IL SANGUE DI ŠIBALOK

Michail Šolochov




Tu sei una donna istruita, porti tanto d'occhiali, e questa cosa non t'entra in testa…Dove diavolo vado a sbattere, io, con lui?
Il nostro squadrone sta a quaranta miglia di distanza, io sono venuto qua a piedi , e questo l'ho portato in braccio. Non vedi la pelle dei piedi, come s'è scorticata? Una volta che sei la direttrice di questo asilo infantile, dunque, accettalo, il bambino! Non c'è posto, dici? E io dove lo metto? Ne ho già passate abbastanza, con questo qua, di dispiaceri! Ho mandato giù tanti bocconi amari, da esserne pieno fin sopra la gola…Be', sì, figlio mio, sangue mio… E' entrato nel second'anno, ma la madre non ce l'ha. Con la mamma sua è successa una storia proprio straordinaria…Posso anche dirla, perché no? Due anni fa, mi trovavo con un reparto in missione speciale. Inseguivamo, in quel tempo, per i villaggi di sopra al Don, la banda d'Ignatiev. Io ero addetto alla mitragliatrice. Un giorno, usciamo da un villaggio: steppa nuda, tutt'intorno, come una testa pelata: un caldo mai visto! Scavalchiamo una collina e incominciamo a scendere verso un piccolo boschetto: io, sulla carretta, ero in testa. Guardo, e lì su un rialto del terreno, poco lontano, c'è in terra una cosa che pare una donna. Abbrivo i cavalli e vado diretto là. Niente di straordinario, è una donna, ma sta coricata col muso all'aria, e ha la gonna rovesciata all'insù, con l'orlo più su della testa. Smonto, guardo, è viva, respira…le ficco fra i denti la sciabola, poi ho compassione: dalla fiasca le spruzzo un po' d'acqua, e la donna riprende i sensi in pieno. A questo punto s'accostano coi cavalli i cosacchi e cominciano a interrogarla:
- Che donna saresti, tu, e come mai in questa posa spudorata te ne stavi stesa in vicinanza della strada maestra?
Quella si mette a fare una cantilena, che pareva di quelle donne che piangono i morti: con grande fatica, finalmente, si riuscì a capire che la banda, dalle parti d'Astrachan, se l'era portata via sui carri, e poi qui le avevano fatto violenza e (come s'usa) l'avevano buttata in mezzo alla strada. Allora io faccio ai cosacchi:
- Fratelli, permettetemi di pigliarla sulla mia carretta, dato che ha sofferto, anche lei, per colpa di questa banda!
A sentirmi dire così, da tutta la banda si levò uno schiamazzo:
- Pigliala, Šibalok, sulla tua carretta! Le donne hanno sette spiriti, carogne! In poco tempo si rimette di sicuro: e, allora, si vedrà…
- Che credi? Benché a me non piaccia mica d'annusare le sottane delle femmine, ebbi compassione di lei e la pigliai su, per castigo dei miei peccati…Restò con noi, s'acclimatò: ora lava i cenci a cosacchi, ora ecco che sui calzoni di qualcuno si fa ad attaccare una toppa, insomma nelle faccende domestiche custodiva tutto quanto il reparto. Noi però sentivamo, chissà, una specie di vergogna, a tenere così una donna…Il nostro capo borbottava:
- Per la coda bisognerebbe acchiapparla questa gallina, e via di schiena sotto vento!
Io, invece, ne sentivo sempre quella compassione, una compassione da non potersi dire. Così incominciai a dirle:
- Sgombera di qui, Darja, intanto che puoi evitare il peggio: se no, t'assicuro io che ti toccherà qualche brutta pallottola, e dopo piangerai…
Lei giù a piangere, e poi ruppe a gridare:
- Fucilatemi qui sul posto, cosacchi del mio cuore: ma io, da voi, non mi staccherò mai!
Di lì a poco mi restò ucciso il carrettiere, e subito lei mi venne a fare quest'approccio:
- Mi piglieresti per carrettiere? Io, coi cavalli, mi ci arrangio né più né meno di qualsiasi altro…
Le do le redini.
- Se, le faccio, in combattimento, non riesci a voltare a tempo la carretta dalla parte della mitragliatrice, stenditi pure di traverso alla strada e crepa, ché in ogni modo t'ammazzo io!
Fece rimanere a bocca aperta tutti quei cosacchi, vecchi com'erano del servizio militare, tanto era brava a far da carrettiere. E' vero ch'era una donna , ma a trattar coi cavalli se la sbrigava meglio di parecchi cosacchi. Tante volte, sul campo di battaglia, ti faceva piroettare quella carretta che i cavalli s'impennavano perfino! E più passava il tempo, meglio andava…Incominciammo, noialtri, a confonderci con lei. Insomma (com'è naturale) uscì incinta. Ne passano poche, da parte di noi uomini, anche le donne! Continuammo così per otto mesi, sempre a inseguire la banda. I cosacchi sghignazzavano:
- Guarda Šibalok, il carrettiere tuo, da quando mangia il pane del governo, come s'è fatto grasso e liscio: in cassetta non ti c'entra più!
