ultraminoritaria del movimento che lotta per la riforma
agraria e che sembra francamente estranea nell'attuale congiuntura politica brasiliana.” Toni
Negri: “ La sensazione che abbiamo avuto in occasione della Conferenza per l'apertura
del Congresso Nazionale della CUT è contraria a quest'ultima: in primo
luogo, abbiamo percepito una grande determinazione del movimento sindacale e sociale
per approfondire le relazioni con il governo, in modo da garantire il prossimo
mandato di Lula e allo stesso tempo per far sì che questo costituisca un
passo avanti in termini di trasformazione sociale. In secondo luogo, esiste una
grande coscienza da parte dei sindacati operai sul fatto che le trasformazioni
sociali e la nuova dinamica dello sviluppo camminano insieme, soprattutto davanti
alla mobilitazione produttiva che ha luogo nella metropoli, più in là
della fabbrica. Per ultimo, è chiara la convinzione che questo secondo
“tempo” del governo di Lula potrà realizzarsi effettivamente nella misura
in cui incontri la base di una radicalizzazione democratica che implichi l'affermazione
delle relazioni sempre più aperte tra governi e movimenti. Voi
richiedete la presenza nel Cono Sur 3
di un antagonismo tra “il governo dell'interdipendenza” e il “blocco biopolitico”
della capitale. Ora potreste spiegare i termini di questo conflitto? Toni
Negri. “Tra le cose che sono cambiate, senza dubbio vi è il passaggio dalla
dipendenza all'interdipendenza. La sinistra che si proclama ‘radicale' ha attaccato
la politica di Lula e Kirchner quando questi hanno assunto una posizione responsabile
nel confronto con il FMI 4 e con
il Club de Paris 5. A noi, invece,
ci rallegra che finalmente altre forze di sinistra, quelle che Lula e Kirchner
rappresentano, abbiano approfittato dell'occasione per far tornare relativamente
indipendente l'America Latina, (non solamente le loro nazioni), dal comportamento
oltraggiante e rigido dell'FMI e del Club de Paris. Una nuova era è iniziata.
Il grande problema degli anni avvenire sarà quello di come governare l'interdipendenza
del continente Latinoamericano, (allo stesso modo il problema si pone in Europa,
in Cina e in generale in Asia), dovuta alla scomposizione dell'egemonia imperiale
nordamericana. Tutto ciò non significa che internamente ai paesi dell'America
Latina non esistano problemi. Il blocco del biopotere è indubbiamente feroce.
Ma si tratta di scappare e di inventare una nuova politica democratica che lo
disarticoli. Il nazionalismo, il discorso economico del liberismo e il lamentevole
antimperialismo rafforzano solamente il blocco del biopotere. In questa prospettiva,
la rottura dell'indipendenza operata da Lula e il lancio del progetto boliviano
risultano essere complementari. Noi speriamo che il governo di Lula, nel suo secondo
mandato, si apra e si nutra delle iniziative boliviane così come speriamo
che i colori esageratamente nazionali di una grande esperienza come quella di
Chavez ( e forse quella di Evo), si scoloriscono. Perché
credete che la critica al liberismo nazionale è idonea in paesi come l'Argentina
dove il fenomeno della disoccupazione (e suboccupazione) massiccia spinge i lavoratori
ad accettare salari bassi e lavori iperprecari? Giuseppe
Cocco: In “Global” 6 critichiamo
il tentativo di “resuscitare” il modello nazional-liberale alla stessa maniera
in cui critichiamo quelli che pensano che sia possibile, in un'economia avanzata,
risolvere la questione della precarietà del lavoro attraverso il ritorno
ad un “pieno impiego” industriale , oggi impraticabile. Non si tratta di “ emarginare”
la questione dello sviluppo, ma di trattarla in maniera adeguata. La precarietà
attuale non è il residuo del sottosviluppo, ma la base e il risultato stesso
dello sviluppo. Con i sindacati metalmeccanici dell'ABC 7
paulista abbiamo giustamente discusso di ciò: per esempio la Volkswagen
vuole licenziare, rendere flessibile e anche abbassare i salari in funzione dei
suoi piani di modernizzazione globale, ovvero secondo la tendenza generale che
attraversa il mondo del lavoro e della produzione. T.N:
Questa tendenza è verso la diffusione sociale della produzione, la terziarizzazione
dell'economia, la mobilitazione del lavoro direttamente sul terreno della riproduzione
sociale. Oggi la disciplina dell'industria si trasforma nel controllo delle reti
sociali. L'esclusione non è solo una funzione necessaria per la mobilizzazione
produttiva all'interno della relazione salariale, ma un meccanismo di comando
che non ha luogo solamente nel mercato del lavoro, ma direttamente su tutta la
società. L'esclusione è in realtà una modalità dell'inclusione
(di controllo) basata sul non riconoscimento della dimensione produttiva della
vita. Per questo, la disoccupazione e la suboccupazione, da un lato, non sono
residuali e, dall'altro, combinano l'eredità nefasta del sottosviluppo
e del neoliberalismo con il frutto attuale della “modernizzazione”capitalista.
