L'ANIMALE MORENTE
( – brano del romanzo – )
Philip
Roth
Sono
passati otto anni, dunque, io ne avevo già sessantadue
e la ragazza, che si chiamava Consuela Castillo, ne aveva ventiquattro.
Consuela non è come le altre. Non ha l’aria di
una studentessa, non di una comune studentessa, per lo meno.
Non è una mezza adolescente, non è una ragazza
sbracata, sciatta, pullulante di “cioè”. È raffinata
nel parlare, misurata, e il suo portamento è perfetto:
sembra che sappia qualcosa della vita degli adulti, oltre a
stare seduta, stare in piedi e camminare. Come entri nell’aula,
capisci che questa ragazza o la sa più lunga delle altre
o a questo aspira. Il modo in cui si veste, per esempio. Non è proprio
quella che chiameremmo eleganza, la sua, e non ha sicuramente
nulla di vistoso, ma, tanto per cominciare, Consuela non è mai
in jeans, stirati o gualciti che siano. Veste con cura, sobrietà e
buon gusto, gonne, abiti e calzoni su misura. Non per desensualizzarsi,
si direbbe, ma per professionalizzarsi, veste come l’attraente
segretaria del presidente di una banca. Ha una camicetta di
seta color panna sotto un blazer di buon taglio blu con i bottoni
d’oro, una borsetta marrone con la patina della pelle
più costosa e un paio di stivaletti alla caviglia intonati
alla borsetta, e porta una sottana di maglia grigia un po’ elastica
che rivela le linee del suo corpo con tutta la malizia che
può metterci una sottana come quella. I capelli sono
acconciati con naturalezza, ma con cura. Il colorito è pallido,
la bocca arcuata, anche se le labbra sono piene, e la fronte è tondeggiante,
una fronte levigata di un’eleganza brancusiana. È cubana.
I suoi sono prosperi cubani che stanno nel New Jersey, oltre
il fiume, nella Bergen County. Ha capelli nerissimi, lustri,
ma un po’ grossi. Ed è grande. È una ragazzona.
La camicetta di seta è slacciata fino al terzo bottone,
e questo ti permette di vedere che Consuela ha due seni prepotenti,
bellissimi. Noti subito il solco tra i seni. E vedi che lei
lo sa. Vedi che, nonostante la compostezza, la meticolosità,
lo stile cautamente soigné (o forse proprio per questo),
Consuela è cosciente del proprio fascino. Viene alla
prima lezione con la giacca abbottonata sopra la camicetta,
ma cinque minuti dopo se l’è già tolta.
Quando guardo di nuovo dalla sua parte, vedo che se l’è rimessa.
In questo modo capisci che è cosciente del suo potere,
ma che ancora non sa come usarlo, non sa cosa farne, non sa
nemmeno quanto lo desidera. Quel corpo le riesce ancora nuovo,
deve ancora metterlo alla prova, ci sta ragionando su, un po’ come
un ragazzo che cammina per la strada con una pistola carica
e deve ancora decidere se andare in giro armato per difendersi
o per iniziare una vita di delitti.
Ed è cosciente anche di un’altra cosa, una cosa
che non potevo dedurre da quel primo incontro in aula: la cultura è importante,
per lei, anche se in un modo antiquato e deferente. Non che sia
una cosa da cui voglia trarre il suo sostentamento. Non vuole
e non potrebbe – è stata allevata troppo bene e
in un modo troppo conforme alla tradizione, per questo –,
ma la cultura è importante e meravigliosa come nessun’altra
delle cose che conosce. Consuela è la ragazza che trova
affascinanti gli impressionisti, ma il Picasso cubista deve guardarlo
bene, aguzzando gli occhi (sempre con un senso di fastidiosa
perplessità) e mettendocela tutta per cogliere l’idea.
lei sta lì, in attesa della nuova emozione, e quando non
viene (non viene mai), si accusa di essere inadeguata e priva
di... cosa? Si accusa di non riuscire a capire nemmeno che cosa
le manca. L’arte che puzza di modernità non la lascia
soltanto perplessa, ma anche delusa di sé. Vorrebbe che
Picasso contasse di più, che operasse in lei qualche trasformazione,
magari, ma teso sulla ribalta del genio c’è un telo
trasparente che le offusca la vista e tiene un po’ a distanza
la sua venerazione. Consuela dà all’arte, a tutte
le arti, assai più di quanto ne riceva, una specie di
zelo che non manca di un suo fascino struggente. Un cuore generoso,
un bel viso, uno sguardo insieme invitante e remoto, due seni
stupendi; e nata, come donna, da così poco tempo che trovare
dei frammenti del guscio attaccati a quella fronte ovoidale non
sarebbe stata una sorpresa. Capii immediatamente che quella sarebbe
stata la mia ragazza.
(Brani
tratti da L’animale morente, Einaudi editrice, Torino, 2003,
traduzione dall’inglese di Vincenzo Mantovani)
Philip
Roth (1933) ha pubblicato
più recentemente pastorale americana, Ho sposato
un comunista e La macchia umana, che compongono una trilogia
sugli Stati Uniti del dopoguerra.
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