BENTORNATI
Gospal Baratham
La
calma con cui la nave Canton entrava nel porto di Singapore
non si rifletteva, di certo, in alcuni dei suoi viaggiatori.
Margaret stava cercando di indossare un sari in una delle
cabine inferiori. Ci stava provando da due ore e non sembrava
vicina al successo più di quanto lo fosse all'inizio. Nel
frattempo, Babu, suo figlio, dalla pelle color fango, con la diabolica
ingenuità tipica dei bambini di due anni, era riuscito
a sedersi, a rimanere in posizione eretta e a dare un morso allo
stesso pezzo di vestito che la madre stava allungando per infilarlo
nella cintola. Margaret aveva già sentito vari suoni che
ricordavano la seta mentre si strappa. Infine, capendo che gli
sforzi per aiutare la madre cominciavano ad irritarla, il bambino
scoppiò in lacrime e cominciò a cantilenare: - Mamma
odia Babu, Babu odia Mamma. Mamma odia Babu, Babu odia Mamma -
. Poi, ricordandosi dell'alto livello di igiene personale che
Margaret gli aveva tramandato, cominciò ad asciugarsi gli
occhi, il naso e le mani su un angolo del sari, lasciando
sulla stoffa color rosa pallido un insieme di macchie fatte di
lacrime, moccio e sudiciume.
Guardandosi allo specchio, Margaret comprese che il rosa non era
certo il suo colore. Non si accordava nè contrastava con
la sua carnagione naturale, pallida. Durante il viaggio aveva
passato molte ore fuori, sul ponte, cercando premurosamente di
acquisire un'abbronzatura che, nelle sue speranze, l'avrebbe resa
meno vistosa tra la gente scura di Singapore. Tutto quello che
riuscì ad ottenere, comunque, fu di trasformare il colorito
chiaro della sua pelle in un rosa escoriato da macchie brune di
scottatura su cui erano attaccati pezzi di pelle morta. Stranamente,
questo effetto di colore era identico a quello del suo sari
rosa su cui aderivano i batuffoli di polvere bianca del tappeto
della cabina e che portava le macchie brunastre depositate da
Babu. Nel guardarsi di nuovo, Margaret concluse che ciò
a cui più assomigliava era un salmone affumicato, e temette
che la calura e l'ansia dello sbarco le avrebbero presto fatto
assumere persino l'aroma di quella pietanza prelibata.
In quel momento si dolette amaramente della imprudenza che aveva
avuto come risultato Babu, il matrimonio frettoloso con Bala e
la fretta pazzesca di tornare a Singapore. I suoi dubbi iniziali
sulla scelta di lasciare l'Inghilterra erano stati facilmente
sradicati da Bala, il quale possedeva un fascino incredibile,
faceva apparire tutti i problemi come immaginari e inoltre aveva
proprio il tipo di pelle scura e liscia che provocava in Margaret
una irrimediabile e sfrenata libidine. Ma, per l'ansia dei pochi
giorni passati, sia il fascino che la libidine avevano perso la
loro attrattiva. Margaret temeva che, per quanto si fosse abbronzata
e per quanto bene avesse imparato ad indossare un sari,
la famiglia di Bala avrebbe, con molta probabilità, respinto
lei e forse persino Babu considerandoli come stranieri.
Bala era stato particolarmente riservato rispetto alla sua famiglia.
Le domande di Margaret a tal riguardo producevano immancabilmente
in lui una depressione, durante la quale manteneva lunghi silenzi
che lei non riusciva ad interrompere. Alla fine Margaret si rassegnò
a tutto ciò. Poichè aveva incontrato e sposato suo
marito in un ambiente estraneo, e per molti aspetti assolutamente
artefatto, ammise a se stessa che non avrebbe potuto aspettarsi
di comprenderlo realmente.
