TRAPASSO
Gregorio Carbonero
Una volta da bambino ebbi una strana malattia
delle vie respiratorie,
-non ho saputo mai di cosa si trattasse,
molto grave sembra.
Avevo perso la voce e mi hanno raccontato dopo
che la mia vita era in pericolo,
che se durante quella notte
non la recuperavo, potevo morire,
o addirittura sarei morto.
Dovevo superare quella notte
era quello il segnale da osservare, e
secondo loro, lo disse anche
un medico che pare mi abbia visitato.
Medico che io, però, non ricordo.
Ricordo un pomeriggio tiepido,
nella stanza da letto della nonna
quasi buia del tutto, e con un sole che sfavillava dagli spiragli
delle finestre socchiuse, e scivolava sui colori pastello
delle tende e oscuro e legnoso dei mobili.
-Mi viene ancora l’odore un po’ pastoso, aspro,
un po’ repellente dei nonni-
Io ero in mezzo a tutti seduto nel suo letto
non facevo caso ad altro sennonché all’evento
inconsueto, ero contento.
Ero oggetto più di curiosità che di pietà,
non ricordo che nessuno piangesse.
Tutti con un viavai e con una curiosa animazione
mi guardavano -chi da lontano chi da vicino,
mi gironzolavano intorno.
Io da parte mia ero attento a tutto.
La sera tardi, accesero dei calderoni con qualcosa
per farmi fare delle inalazioni, intrugli che facevano
vapore e annebbiavano la stanza,
per liberarmi la gola.
Una zia con più iniziativa degli altri
più che guardarmi mi scrutava, dava perentorie
indicazioni e, credo, di tanto in tanto
mi misurava la febbre.
Era lei, nei momenti più difficili
in famiglia
chi decideva,
era ferma e sapeva agire
senza farsi prendere dal panico, con concretezza,
sorda a timori, mancanze d’animo,
fatalismi, tragedie domestiche.
Il suo modo d’impartire educazione, ancora oggi
considera innanzi tutto l’esperienza, il confronto diretto:
per lei chi ha paura del buio
deve essere costretto a rimanere al buio,
chi insiste nei suoi capricci è lasciato allo sbaraglio,
nel buio delle proprie decisioni,
il che da bambini, si sa, è grave e rischioso.
Sembra sia stata sempre così,
si dice in famiglia,
ha saputo toccare con mano ferma la realtà, con praticità.
Sorda a banali evenienze, alle fiacchezze altrui,
agli intimi e vani misteri che ognuno si trascina con se.
Ora a forza di non ascoltare a nessuno,
a forza di concretezza e fermezza,
ora è diventata proprio sorda, del tutto.
All’alba
la zia sedette al mio fianco sul letto, mi chiese
qualcosa all’orecchio.
Io risposi appena, con un filo di voce,
ma per quanto ricordo ero ben sveglio
e mi sentivo normale,
di buon umore e sicuramente abbastanza vivo.
Lei fece un cenno agli altri
con la testa, affermando: avevo superato la notte,
sarei vissuto.
Ora mi rendo conto che fu un trapasso comunque,
(qualcosa era stata decisa, ma non da me di certo)
si aspettava che morissi, tutti ne erano convinti
se lo aspettavano e forse approvavano:
inaspettata la nascita, fuori dal matrimonio,
se fossi morto si sarebbero normalizzate le cose,
-erano altri tempi.
Non fu così.
Qualcosa di perverso, di malsano
mi ha sempre accompagnato (io malvolentieri lo confesso)
Mi parla di rinnovati sbagli,
e mi recrimina
di non saper accettare le effimere vittorie, banali,
forse un po’ meschine ma confortanti.
L’approdare quotidiano a minute certezze.
Dopo ho continuato a sbagliare
ad essere insoddisfatto, inappagato,
a resistere a controcorrente.
Mi disapprovano perché parlo troppo e
ho l’inclinazione a dare troppe spiegazioni, non so che dire,
ma in certi momenti sono convinto di non dover stare zitto.
Questo ricordo mi è rimasto fermo nella memoria,
di tanto in tanto
me lo ritrovo davanti come una vecchia fotografia.
Gregorio Carbonero . Nato in Boconó, Estado Trujillo. Venezuela il 01/05/69.
Studi di fisica e musica, Universidad de Los Andes. Mérida, Estado Mérida.. Professione: Oboista, diversi anni in orchestra sinfonica, come orchestrale. Traduzione in campo tecnico e scientifico. Pubblicazioni: liriche in riviste di letteratura in lingua spagnola. Convusco@tiscali.it.
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