Oggi vediamo come il “terzo mondo” penetra da ogni parte nelle grandi metropoli
del primo mondo: lo dimostrano i fatti di New Orleans o la rivolta delle periferie
di Parigi. Davanti a ciò, la sfida dei “nuovi” governi e i movimenti è
porre in primo piano l'organizzazione per lo sviluppo come una questione democratica
e allo stesso tempo sociale. E questo serve per riconoscere che per mobilizzare
le forze produttive in maniera alternativa alla precarietà che il mercato
pretende imporre, oggi il lavoro deve riconoscersi come la costituzione della
normalità, attraverso, in primo luogo, un salario civile. Il
discorso che rivendica “ritornare all'industria”, oltre che anacronistico, secondo
voi può essere politicamente reazionario? T.N:
Il sindacato tradizionale è nato quando c'era un pieno impiego, ma in una
situazione in cui la flessibilità e la mobilità diventano requisiti
fondamentali del lavoro, la precarietà si converte nel problema centrale
e non ci sono politiche liberali che possano modificare questa situazione. Ciò
deve cambiare perché la propria idea di lavoro si è trasformata.
Il lavoro non è solo quello che si realizza in un'industria, ma che dipende
da una rete sociale organizzata. Questo è quello che abbiamo potuto vedere
in Francia dove, a fronte dei conflitti dello scorso marzo (il più grande
rifiuto dei giovani al Contratto di Primo Impiego stabilito dal governo) si è
presentato il problema dei diritti di cittadinanza, una questione, senza dubbio
fondamentale. G.C: Perché i
sindacalisti non ritornano all'industria? Perché il lavoro stipendiato
è una prigione, una forma di subordinazione. Ricordiamo il film “La classe
operaia va in Paradiso” di Elio Petri (Italia, 1971), in cui il personaggio principale,
Lulù, perde un dito. Lì si dimostra che gli operai lottavano per
dissimulare il tempo del lavoro e contro la disciplina. Dopo la lotta, i lavoratori
continuavano a lavorare nell'industria, ma la disciplina non funzionava alla stessa
maniera. La crisi della relazione salariale non fu programmata dal capitale ma
fu forzata dalle lotte. Il capitale da allora si riorganizza e cerca di imporre
un sistema di controllo adeguato e questo trasforma le industrie, poiché
si arriva a esigere la mobilità produttiva di tutta la società. Si
è capito che teorizzano la disoccupazione e l'immigrazione come esperienze
di esodo in America Latina quando queste situazioni sembrano essere delle trovate
disperate più che delle politiche liberatrici. Che ne pensate? G.C:
I governi con economie centrali hanno sempre moltiplicato gli strumenti di controllo
degli immigranti con il fine di schedarli e renderli inferiori e imporre così
nuovamente la meccanica del mercato e i suoi movimenti. L'esodo, invece, è
un processo costituente di nuovi territori e moltitudini, così come il
mito biblico della fuga dalla schiavitù dell'Antico Egitto. È nella
fuga che si costituisce il popolo e la terra promessa. Questa prospettiva è
incompatibile con la teoria classica del mercato del lavoro e con il marxismo
volgare ( e anche con il liberismo), che trasformarono la nozione marxista di
“esercito industriale di riserva” in un dogma reazionario. La disoccupazione è
funzionale allo sviluppo capitalista, che ha necessitato di quest'ultima per imporre
la subordinazione salariale del lavoro libero. Per questo, la globalizzazione
permette il flusso libero dei capitali ma non smette di creare barriere alla circolazione
umana. T.N: La recente e massiccia
lotta degli immigranti clandestini negli Stati Uniti è una dimostrazione
della potenza libertaria del fenomeno migratorio: altrimenti perché l'amministrazione
Bush ha cercato di creare condizioni per il controllo attraverso la criminalizzazione
degli illegali?, altrimenti perché queste innumerevoli manifestazioni hanno
dimostrato che gli immigrati sono capaci di organizzarsi e di lottare e che ciò
non è necessariamente una conseguenza della loro inserzione nelle relazioni
del capitale? Se ricordiamo che la maggior parte di loro sono latinoamericani
possiamo dire che hanno tolto al cuore dell'impero il ciclo politico e sociale
che si sviluppa da Buenos Aires a La Paz , passando per Brasilia e Caracas. In
Argentina: quanti dei piqueteros non sono immigranti interni o di altri paesi?