Nel frattempo Bala passeggiava di sopra, sul ponte, si fermava
soltanto per schiacciare sigarette fumate a metà, lasciando
dietro di sè una scia di mozziconi somiglianti a escrementi
di anatra. Il suo costume di lana, benchè marcato Saville
Row, sembrava scendergli male ora che era tutto umido. Il deodorante,
che aveva abbondantemente messo in mattinata, stava già
perdendo la proprio battaglia contro il sudore provocato dalla
lana, dal calore e dall'ansia, benchè lui fosse certo che,
per quanto maleodorante potesse divenire, tutti i profumi sarebbero
stati presto sommersi dalla sinfonia degli odori che i suoi parenti
in attesa stavano già generando. Normalmente sudaticci,
impreziosivano costantemente il loro odore pungente e naturale
con un largo uso di profumi dal potere quasi narcotizzante, per
non parlare delle puzze stantie di alcol che aleggiavano come
aureole su molte delle loro teste. Il pensiero di quali effetti
avrebbero avuto su Margaret gli provocò un nuovo scoppio
di sudore che divenne torrenziale quando immaginò l'incontro
tra sua moglie, normalmente riservata, igienicamente distante
e impeccabilmente inglese, e la parentela emotiva fino all'ecesso,
troppo confidenziale e, senza ombra di dubbio, Tamil.
Fissava la riva, ma fino ad allora era incapace di distinguere
gli individui nella massa umana che aspettava al molo. Cercò
di convincersi che, per qualche ragione, i parenti avevano deciso
di boicottare il suo ritorno a casa. Forse il suo matrimonio con
una donna non Tamil giustificava il totale ostracismo. Forse la
lettera che li informava del suo ritorno era andata persa. Forse
un olocausto ispirato dai cieli aveva distrutto la maledetta compagnia.
Tutto improbabile. Dopo la sua assenza, durata cinque anni, niente
li avrebbe tenuti lontano, ed il fatto che ora aveva una laurea
in legge avrebbe convinto persino i pochi restii, tra loro, ad
essere presenti per quel ritorno a casa. Le migliori speranze
di Baba erano riposte in sua madre sul cui buon senso aveva sempre
fatto affidamento. Lei avrebbe usato la sua autorità per
limitare sia il numero di persone, che il consumo di alcol. Ma
Bala comprendeva che le speranze sono spesso messaggere di disastro
e questo credo si rafforzò quando la nave si avvicinò
abbastanza da dargli una chiara visione della folla in attesa.
Al centro della folla c'era un grande gruppo che si distingueva
a causa delle pelli scure e della combinazione bizzarra dei colori
sui vestiti. L'arancio urtava al fianco del rosso, il giallo oro
si scontrava con il blu, il rosso scarlatto interrompeva il color
malva. Tuttavia questo uragano di colori raggiungeva in qualche
modo una certa coesione. Il caos era il loro ordine mentre ondeggiavano,
urtavano, saltavano, salutavano sommergendosi l'un l'altro nella
loro eccitazione. Il modo in cui alcuni di loro barcollavano lasciava
pochi dubbi a Bala rispetto a come avevano trascorso la parte
antecedente del pomeriggio, ed era sicuro che zio Sambasivam sarebbe
stata la figura più appariscente del gruppo. Ora riusciva
persino a distinguere i bambini che sgattaiolavano come scarafaggi
tra le gambe degli adulti.
Al centro del gruppo c'era una larga figura color porpora. All'inizio,
Bala aveva temuto che questa fosse una specie di baldacchino con
il tetto decorato di bandiere purpuree, in cui avevano pensato
di portare via lui e Margaret in trionfo. Mentre la nave si avvicinava,
sembravano esserci tre donne che si tenevano l'un l'altra, sorelle
forse, vestite con l'identico sari. Solo quando la nave
attraccò lui fu capace di esaminare la figura più
da vicino e quell'incredibile verità gli divenne chiara:
era una sola persona vestita con un sari color porpora,
con una corporatura tale che, a suo confronto, un lottatore Sumo
rassomiglierebbe ad un deportato di Belsen. La sua pelle era di
un nero talmente intenso che ad intermittenza produceva l'illusione
del grigio, come se l'occhio, bombardato da un eccesso di nero,
cercasse rifugio in una tonalità alternativa.
