Una leggenda del Texas
Stephen Crane
- Ricorda quella volta, maggiore? - disse l'uomo delle ferrovie. -
Altro che se ricordo - ribatté il maggiore. - Via, ci racconti - dissero
gli altri. Il maggiore sollevò il bicchiere e scrutò attentamente
il liquido lucente. - Allora, dovete sapere che era proprio quando la linea di
Tom veniva installata all'interno dello stato, ed un giorno egli mi chiese di
andare con lui in una certa cittadina che egli voleva inaugurare con la vendita
all'asta di appezzamenti e con birra e sandwich gratis per tutti e così
via, sapete, no? Bene, io ci andai e c'era un grosso carro merci carico di barilotti
e provviste. Tutti si divertivano da matti. Tom durante l'asta si sentì
male, quindi andò a sdraiarsi in un baracchino, mentre io andai al carro
merci a prendere del ghiaccio da mettergli sulla fronte. Ero nel carro merci che
cercavo di trovare il ghiaccio quando, all'improvviso, qualcuno chiuse la porta
con un tonfo, rendendo l'interno del vagone nero come la pece. Poi, nell'oscurità,
un uomo si mise a bestemmiare come un turco e lo sentii sfoderare la pistola.
Cominciai a capire a quale gioco si giocava. Sembra che da quelle parti circolasse
un individuo che diverse persone volevano far fuori dicendo, per di più,
che lo avrebbero ucciso il giorno della vendita all'asta. Qualcuno me lo aveva
indicato durante la mattinata ed io l'avevo sentito blaterare, pertanto nell'oscurità
ne riconobbi la voce. Credo che quell'individuo fosse convinto che lo avevamo
chiuso dentro per avere una buona possibilità di crivellarlo di colpi quand'egli
avesse aperto la porta per uscire. Il modo in cui quell'uomo bestemmiava era decisamente
spaventoso. - E non era nemmeno una buona compagnia. Io rimasi immobile così
a lungo che mi sentii scricchiolare le ossa delle gambe come legno vecchio, ed
avevo il respiro più debole di quello di un canarino. E quello continuava
a bestemmiare a tutto spiano. - Pensai a Tom ed al suo malore ed avrei preferito
che lui fosse morto purché non avessi dovuto andare lì a prendere
il ghiaccio. - Alla fine mi convinsi che dovevo pur muovermi. Era inevitabile.
Le gambe si rifiutavano di continuare a sostenermi in quella posizione. La testa
mi si stava annebbiando, e se non mi muovevo, cascavo a terra. Non che fossi rimasto
immobile molto a lungo, ma in un buio pesto dove uno non riesce a capire se sta
sui piedi o sulle orecchie, non c'è da fidarsi molto del proprio senso
di equilibrio. Mi si arrestò il cuore quando mi accorsi che ondeggiavo,
ma spostai rapidamente un piede e fui di nuovo a posto. Ma quel maledetto piede
aveva prodotto uno scricchiolio. - Quel tizio rimase un attimo ad ascoltare,
e poi gridò: "Chi diavolo c'è qui dentro?". - Non profferii
parola, crollai semplicemente a terra come un sacco di orzo. - Per un po' quello
stette ad ascoltare e poi tuonò di nuovo: "Chi diavolo c'è
qui dentro?". Ebbi l'impressione che si rendesse conto che non si trattava
di uno dei suoi nemici, altrimenti sarebbe stato preso mentre imprecava da solo
giù nell'angolo. - "Chi c'è, perdio! Vieni subito fuori,
imbranato, e parla o ti buco come un colabrodo! Ma chi sei insomma? Di' qualcosa,
perdio, o ti divoro!". - Si stava imbelvendo come un gatto selvaggio.
Sentivo bene come quell'individuo si caricava, infuriandosi sempre di più.
Tutti i barili erano dalla sua parte e, annaspando con una mano, non riuscii a
trovar niente dietro cui nascondermi. Mi aspettavo da un momento all'altro di
sentirlo alzare il revolver, e se avete mai avuto occasione di essere al buio
a domandarvi in quale punto preciso vi avrebbe preso una pallottola in arrivo,
sapete cosa provavo in quel momento. Così quando lui urlò ancora:
"Chi sei?" io riuscii a parlare e dissi: "Sono soltanto io". -
"All'inferno" urlò muggendo come un toro. "Chi io? Dimmi
il tuo dannato nome e da dove diavolo vieni, se non vuoi la rissa, di quelle belle". -
"Sono di Houston" dissi. - "Houston" ribatté lui
con un grugnito. "E che ci fai qui, straniero?". - "Sono venuto
per l'asta" gli dissi. - "Hmm" fece lui; e poi rimase fermo
per qualche minuto nell'angolo in fondo al vagone. - Mi stavo complimentando
con me stesso perché non correvo più il rischio di guai con questo
diavolo e che tutto il problema era aspettare che il destino misericordioso mi
lasciasse uscire, quando all'improvviso quell'individuo disse: "Ehi tu!". -
"Sissignore" dissi io. - "Apri quella porta". - "Ehm...
quale?". - "Apri quella porta lì!". - "Ehm...
la porta del vagone?". - Cominciò a schiumargli la bocca, credo.