Come ignorare la potenza delle loro lotte e l'innovazione dovuta al fatto che
questi movimenti si costituiscono indipendentemente dal lavoro stipendiato? Un
altro elemento della vostra interpretazione si deve al fatto che leggete la crisi
argentina del 2001 come un momento politicamente positivo. A cosa si deve ciò? G.C:
semplicemente perché alla fine del governo di Alfonsín, rapidamente
dopo l'apertura democratica, il paese era prigioniero di una impasse che non trovava
soluzione. È vero che la crisi economica era drammatica, ma la crisi di
rappresentazione affermata nel momento costituente del 19 e 20 dicembre 2001 ha
posto la base per uno spostamento, maturato nelle profondità della crisi.
Kirchner è stato il prodotto di questo spostamento, che allo stesso tempo
è determinato come spazio aperto al nuovo. Il solo fatto che Kirchner abbia
coscienza di tutto ciò ci sembra estremamente positivo. Pensate
che ci sia un accompagnamento dei movimenti sociali verso il governo di Lula e
di Kirchner? T.N: Per chi guarda al
Brasile, sembrerebbe di si. Il movimento sindacale, per esempio, è tornato
a sviluppare sia dall'interno che dall'esterno del governo un'importante mobilitazione
critica che (mantenendo lealtà a Lula) ha contribuito all'inflessione della
politica economica e alla maggiore rivalutazione del salario minimo degli ultimi
venti anni. Questo vale anche per il movimento negro e più ampliamente
per tutti quelli che lavorano contro il razzismo. Tuttavia, rimangono alcune incertezze
(specialmente da parte di alcuni esponenti del PT 8
o del governo), che in questo piano esista una relazione reale tra governo e movimento.
Lo stesso si può dire della dinamica democratica della città, sebbene
sia ancora insufficiente. Senza questi elementi non sarebbe stato possibile che
Lula si mantenesse al potere dopo un anno di linciamento mediatico. G.C:
Per chi guarda all'Argentina, sembrerebbe poter affermare lo stesso sul terreno
dei diritti umani, specialmente per la relazione del governo con le madri di Plaza
de Mayo. Con i piqueteros 9 siamo
un po' perplessi perché non si vede una grande determinazione nell'affrontare
la questione del salario universale. Ma questa incertezza non si limita all'Argentina:
accade la stessa cosa in Brasile o in Francia. Crediamo che deve svilupparsi di
più il dibattito sulle trasformazioni del lavoro. È indiscutibile
che Lula e Kirchner offrano un terreno aperto e positivo per questa sfida. Credete
che questi “nuovi governi” dipendano, in buona parte, dalle loro strategie mediatiche
per mantenere la loro legittimità ( o direttamente costruirla) una volta
che arrivano al potere? T.N: L'America
Latina sta vivendo il momento di una rottura che ancora non è stata annunciata.
Una rottura che è in relazione con le dimensioni del comando mondiale.