Ed ecco che ci capitò di dover fronteggiare il nemico in una di quelle situazioni …le munizioni c'erano finite, e mezzi di rifornimento non ne avevamo. La banda s'era attestata a una delle estremità d'un villaggio, noi all'altra. Noi tenevamo nascosto nel massimo segreto, a quei paesani, che le munizioni ci mancavano. E tutt'a un tratto ci fu un tradimento: in piena notte (io stavo là alla barriera) sento che la terra rimbomba. Come una valanga vengono alle spalle del villaggio, con l'intenzione di circondarci. Avanzano all'attacco senza la minima precauzione, anzi si permettono addirittura di schiamazzare:
- Arrendetevi, cosacchetti rossi, che non avete più una cartuccia da sparare! Altrimenti, carini, vi riduciamo a mal partito!
Bah, e a mal partito ci ridussero…Ci torsero in tal modo la coda che toccò di scapparsene via per le colline, almeno chi aveva il cavallo più veloce. La mattina dopo ci radunammo a una quindicina di miglia dal villaggio, dentro a un bosco, e una buona metà dei nostri mancavano. Certi si erano dispersi, gli altri erano morti sotto le sciabolate. Sentii una gran pena: non c'era intorno nessun rifugio, e a Darja, invece era venuto un malessere tremendo. Così, a cavallo, aveva galoppato tutta la nottata e aveva fatto un gran cambiamento, era diventata nera. Vidi che gironzolava un po' fra noi e poi s'allontanò dall'accampamento, verso il bosco, verso il folto…Allora subodorai qualche cosa, e via dietro a lei. Era andata a ficcarsi in un botro, al riparo di certe piante abbattute dal vento: lì aveva trovato un crepaccio scavato dall'acqua e, come una lupa, aveva ammassato la foglia caduta e s'era coricata giù, dapprima a faccia sotto, poi voltata supina. Faceva un verso come la chioccia: le incominciava il parto. Io, dietro a un cespuglio, me ne stavo accucciato senza muovere un dito e la guardavo di frammezzo a quei rametti…Ecco che si lamenta, si lamenta, poi incominciava a mandare un grido dopo l'altro, e le lacrime le colano per le gote: in faccia è diventata tutta verde, gli occhi le schizzano fuori, si contorce come se le venissero le convulsioni. Non è roba da intendersene un cosacco, ma guardo e vedo che non può farcela, quella donna a partorire: ci morirà…presi e saltai fuori dal cespuglio, così là, e mi balenò il pensiero che in qualche modo davvero dovevo darle aiuto. Mi curvai su di lei, mi rimboccai le maniche e, intanto m'aveva preso un'ansia, un batticuore, che il sudore mi inzuppava tutto. Gente m'era capitato d'ammazzarne, e non avevo avuto la minima esitazione: qui, invece, guarda che affare! Mentre io, a questo modo, le tremavo intorno, lei aveva cessato di strillare; e d'improvviso mi spara questo po' po' di coccola.
- Lo sai ,Jaša, chi è stato ad avvisare la banda che eravamo senza munizioni? - E mi guarda fissa negli occhi, seria seria.
- E chi? - le domando.
- Io.
- Ohè, bruttona, t'ha morso qualche cane rabbioso, che vaneggi così? Non è questo il momento di dar fiato alla bocca. Zitta e giù buona!
E lei d'accapo:
- Ho la morte qual al capezzale, bisogna che a te, Jaša, confessi le mie colpe…Non sai mica tu, che razza di serpe ti sei scaldata sotto la camicia…
- Be' confessati po'- le dico- che ti venga un cancro!
Allora lei sciorinò ogni cosa. Parlava e intanto con la testa batteva in terra.
- Io- dice, - nella banda ci sono stata di mia volontà, e ma la intendevo con il capo loro, con Ignatiev…Un anno fa, m'hanno mandato apposta tra voi, in modo che facessi aver loro ogni sorta d'informazioni, e soltanto per salvare l'apparenza ho fatto mostra che mi avessero violentata…Adesso m'è arrivata l'ora di morire: altrimenti, ancora un po' di tempo, e tutto il reparto vi avrei sterminato…
Il cuore a sentir così, mi ribollì dentro al petto, e non potei tenermi più: le allungai un calcio con lo stivalone e le insanguinai tutta la bocca. Ma, a questo punto, le ricominciarono le doglie: e che vedo? Tra le gambe le è spuntato un bambino…Tutto zuppo, sta lì in terra e pigola, come un leprottino fra i denti di una volpe…E già lei, Darja, piange e ride tutt'insieme, mi serpeggia ai piedi, fa di tutto per abbracciarmi le ginocchia… Io le voltai le spalle e la piantai in asso, per tornare al reparto. Arrivato là dissi ai cosacchi: sapete, così e così…
Si levò un gran fermento. Lì per lì mi volevano ammazzare, ma poi mi dissero:
- Sei stato tu che hai insistito per prenderla, Šibalok, e tu la devi finire, lei e il figlio appena nato: se no, ti facciamo lasciare la pelle sotto la frusta!

