IL
GIOCOLIERE DELLA MOTOSEGA
Arthur
Bradford
Mi
sembrava un giochino piuttosto semplice. Il mio amico Robert
doveva tenere la mela in bocca mentre io, con mano ferma, intagliavo
le sue iniziali nel frutto con una motosega. – Sembra
pericoloso, ma non lo è, – dissi a Robert. – Non
c'è proprio niente di cui preoccuparsi.
Prima feci un po’ di pratica, naturalmente. Infilzai una
mela in cima a un bastone e poi misi in moto la sega. Ma il bastone
non era un sostegno adeguato, e la mela schizzò via nel
cortile non appena la sfiorai. Davvero un arnese eccellente,
la motosega – potenza, velocità e grazia riunite
in un unico oggetto. Una volta ho visto gente pratica di motoseghe
ricavare un cigno maestoso da un blocco di ghiaccio. Ci ho provato
anch’io, ma alla fine ho perso la pazienza. I cigni hanno
il collo così delicato.
Il morsetto si rivelò un ottimo sostituto della bocca
umana. Robert mi guardava da lontano mentre cominciavo a perfezionare
la tecnica. Un leggero colpetto con la punta della lama era sufficiente
per lasciare il segno. La sega fendeva la polpa della mela con
estrema facilità. Ma la piccola curva della lettera R
rappresentava un problema. Inoltre, per peggiorare la situazione,
il cognome di Robert era Ulfburg, e la vera sfida consisteva
nell’intagliare quella U senza farla sembrare una V.
–
Vorrei che ti chiamassi Xavier Lewis, – gli dissi.
Credo che quasi tutti gli apprendisti giocolieri della motosega
utilizzino piccole seghe multiuso, quelle che servono per gli
arbusti e per potare i rametti degli alberi. Io, invece, possiedo
una Lumberman 650, che si dà il caso sia un attrezzo voluminoso
e poco maneggevole. Lo comprai qualche anno fa, con l’intenzione
di adoperarlo per abbattere le grosse querce e i pini del mio
giardino. Avrei avuto legna da ardere per anni, pensavo. Un solo
albero, tuttavia, cadde vittima della mia grande sega. Pare che
le grosse querce e i pini appartenessero in realtà al
mio vicino.
Robert mi suggerì di barattare la sega grande con tre
più piccole. Poi avrei imparato a destreggiarmi anche
con quelle. Non era una cattiva idea, ma prima di tutto volevo
padroneggiare quel giochino. Inoltre, avevo l’impressione
che l’effetto sarebbe svanito se avessi usato uno strumento
piccolo e inefficace. Il morso della Lumberman 650 sulla mela
era davvero spettacolare. Schizzava pezzi di frutta dappertutto.
Dopo qualche giorno di pratica mi sentii pronto. Telefonai a
Robert e gli dissi di portare un paio di occhiali di sicurezza.
Non volevo che gli entrassero frammenti della mela negli occhi.
Al suo arrivo, Robert espresse di nuovo alcune riserve sulle
dimensioni della Lumberman 650. Non essere ridicolo, gli dissi.
Ma quando Robert si infilò la mela in bocca mi accorsi
che non aveva tutti i torti. Robert è alto più di
uno e ottanta, e incontrai qualche difficoltà a sollevare
la pesante sega all’altezza della sua bocca. Quando infine
riuscii ad alzarla abbastanza, mi sbilanciai, e l’attrezzo
prese a scuotersi e ondeggiare seguendo il moto della catena.
Accostai la punta della lama alla mela, mandando pezzetti di
frutta a infilarsi su per il naso di Robert. Robert balzò indietro,
sputando la mela, in preda a un incontrollabile attacco di starnuti.
–
Dei tappi per il naso, magari? – suggerii.
