LEZIONE IN FAMIGLIA

 


Maria Carla Cassarini

 

 

– Lo chiamavano Gerusalemme. Non è che non si sapesse il suo nome e cognome, e neppure era arrivato dalla Palestina, era per quella Bibbia in ebraico che teneva sempre a portata di mano.
Rosaria s'interruppe per scostare la tenda della portafinestra e agganciarla all'anello d'ottone. Osservò per qualche attimo la strada ancora ingombra di pozzanghere. Su quel pomeriggio domenicale si rifletteva un languore grigio e umido.
Ma guarda che è piovuto anche nel terrazzo.– brontolò fra sé mentre si apprestava a cercare uno strofinaccio sotto l'acquaio.
Allora era un testimone di Geova, forse.
Giorgino finì di srotolare il suo nastro di liquirizia che gli aveva impiastricciato di nero le dita di una mano ancora paffuta, nonostante i suoi sette anni. Sua madre si fermò a scrutarlo, con il cencio a mezz'asta, strizzando gli occhi sotto le nere sopracciglia che si congiungevano perplesse. La sua voce ebbe un'inflessione stonata, come una stecca improvvisa.
Che ne sai dei testimoni di Geova? Chi te ne ha parlato?
Giorgino tirò su col naso e prese a occuparsi di un bicchiere lasciato sulla tavola ancora apparecchiata.
Lo metto sull'acquaio vicino ai piatti, mamma?
Cercò di sottrarsi al suo sguardo adombrato che attendeva una risposta.
Uffa, – disse fra sé, impegnato a umettare di saliva una goccia di vin santo che gli era capitata in fronte – adesso incomincia con le domande. Lo so che non vuole che vada con Luca, perché è testimone di Geova. Luca mi ha detto che neanche sua mamma vuole che stiamo insieme. Ma io a Luca gli sono amico. Lui mi dà sempre la gomma, i colori, mi passa i compiti. Luca è buono e io gli voglio regalare un rotolo grande di liquirizia quando viene Natale. –
Appoggiò un gomito sul piano della lavastoviglie ingombro di piatti e posate e cominciò a giocherellare con un portatovagliolo.
Allora, mi dici di questo Gerusalemme? Perché nonno e i suoi amici non lo volevano a studiare insieme?
Rosaria si aggiustò il grembiule verde ancora spruzzato di farina. Aveva cucinato tutta la mattinata e cominciava a sentirsi stanca. Non le piaceva stare in cucina e arrovellarsi intorno ai fornelli. Ma quel giorno aveva voluto dare il meglio di sé. Adesso tutti si erano ritirati nelle proprie camere o in salotto e a lei erano rimaste le incombenze più noiose. Doveva sparecchiare, sistemare la lavapiatti, spazzare il pavimento, ripassare con il detersivo tutte le superficie imbrattate d'unto. Solo Giorgino l'aiutava. Così, per passare il tempo insegnando qualcosa al figlio (non aveva certo l'abitudine di perdersi in chiacchiere inutili), aveva cominciato quella storia di Claudio Loria, detto Gerusalemme, finito in campo di concentramento e ritornato insperabilmente a casa dopo sei anni che la guerra era finita. Era la sua favola preferita quando era bambina. Ci aveva pianto su come per La piccola fiammiferaia.
– Era ebreo, e allora tutti gli ebrei dovevano stare insieme agli altri ebrei, non potevano stare in pubblico con gli altri. Prima aveva tanti amici, ma poi applicarono le leggi razziali, per far piacere a Hitler. Insomma, è una cosa complicata.
Giorgino sgranò uno sguardo perplesso.
– Le leggi che, mamma?
– Le leggi razziali, quelle contro gli ebrei e gli zingari. Nessun ebreo poteva sposare un'ariana. Ma mi aiuti?
Gli tolse di mano il suo passatempo e lo rimise sul tavolo.
– Metti a posto i tovaglioli come si deve e non ciondolare così.
– Senti, mamma, – sbuffò – io non ci capisco niente. Che cos'è un'ariana? Una che vive d'aria? Forse che loro non respiravano l'aria? Gli zingari e gli ebrei?
Inclinò la testa di lato fino a toccarsi la spalla e rise a singhiozzi, cantilenando:
– Gerusalemme non respirava aaa… Che buffo, gli ebrei non respiravano.
Quella storia stava annoiandolo e si divertiva a provocare.
