Tre quarti di storie di luna Giovanna
Zùnica
È
notte. Nuvole di zucchero filato viaggiano veloci contro lo sfondo blu-nero, uniforme.
Sono stracciate, e macchiate qua e là di acquarello color piombo. Rapide,
vestono e svestono la luna che, in questo scenario, sembra proprio lì,
a portata di mano. La luna è mia. Mai visto un cielo così. Me
ne sto seduta a guardare questo cielo nervoso, prepotente, e mi torna in mente
mio figlio, che oggi avrebbe 17 anni e che io non ho mai conosciuto. La verità
è che di figli ne avrei tre, se non fosse che mi si sono abortiti tutti.
Ma gli altri se ne sono andati molto presto. Andrea invece no, gli avevo persino
dato un nome. È stato il primo, e non pensavo che poi ne avrei persi anche
altri. Ieri ho incrociato suo padre. Il supermercato: che razza di posto
per incontrare il padre mancato dei tuoi figli, che non vedi da tre anni. Era
solo come un cane randagio. Trasandato come uno scapolo della sua età.
Non è cambiato, in fondo; era concentrato sui formaggi. So quali ha finito
per scegliere. Non ho provato nulla. Ho solo pensato che ad Andrea è
andata bene, tutto sommato. Sono rimasta per un attimo ferma a guardarlo, quella
parvenza d'uomo. Si può dire uomo, uno che non ha un figlio? Era a pochi
metri soltanto e sembrava un chilometro. Esiguo, striminzito. Non mi ha vista,
era assorto. Ho girato l'angolo in fretta. Poi ho fatto la spesa di furia e me
ne sono andata. Scambiare due parole futili con il padre di mio figlio che non
è riuscito a nascere: no. Di che cosa avremmo potuto parlare? Delle muffe
del roquefort? Del Mont Combalou? Torno a casa e ci trovo Francesco. È
rientrato in anticipo. Bene, mi aiuterà a riporre la spesa. Lui di figli
- lo ha detto subito - non ne vuole, "non se ne parla nemmeno!" Non
gli avevo chiesto nulla. Quella volta lo guardai come se fosse un deficiente.
Sapeva di che cosa stava parlando? Non ho la benché minima intenzione di
abortire tre figli anche con lui. Ma lui non sa che sono la madre di Andrea. Non
ne abbiamo mai più parlato. Diventeremo vecchi senza figli. Incartapecoriti
e alieni al resto del mondo. Non riusciremo più a capire di che cosa parlano
in TV e i vicini di casa ci sembreranno tutti matti. Spero di morire prima d'un
colpo secco. Ma che dico, non invecchieremo insieme io e Francesco. È finita.
Riposta la spesa, abbiamo cenato. Poi gli ho detto "Scusami, avrei bisogno
di restarmene un po' da sola stasera. Devo scrivere." Per questo ora guardo
in solitudine il cielo di notte. A me non sembra una cosa romantica guardare il
cielo in due. Specialmente se è un cielo come questo, un cielo che, sicuro,
sta per succedere qualcosa. È già successo. Aspetto una bambina
e il padre non è lui. Per fortuna. E ho 45 anni. Troppi. E il padre
di questa bambina non c'è. E io non so che cosa fare. Guardo la
luna. Mi racconta la storia di Ayish. *
* * La
storia di Ayish Ayish
è nata una notte in cui la luna era a tre quarti. Ayish ha gli occhi
scuri e lo sguardo profondo, e una grazia fuori dal comune quando si muove. Ayish
è nata orfana durante un bombardamento. È cresciuta in una città
di mare. È cresciuta guardando il mare e sognando di partire. Ayish
a 17 anni è partita. Ha attraversato il gran mare. È approdata su
questa terra. Ayish è clandestina. È fuggita e non sa dove andare.
Ayish ha cambiato lavoro mille volte. Non si sa dove vive, non vuol farsi
trovare. Ayish ora sta bene, ma domani? Domani incontra l'amore. L'amore
è un uomo grande che le ricorda il mare. Non sai se partire o restare.
L'amore ha il sapore di una traversata di notte. Di notte l'orizzonte non
si vede. Il cielo è velato di zucchero filato, che maschera e scopre una
luna. Tre quarti di un disco d'argento, che nulla venga a sporcarlo! Ayish
ha imparato a volare. Ma l'amore cavalca le nubi, resta solo la luna. Luna:
così la chiamerà. Ayish ripiega le ali. La
storia dell'amore di Ayish Nuvola
è nato in viaggio, sua madre fuggiva da suo padre. Nuvola ha sempre viaggiato,
e ha molti figli. Che non conosce. Nuvola se ne va e non si sa se torna. Nuvola
suona il violino e non vuol sentire altro. È capriccioso, non gli piace
questo e quello. Nuvola sa tuonare e piovere lacrime, ma non vuole farlo.
Perciò diventa cupo. E stracciato come la rabbia. Nuvola ha nostalgia,
pensa ad Ayish, ma non può pensare a Luna. Nuvola sogna Luna, una notte,
e non sa che cosa vuol dire. Nuvola sogna che Ayish è la sua regina,
una notte. Ma la notte successiva si dimentica di sognare. Nuvola vuole costruire
un castello, ma non sa da che parte cominciare. Parte dal tetto, poveretto! Nuvola
sembra un matto, e forse lo è. Nuvola parte, ma non riesce a fuggire.
Sconfigge un pensiero, un altro lo attacca. La spada non serve. Il sangue di
Nuvola diventa dolce come melassa, quando pensa ad Ayish. Lui crede di avere una
malattia molto grave. Nuvola consulta dottori e sciamani, ma nessuno lo sa curare.
Legge dei libri, per non doverci pensare. Legge la storia di Luna, e non pensa
sia vera. La
storia di Luna Luna
è stufa di starsene lassù. Sguscia fuori da quei tre quarti di sfera.
Luna somiglia ad Ayish e si muove con la stessa grazia leggera. Luna guarda
il mare, con gli occhi bruni di sua madre, e lo sguardo indomito del padre. Luna
impara a volare, e plana sopra il mare, e lo accarezza. Luna guarda i pesci e
si chiede perché non nuotino in cielo. Luna va lontano, per andare
a cercare. Si domanda: qui che ci sto a fare? Luna non si ferma, è come
il desiderio. Però vorrebbe una nuvola, sulla quale riposare. Luna
scopre mondi, e ancora ne vuole scoprire. Non le bastano, ne vuole inventare.
Luna scopre lo zucchero, e già sa come filarlo. Libera i fili nel cielo,
ma non s'intrecciano a formare un'amaca. Luna diventa vento, per volare più
forte. Luna diventa voce, per poter raccontare. Luna diventa violino,
per poter cantare. Luna diventa donna, per poter amare. *
* * È
molto tardi, è ora che io vada a dormire. Dalla mia scrivania, riguardo
il cielo attraverso la finestra ancora aperta. Rimiro questo cielo nervoso un'ultima
volta, per non dimenticarlo, un cielo così. Sento lo scrocco della
chiave nella serratura. Francesco è tornato. Mi alzo. La sedia è
rossa. È sangue. Abbasso lo sguardo. Caldo e umido, scorre veloce sulle
gambe, gocciola sul pavimento. Francesco è sbiancato, sembra esangue. Ma
sono io che l'avrei chiamata Luna. È così che volevo chiamarla.
Giovanna Zùnica vive e lavora a Bologna, dove ha compiuto gli studi universitari. È laureata in Scienze Biologiche e dottore di ricerca in Citomorfologia. È traduttrice dall'inglese, docente nel liceo artistico della città e autrice di libri di testo.
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