In aggiunta ai tappi, decisi di metterlo in ginocchio. Così non
avrei fatto tutta quella fatica per sollevare la sega all’altezza
giusta. E inoltre, come ulteriore vantaggio, Robert sarebbe sembrato
un condannato alla decapitazione, come in un’esecuzione
medievale.
Ero molto più bravo a tenere ferma la motosega, adesso
che la bocca di Robert era scesa a un livello più accessibile.
Vibrai alla mela il primo fendente verticale e Robert strinse
forte gli occhi. Il succo della mela, chiaro e spumeggiante,
gli colò lungo il mento. Continuai il mio lavoro, insinuandomi
con molta attenzione in quelle curve delicate. Robert riuscì a
restare immobile, ma in ogni caso la sua testa era un po’ più cedevole
dei morsetti con cui mi ero allenato. Alla fine, le mie RU sembravano
più una F e una Y.
–
Dovremo allenarci ancora un po’ prima di esibirci in pubblico, – spiegai
a Robert.
Tre giorni più tardi, dopo numerose sedute di allenamento,
arrivò la nostra occasione. Giù allo Speedy’s
Grill si teneva il barbecue del Memorial Day, e di sicuro ci
sarebbe stata molta gente. Lo Speedy’s ha un piccolo palco
all’aperto, vicino ai tavoli da picnic, e spesso la gente
ci sale sopra per cantare o fare annunci. Pensai che fosse il
posto giusto per il nostro debutto.
Per aggiungere brio e spontaneità all’esibizione,
dissi a Robert di arrivare allo Speedy’s per conto suo.
Finsi di essere lì da solo e di non conoscerlo affatto.
Quando mi sembrò che la folla fosse al culmine, afferrai
la sacca e saltai sul palco. Tirai fuori dalla sacca la Lumberman
650 e la misi in moto. Questo, naturalmente, attirò in
un attimo l’attenzione di tutti.
–
Signore e signori, – gridai, – voglio mostrarvi un
gioco!
Non sapevano cosa pensare, era evidente. Alcuni degli spettatori
più giovani sembravano piuttosto impauriti, come se pensassero
che potessi saltar giù e sterminarli tutti lì sul
posto. È un bene che il pubblico si spaventi fin dall’inizio.
–
Mi serve un volontario, – dissi. – Qualcuno laggiù vuole
farmi da assistente?
Avevo suggerito a Robert di aspettare un momento prima di alzare
la mano. Ciò avrebbe contribuito a perpetuare l’illusione
che Robert stesse partecipando per puro caso.
Tirai fuori la mela dalla sacca. – Ho bisogno di qualcuno, – spiegai,
che venga quassù e tenga questa mela in bocca. È molto
semplice. Voi tenete la mela in bocca e io ci incido sopra le
vostre iniziali con la motosega.
Alcuni rimasero a bocca aperta, altri ansimarono. Avviai di nuovo
la sega per fare colpo. Un paio di persone urlarono.
–
Qualche volontario? – gridai ancora.
A questo punto doveva farsi avanti Robert, e invece accade qualcosa
di inaspettato. Una giovane donna sorridente alzò la mano
e corse sul palco strillando, – Io! Io! Io!
Guardai Robert. Era in piedi dietro a tutti, con la mano timidamente
alzata. – Abbiamo un volontario laggiù, – dissi.
–
No, – disse la donna, – ci sono già io!
La folla intorno a me disse, – Si, c’è già lei.
La donna era piccola, vestita con un paio di blue jeans e un’elegante
camicia da cowboy. I suoi begli occhi erano pieni di fiducia.
Guarda un po’ cosa mi doveva capitare il giorno del debutto!
Cosa potevo fare? – Okay, – dissi, – abbiamo
una volontaria.
La donna raccolse la mela e cominciò a strofinarla contro
la gamba dei jeans. – Sarà fantastico, – disse.
–
Certo, – risposi. Non sapevo se chiederle di inginocchiarsi
oppure no. Mi sembrava che fosse già più o meno
dell’altezza giusta.
