POESIE

Visar Zhiti



FILA DI SCARPE INCARCERATE

Dormono i prigionieri.
Una vecchia coperta di illusioni
copre il loro corpo spento.

Ecco le loro scarpe appisolate in fila
con fedeltà infangata di cani.

Ecco le opinghe. Non ti ricordano le zolle dei campi?
Stivali screpolati
che continuano ad essere ostili
agli stivali militari.
Pantofole morbide, morbide,
e si comportano
con eccessiva educazione in carcere.

Scarpe cittadine
che avete conosciuto scarpe di donne
negli appuntamenti,
che avete danzato,
che avete sfavillato nei boulevards,
che siete entrate nei drammi,
ora abbandonate,
siete l'epilogo del dramma più grande.

Ecco le scarpe del delatore
con le stringhe penzolanti come la calunnia in bocca.
Meglio scalzo
e senza piedi alla fin fine,
non con queste scarpe,
non posso guardarle
non posso sopportarle.
Ma ci sono anche scarpe enigmatiche, fiere
(come anche ripugnanti)
scarpe che nell'anima,
e forse nella storia,
lasceranno le loro impronte.

Scarpe prigioniere,
le più sventurate del mondo,
stanche
bucate.
Quando la vita vi calza
torna indietro, solamente indietro.


I MALATI

I prigionieri
al ritorno dall'ospedale
sono più pallidi di noi.

Come si dispiace la neve
per il suo candore in quei volti derelitti,
volge lo sguardo altrove
e piange
come una matrigna buona.

Le catene,
pur serrate dai catenacci,
scivolano
dai polsi scarniti.


NATURA MORTA

Sul letto incarcerato dorme
un cappello come uccello terrestre (fatto con la coperta
invecchiata dell'ultima guerra mondiale.)
Ecco anche la pipa (occhio spento
sulla fronte della futilità). E dopo la busta
con il tuo indirizzo (macchia di luce
fievole, emigrata.)
E infine pezzuole sporche per i piedi
(avvolgono le ossa della strada morta).


CONTINUAMENTE SI TRADISCE L'UOMO

Continuamente si tradisce l'uomo,
e non dico del suo giorno che improvvisamente
diventa notte,
né della notte dei suoi capelli
che inalba e diventa tacito giorno di vecchiaia.

Si tradisce l'uomo
e non dico che anche la sua tomba muore e il nome
diventa erba marcita di oblìo,
ma l'uomo è continuamente tradito dall'uomo.

E quando una metà mangia la metà
non resta più l'intero,
mi disse un vecchio invecchiato nelle prigioni.


(Traduzione di Elio Miracco)



Visar Zhiti è nato nel 1952 a Durazzo (Albania). Laureato in letteratura albanese, giovanissimo ha cominciato ad insegnare a Kukeës dove, a ventisei anni, è stato incarcerato per le sue poesie, esempio di influenze borghesi e decadenti, e processato per propaganda sovversiva contro il realismo socialista. Condannato a tredici anni di prigionia e lavori forzati nei gulag, nel 1987, scontata la pena, gli è stato concesso di lavorare soltanto come manovale in una fabbrica di mattoni, come tutti gli ex condannati politici. Assurto a simbolo della persecuzione, ha un ruolo di primo piano nella letteratura contemporanea albanese. La notorietà internazionale l'ha premiato con traduzioni in greco, macedone, rumeno; è presente in antologie francesi, tedesche, inglesi. Deputato al Parlamento nel 1996, è stato Ministro consigliere alla Cultura dell'Ambasciata albanese a Roma. In Italia ha pubblicato la raccolta di versi Croce di carne (Napoli 1997); citato nella "Piccola Treccani" ha vinto il premio Ada Negri (1987) e il premio per la poesia Leopardi d'oro (1991).



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