Allora mi sono messo in ginocchio e ho risposto:
- Fratelli! Ammazzare lei, lo faccio, non per paura di voi ma per coscienza mia, in conto di tutti quei fratelli e compagni che per il suo tradimento hanno perduto la vita; ma abbiate compassione del bambino! Di questo noi siamo responsabili a mezzo con lei: questo è sangue mio: e dunque lasciamo che resti in vita! Voi avete moglie e figlioli, ma io, all'infuori di lui, non ho nessuno…
Ho chiesto questo per grazia ai cosacchi e ci ho anche baciato la terra. Loro, finalmente, si sono impietositi, e m'hanno detto:
- Be', va bene! Chissà che questo sangue tuo non si faccia grande, e chissà che non diventi un altro bravo mitragliere, né più né meno di te, Šibalok! La donna, però, finiscila!
Sono tornato da Darja. Stava lì a sedere, s'era rassettata e teneva il bambino in braccio.
Le ho detto:
- Non te lo lascio attaccare, questo bambino al petto: giacché è nato in un'annata di disgrazia, be', non conoscerà il latte di sua madre…Ma a te, Darja, bisogna che ti tolga la vita, perché tu sei nemica del nostro potere sovietico. Mettiti con la schiena contro quella proda!
- Jaša, e il bambino? Questa è carne tua. Tu ammazzi me, ma anche lui morrà, se gli manca il latte. Lasciamelo allevare, e quando l'avrò svezzato, allora ammazzami: io ti do il consenso…
- No, - le faccio, - il reparto ha stabilito di darmi una grave punizione. Non posso lasciarti in vita: ma, quanto al bambino, non stare in pena. Col latte di cavalla riuscirò a farlo grande: non permetterò, no, che la morte se lo prenda.
Poi mi sono arretrato di due passi, mi sono sfilata la carabina, e lei, intanto, s'era abbracciata alle mie gambe e mi baciava gli stivaloni…
Fatto questo, torno dai miei, senza voltarmi a guardare; le mani mi tremavano, mi si piegavano le gambe, e il bambino, scivoloso, nudo com'era, mi stava per cascare dalle mani…
Di lì a cinque giorni siamo ripassati per lo stesso posto. In quella bassura, sugli alberi, c'era una nuvola di corvi…Ne ho mandati giù di dispiaceri, con questo bambino!
- Prendilo per i piedi e buttalo sotto una ruota! Che ragione hai di patir tanto con lui, Šibalok? - mi dicevano, tante volte, i cosacchi.
Ma a me, questo bricconcello, ha sempre fatto una pena da morire. Mi viene in mente: " Chissà, si farà grande, al babbo si storceranno le ossa, e allora il figlio difenderà lo Stato sovietico…
Ci sarà sempre un ricordo di Jakov Šibalok, non creperò come un'erbaccia selvatica, lascerò una discendenza…". Mi crederai , buona cittadina, se ti dirò che la prima volta che ho pianto è stato con lui, benché mai, fin'allora, avessi saputo cosa fossero le lacrime? Da noi una cavalla ha figliato, al puledrino abbiamo tirato una pallottola, e così, ecco, abbiamo fatto profitto di quel latte. Non lo prendeva, da principio, il capezzolo ma dava in ismanie; ma poi s'è avvezzato, e quel capezzolo se lo zufolava né più né meno di come un altro bambino fa con la poccia della mamma.
La camiciola gliel'ho cucita da un paio di mutande mie. In questi ultimi tempi gli s'è fatta un po' piccola indosso, ma non fa niente, può ancora andare…
Dunque, adesso, fatti un concetto: dove posso andare a sbattere, io, con questo qua? E' troppo piccolo, dici? Guarda che capisce tanto e già mangia cibi da masticare…Prendilo e toglilo da ogni male! Lo prendi? …Oh, allora sì che ti ringrazio, cittadina!…
E io, appena avremo sbaragliato la banda di Fomin, correrò qua a trovarlo.
Arrivederci, figlioletto mio, sangue di Šibalok! …Svelto a farti grande!…Ah, figlio di cane: che modo sarebbe, dare a tuo padre queste stratte per la barba? Forse che io non t'ho custodito? Non t'ho ninnato abbastanza, che ora tu, all'ultimo momento , mi metti su una zuffa? Via, lascia che prima di separarci ti dia un bacio su questa zucchetta…
Voi non state in pensiero, buona cittadina: credete che si metterà a strillare? Macché…Lui è proprio venuto su da vero bolscevico: mordere, morde (la magagna non c'è scopo di nasconderla), ma una lacrima, a questo qua, non gliela spremi!

(Tratto da Racconti del Don, Editori Riuniti, Roma, 1962, Traduzione dal russo di Agostino Villa)




Michail Šolochov


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