–
Okay, – le dissi, – coraggio, prenda in bocca la
mela.
La donna mi sorrise. – Dimentica qualcosa, – disse.
–
Cosa?
–
Il mio nome.
–
Ah, già, – dissi. – Ci dica come si chiama.
–
Betsy Smith, – rispose la donna. Lo disse chiaramente e
ad alta voce, in modo che sentissero tutti. A quel punto si era
radunata una folla piuttosto numerosa. Robert rimaneva ancora
timidamente in disparte. Mi chiese se avesse qualcosa a che fare
con quella sostituzione dell’ultimo minuto, ma quando lo
guardai alzò le spalle come se non sapesse cosa stava
succedendo.
Betsy si infilò la mela in bocca. Era davvero eccitata.
C’è gente a cui piace offrirsi volontaria, immagino.
Era bello sapere che si fidava di me. Diedi un’occhiata
al pubblico per vedere se era venuta con qualcuno, un fidanzato
o un marito, magari.
La folla era inchiodata. Non mi staccavano gli occhi di dosso.
Tornai a dare gas al motore e mi avvicinai a Betsy. Alzai la
sega e cercai di immaginare la linea di attacco. Quella Betsy
Smith era deliziosa, certo, ma il cambiamento di programma era
decisamente inopportuno. Mi ero allenato per ore e ore con le
lettere RU, e adesso mi trovavo di fronte a una B e una S.
Tracciai un paio di linee incerte nell’aria, senza toccare
davvero la mela, tanto per farmi un’idea di quelle nuove
lettere, B e S! Una volta finita questa storia, avrei scambiato
due paroline con Robert Ulfburg.
Betsy restò immobile, e io vibrai il primo fendente dall’alto
in basso. Mi sembrò persino di vedere le sue labbra rosse
incresparsi in un sorriso, per quanto era possibile in quelle
circostanze. Intagliai con cautela le piccole linee della lettera
B, sfiorando appena la buccia tesa della mela con la catena roteante.
I pezzi del frutto volarono da tutte le parti. L’effetto
era magnifico. Sentivo le urla del pubblico sopra il sibilo della
sega.
La B mi venne piuttosto sciatta, ma accettabile. Passai alla
S, e mentre praticavo il primo taglio verticale mi accorsi che
Betsy teneva gli occhi aperti. Non voleva perdersi proprio niente.
Che donna. Poi la motosega ebbe uno strano, piccolo sussulto.
Il motore si spense, e Betsy cadde in ginocchio, coprendosi la
faccia con le mani.
Ogni tanto la catena della motosega deve essere sostituita, e
se questo semplice atto di manutenzione viene trascurato, alla
fine la catena si spezza. Questo è proprio ciò che
accadde quel giorno.
–
Mio Dio, – dissi.
Misi giù la sega. Betsy non si toglieva le mani dalla
faccia. Il sangue cominciò a colarle fra le dita. Un disastro!
Come la maggior parte delle motoseghe, la Lumberman 650 è progettata
per spegnersi immediatamente quando la catena si allenta. Tuttavia,
l’estremità libera della catena era volata in aria,
provocando, immaginai, un danno piuttosto grave alla faccia di
Betsy.
–
Chiamate l’ambulanza! – gridai.
Alcuni spettatori dovettero pensare che facesse tutto parte dello
spettacolo. Vidi sorrisi confusi nelle loro facce.
–
La catena si è rotta, – dissi. È stato un
incidente.
Qualcuno mi afferrò da dietro, Sentii una voce aspra dire, – Figlio
di puttana –. Mi allontanarono da Betsy.
Corsi a prendere la macchina e seguii l’ambulanza fino
all’ospedale. Quando arrivai, un poliziotto mi venne incontro
e disse che doveva farmi alcune domande. Io non volevo parlare
con lui. Volevo sapere come stava Betsy.