In tal senso è un momento eccezionale. Qualsiasi forma di governo popolare
ha la necessità assoluta della comunicazione. E' veramente un elemento
fondamentale. Non riesco proprio a capire perché in tutto il lungo periodo
del governo di Lula non si sia prodotta una iniziativa di comunicazione alternativa
ai centri mediatici dominanti. G.C:
La comunicazione tende a stare tra i progetti che formano parte della dinamica
di integrazione, tanto per ciò che riguarda le infrastrutture (la questione
energetica, per esempio), come in quelle vincolate con le relazioni internazionali. Come
analizzate lo scenario attuale messicano, dove la destra sembra aver ordito una
truffa e l'ipotesi zapatista del trionfo di López Obrador è rimasta
spiazzata? G.C: Mi sembra che questa
volta il giro verso la sinistra che attraversa tutto il continente si è
sbattuto in maniera diretta con gli interessi degli Stati Uniti. Il vincolo tra
Messico e Stati Uniti è molto più che una relazione di prossimità
geografica: il Nafta 10 è
il marchio di una integrazione reale e in Messico la frode elettorale è
molto simile a quella che (dalla Florida) permise a George W.Bush di vincere le
elezioni come presidente degli Usa. Credo che per il neozapatismo ci siano due
problemi: non solo la sorpresa riguardo la previsione della vittoria del PRD 11,
ma anche il fatto di aver optato per una critica della candidatura di López
Obrador. Si tratta di un errore politico che dovrà essere ben valutato
nella prossima data elettorale in Argentina e, anche prima, in Brasile, dove l'estrema
sinistra corporativa e moralista (Heloisa Helena del PSOL 12
) può impedire la rielezione di Lula al primo turno e dare una boccata
di ossigeno al candidato di destra. In ogni modo non credo che questo sia il fatto
principale. La cosa fondamentale è che il ciclo di lotte ormai non ha più
il Chiapas come epicentro. Oggi l'epicentro si ubica nel cuore stesso dell'impero
con la lotta degli emigranti latini, in maggior parte messicani. Gli stabilimenti
di assemblaggio, per sfruttare i bassi salari della frontiera, hanno necessità
di mantenere in vita la frontiera. La frontiera e la sovranità nazionale
sono strumenti del potere del capitale in Messico e del capitale in Usa che discriminano
e criminalizzano gli immigrati. La sovranità nazionale è uno strumento
fondamentale del controllo capitalista del mercato del lavoro. La retorica neoliberale
appare così in tutta la sua strumentalizzazione. Ma le lotte indicano i
flussi migratori capaci di scavare la frontiera e aprire in questo modo un nuovo
orizzonte, una nuovo offensiva, un nuovo spiegamento: più in là
dello Stato nazione, la lotta della moltitudine degli immigrati illegali negli
Stati Uniti segnala un orizzonte politico postnazionale e mostrano che il giro
verso la sinistra del continente interessa tutta l'America. 1
MST: “Movimento dos trabalhadores rurais sem terra” movimento sociale
che appoggia i poveri contadini nella loro lotta per una riforma agraria più
equa ma soprattutto per la costruzione di un progetto popolare basato sulla giustizia
sociale e sulla dignità umana. 2CUT:
“Central única dos trabalhadores” sindacato dei lavoratori. 3CONO
SUR . Cono Sud ossia Cile, Argentina e Uruguay. 4
FMI: fondo monetario Internazionale 5
CLUB DE PARIS: Un gruppo informale di creditori pubblici che cercano di trovare
delle adeguate soluzioni alle difficoltà di pagamento delle nazioni indebitate.
6
GLOBAL: il libro che hanno scritto a due mani. 7
ABC: è una regione industriale formata da sette comuni:Região Metropolitana
de São Paulo, Santo André, (A), São Bernardo do Campo, (B)
São Caetano do Sul (C), Mauá, Ribeirão Pires e Rio Grande
Da Serra. 8
PT: Partito dos trabalhadores (Partito dei lavoratori). 9
Piqueteros: membri di un movimento sociale argentino formato da lavoratori disoccupati
nella metà degli anni '90 durante il governo di Carlos Menem . 10
Nafta: North American free trade agreement (Accordo Nordamericano
di libero scambio), un accordo di libero scambio tra Usa, Canada e Messico. Firmato
nel 1992 ed entrato in vigore nel 1994 quando nel Chiapas iniziarono le prime
rivolte in quanto le popolazioni indigene vedevano in questo trattato un ulteriore
spostamento della ricchezza dalle zone povere del Messico a quelle più
agiate del nord America. 11
PRD: Prtido de la Revolucion democratica. 12
PSOL: Partido Socialismo e Libertade
(Questa intervista č apparsa in Argentina circa sei mesi fa, un po' prima dell'elezione
di Lula a un secondo mandato presidenziale in Brasile. Traduzione di Samanta Catastini.)
Toni Negri e Giuseppe Cocco
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