– E perché poi si chiamavano razziali? C'erano i bambini d'allevamento come i cani e i gatti? Come Tatina nostra che è siamese e se va a un concorso deve essere tutta lucida e non avere gli occhi strabici che se no la scartano? Anche i bambini li scartavano?
Rosaria avviò la lavastoviglie e piegò la tovaglia.
– Insomma mi lasci raccontare o no? Cosa stai sempre a interrompere con le tue domande sceme.
Prese a spazzare con più rapidità del solito, mentre Giorgino le camminava accanto e la fissava a mento in su.
Ma a Rosaria non piaceva rispondere a quelle domande. Succedeva sempre così ogni volta che avviavano un discorso, fino a quando arrivavano a un punto morto, perché lei non sapeva più trovare risposte.
– Mamma, io voglio bene uguale a Tatina come a Ughetta che l'abbiamo trovata nel cassonetto. Anzi un po' più a Ughetta, a pensarci. E poi voglio bene anche a Barolo, che ha le zampe corte e abbaia sempre di notte quando passa l'autoambulanza. Invece mi è antipatica Valentina, che a scuola copia i compiti da Giovanni e dice che li ha fatti lei e poi fa la bella con la maestra e se sa fare il problema non ci dice neanche il risultato e consegna per prima. L'altro giorno mi ha fatto una linguaccia perché non voglio che prenda in giro Safia. Le dice che puzza di rancido e che è ridicola con quella pezza in testa. Valentina è proprio cretina. Valentina è proprio cretina. – riprese a cantilenare.
– Non c'è niente da fare, – pensò Rosaria, – non è possibile farlo riflettere. Ogni volta che affronto un tema serio, per educarlo come si deve, perché cresca senza pregiudizi (e l'hanno raccomandato anche ieri le maestre nel consiglio di classe), si finisce con queste stupidaggini. Giorgino è ancora troppo infantile, non è per niente come Paolo. Paolo sì che è un bambino già maturo, sa ragionare, torna sempre a casa con i quaderni che traboccano di Ottimo in tutte le prove. Anche Giorgino dovrebbe fare così, non può mica restare indietro, che poi deve andare al liceo, frequentare l'università; deve diventare dottore, lui, uno coi soldi, di quelli che contano, potrebbe andare a dirigere un ufficio, magari una banca come il papà di Lorenzo o di Carolina, fare carriera, insomma. Non può mica fare l'operaio, lui, per sporcarsi le mani in qualche fabbrica. Invece eccolo lì, che fa lo svitato rimbeccando tutto quello che dico per insegnargli a vivere.
Chi era Itle, mamma?
Un uomo potente e cattivo che ce l'aveva con gli ebrei.
Allora anche nonno era cattivo, se non voleva stare con Gerusalemme.
Che c'entra. Lui doveva ubbidire a Mussolini, se voleva continuare a studiare.
Giorgino, fece una smorfia annoiata. La voce di sua madre aveva assunto un tono metallico che lo infastidiva. Si sedette sul pavimento e premette le mani sulle guance chiudendo gli occhi, poi si alzò di scatto e si avviò verso l'ingresso.
Basta con le tue storie. Non mi piacciono. Telefono a Luca.
E si strofinò il naso in una manica della felpa rossa.
– Vai dove?
– Te l'ho detto, gli telefono e lo chiamo a casa a fare i compiti con me. Non ho voglia di farli da solo.
Rosaria contrasse le spalle infastidita; guardò sulla strada una donna vestita di scuro che, alzandosi sulle punte dei piedi, tentava di scaricare due sacchi di plastica azzurra in un bidone stracolmo.
– E' già tardi – disse – anche la serva del prete se ne sta tornando a casa. Dovevi pensarci prima. Intanto oggi è domenica, e poi devi prepararti alla comunione. Che ci viene a fare da noi Luca, che è testimone di Geova? Lo sai che loro sono una setta?
Giorgino socchiuse gli occhi e questa volta non fece domande.
– A me non me ne importa. Luca è il mio fratello di banco. E poi mi sembrano le scemenze di Valentina.
E prese a digitare il numero canterellando.
– Non mi importano le sette, non m'importano le otto, chi ci crede è un gran biscotto…







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