–
Che rapporto c’è fra lei e la vittima? – chiese
il poliziotto.
–
Era la prima volta che la vedevo, – gli dissi. – È stato
un incidente.
–
Le conviene seguirmi, – disse il poliziotto.
Giù alla centrale raccolsero la mia deposizione e mi misero
in cella. – Come sta Betsy? – chiesi. – Guarirà?
L’agente disse. – Non era meglio se ci pensavi prima
di fare la tua esibizione?
Due ore dopo arrivò Robert. Disse che avrebbe cercato
di pagarmi la cauzione, ma non era sicuro di avere i soldi. Mentre
parlava tentai di stabilire se fosse arrabbiato con me. Dopo
tutto, avrebbe potuto esserci lui lassù con quella mela.
–
Credo che sia stato il succo della mela, – gli dissi. – Con
l’andare del tempo ha corroso le maglie della catena.
Robert disse, – Avremmo dovuto pensarci.
–
Già, – dissi. – Un difetto di lungimiranza.
Robert mi disse che la mia Lumberman 650 era a casa sua. I poliziotti
la stavano cercando per usarla come prova. Voleva sapere se poteva
dargliela.
–
Certo, – dissi. – Non la voglio più.
–
Okay, – disse Robert. E poi se ne andò.
Quella sera, disteso sulla dura branda di legno, cercai di immaginare
che cosa avesse realmente fatto quella catena alla faccia di
Betsy. Aveva una faccia così carina.
Il mattino dopo un poliziotto mi svegliò scuotendo le
chiavi. Aprì la porta della cella e disse, –Puoi
andare, adesso.
–
Cosa? – gli chiesi.
–
Ti hanno pagato la cauzione, – disse.
Mi stropicciai gli occhi e mi alzai in piedi. – È stato
Robert? – chiesi.
–
È stata quella donna, – disse il poliziotto, – quella
che hai ferito.
Uscii dalla cella e recuperai i miei averi all’ingresso.
Mi avevano portato via la penna e il mazzo di chiavi, temendo
che li usassi per pugnalare qualcuno mentre ero rinchiuso. Compilai
alcuni moduli, promettendo di comportarmi in modo “cauto
e ragionevole” e di non lasciare lo stato prima del processo.
Uscii alla luce del sole, ed ecco davanti a me la signorina Betsy
Smith, in piedi sui gradini della prigione, con la linea scura
dei punti che le attraversava la faccia. Lo squarcio rosso andava
dalla sommità del labbro fin sotto l’occhio. La
pelle intorno era sbiadita, con lividi marroni e violacei. Le
guardai le mani, per vedere se avesse un’arma o qualche
altro oggetto da usare contro di me. Ma non aveva niente.
–
Il succo della mela, – le spiegai, – con l’andare
del tempo ha creato la ruggine che ha consumato la catena.
–
Dovresti prenderti più cura dei tuoi attrezzi, – disse
Betsy.
–
Lo so, – risposi.
Betsy fece un sorriso storto. Doveva farle male, con quella faccia
tutta gonfia e ricucita. Ero felice che la catena non le avesse
portato via l’occhio.
–
Grazie per la cauzione, – dissi. – Ti rimborserò non
appena riuscirò a mettere insieme i soldi.
–
Non posso mangiare cibi solidi per un po’, – disse
Betsy. – Magari potresti portarmi a bere un milkshake.
–
Volentieri, – dissi.
Betsy infilò il braccio sotto il mio e ce ne andammo in
cerca di qualcosa da bere, qualcosa di analcolico e fresco.
(Tratto dalla raccolta Dogwalker, Torino, Einaudi, 2002. Traduzione
di Silvia Pareschi)
Arthur
Bradford è nato nel 1969. Vive nel Vermont e ha
pubblicato racconti in “McSweeney’s”, “Esquire” e
The O.Henry Awards Anthology. Il giocoliere della
motosega è la
sua prima raccolta
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