"Certo" ruggì "la porta del vagone! Non ci sono mica cinquanta
porte qui! Falla scorrere o altrimenti, amico, sei morto di sicuro!". E poi
maledì i miei antenati fino alla quindicesima generazione. - "Sì...
ma... aspetta" dissi "non è che... aspetta... spareranno appena
la porta si apre. È...". - "Che te ne frega, straniero"
ululò l'uomo. "Apri quella porta lì, o ti ci polverizzo. Dai,
sbrigati! Datti una mossa!". Cominciò a muoversi minaccioso verso
di me. "Dove sei? Su vieni fuori, imbranato! Dove sei? Lascia solo che ti
spiani contro il revolver, vedrai che ti trovo!". - Quest'approccio felino
fu troppo per me. "Un momento" dissi "apro la porta". -
Dette un grugnito e si fermò. Io mi alzai ed andai alla porta. - "Ora,.
straniero" disse quello "appena hai aperto la porta, mettiti subito
da parte e guarda come Luke Burnham scortica quelle carogne". - "Ma,
aspetta..." dissi. - "Straniero, non è il momento di discutere!
Apri la porta!". - Appoggiai la mano sulla porta e mi preparai a scorrerci
sopra con il corpo. Avevo sperato di trovarla serrata, ma sfortunatamente non
era così. Quando le detti uno scossone preliminare, tentennò subito
e mi resi conto che non ci sarebbe voluto niente ad aprirla. - Mi volsi verso
l'interno del vagone per un'ultima rimostranza. "Senti, io non c'entro niente
con questa faccenda. Son capitato qui da Houston per via dell'asta...". -
Ma l'uomo urlò di nuovo: "Straniero, mi vuoi fare fesso? Per il...". -
"Un momento" dissi "apro la porta". - Mi preparai e poi
volsi la testa. "Sei pronto?". - "Vai!". - Era in piedi
in fondo al vagone. Aveva un revolver per mano, ne vidi il cupo bagliore. -
"Vai!" disse ancora. - Mi feci coraggio e tesi la mano per prendere
l'estremità della porta, poi con un gemito, tirai. La porta si spalancò
ed io caddi bocconi dall'altra parte del vagone. - "Accidenti" disse
quello. Volsi la testa. Non c'era niente da vedere eccetto il cielo azzurro e
la verde prateria, ed il gruppetto di baracche di tavole gialle con una bandiera
rossa a segnalare l'asta, e davanti ad una di queste una folla di gente. -
L'uomo imprecò e si scagliò fuori dal vagone. Andò con incedere
minaccioso verso la folla, con le pistole rivolte verso il basso e le dita nervose
sui grilletti. Lo seguii a rispettosa distanza. Quando fu vicino alla gente, cominciò
a muoversi come un gatto su un pavimento bagnato, slanciando in alto una gamba
dietro l'altra. "Dov'è? Dov'è la vile canaglia che mi ha chiuso
dentro? Dov'è? Dov'è? Venga fuori! Non ne ha il coraggio! Dov'è?
Dov'è?". - Entrò tra la folla, urlando a più non
posso, e nessuno si mosse. "Dove sono tutti quegli imbranati che mi volevano
far fuori? Dove sono? Vengano fuori! Si facciano vedere! Vengano da me! E sì
che ce n'è di gente con le pistole che gli spenzolano addosso, ma le tirino
fuori! Osino tirarle fuori! Le sfiorino solo con un dito e gli foro la pellaccia
con tane larghe come un forno, a tutti, dal primo all'ultimo! Guardiamo chi si
azzarda a tirar fuori la pistola! Guardiamo! E guardiamo chi è l'uomo che
mi ha chiuso dentro! Si faccia vedere, il..." ed investi questo ignoto individuo
con una fiumana di turpi improperi. - Ma gli uomini con le pistole mantennero
un grave silenzio. Quasi tutta la gente gli fece largo lasciando tanto spazio
da piantarci un tendone da circo. Quando il treno partì, quello era sempre
lì a ruggire contro l'uomo che gli aveva sbattuto la porta. - E allora
andò a finire che non lo uccisero - disse qualcuno alla fine del racconto. -
Oh, sì, lo presero quella sera stessa - disse il maggiore. - Da qualche
parte in un saloon. Altro che se lo presero.
(Tratto da Racconti
del West, Sellerio editore, Palermo, 1992. Traduzione di Attilio Brilli.)
Stephen Crane, scrittore statunitense (Newark, New Jersey, 1873 - Badenweiler,
Germania, 1900). Grazie al successo ottenuto con i suoi due primi romanzi (Maggie,
ragazza di strada, 1893; Il segno rosso del coraggio, 1895) ottenne
incarichi come corrispondente di guerra in Messico, in Gracia e a Cuba.
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