I suoi occhi quasi invisibili nell'abbondanza della faccia, erano
sovrastati da un'attaccatura dei capelli così bassa da
divenire impossibile la distinzione con le sopracciglia.
Bala raccolse il bagaglio e discese barcollando per la scaletta.
Aveva con sè due grandi sacche da viaggio e due valigie
più piccole costruite da persone apparentemente ossessionate
dal pericolo radioattivo, dato che le avevano precauzionalmente
rivestite di piombo. Lui non riusciva a vedere sua madre nel gruppo,
e questo non era sorprendente dal momento che i suoi occhi continuavano
a tornare sulla faccia della donna monumentale che, ovviamente,
era alla testa della folla. non riuscì a notare neanche
la ghirlanda che egli aveva tra le mani. Babu e Margaret si trascinavano
alle sue spalle, ma lui era appena conscio della loro presenza.
Prima che avesse completamente raggiunto il fondo della scaletta,
la donna purpurea uscì dal gruppo e piazzò la ghirlanda
attorno al suo collo salutandolo:- Vanakhan. Benvenuto
- . Quindi si lanciò in avanti e, sommergendolo col suo
seno immenso, nascose con la sua enorme figura persino le valigette
e i sacchi. Il gesto fu così inatteso che Bala non riuscì
a fare nessuna azione per scansarla. Nel cercare di districarsi
da lei scivolò giù alla fine della scaletta, cadde
sulla banchina perdendo nell'azione la valigia ma non l'abbraccio
della grande donna che cadde al suolo con lui.
- Io sono Mariama - disse gemendo. - Tua madre è morta.
Immobilizzato sotto questa montagna di carne, Bala temettte che
avrebbe presto raggiunto la sua defunta genitrice. - Sono la persona
più grande del villaggio e perciò ho assunto su
di me il compito pesante di porgerti il saluto con questa notizia
dolorosa.
Dal momento che l'abbraccio di Mariama permetteva solo dei movimenti
piccolissimi, voltando appena la testa, Bala potè vedere
Margaret che si muoveva in fretta all'indietro, lungo la scaletta,
inseguita dallo zio Sambasivam.
Margaret era incerta sul tipo di saluto che avrebbe ricevuto.
Si era aspettata una riunione familiare emozionante sul molo,
per Bala almeno, ma non aveva proprio previsto il grado di contatto
fisico che questo incontro avrebbe comportato. Era inorridita
da quello che stava succedendo a Bala e, quando zio Sambasivam
uscì fuori dalla folla cominciando a salire per la scaletta
con gli occhi arrossati, con i fumi dell'alcol che gli uscivano
dalla pelle quasi senza essere diluiti dall'aria e gridando in
modo rauco - Premai, premai. Carissima, carissima - lei
temette che fosse imminente qualche forma di violenza sessuale.
Così volò via.
Babu, percependo il panico della madre, si unì a lei nella
fuga, cercando nel frattempo di nascondersi nelle pieghe del sari.
Dal crescente contenuto alcolico nell'aria la donna comprese che
zio Sambasivam stava per raggiungerla. D'improvviso sentì
qualcosa di caldo e vagamente umano muoversi tra le sua cosce.
Per un istante temettte che zio Sambasivam fosse riuscito a proiettare,
attraverso qualche movimento trascendentale, una porzione di sè
sotto i suoi vestiti. Buttarsi nel mare tra la nave ed il molo
le parve una possibile via di fuga, ma ancora prima di riuscire
a considerare questa eventualità lo zio la raggiunse e,
non appena Babu riuscì a districarsi dall'interno delle
pieghe del sari, li accorpò entrambi in un abbraccio
familiare.
Nel frattempo, ancora inchiodato sotto Marima, Bala notò
che una delle valige sfuggitegli si era aperta, disseminando sul
molo la biancheria intima di Margaret e i giocattoli di Babu.
Donne e bambini, presumendo che fossero dei regali, se ne stavano
già servendo. Notò questo solo per un istante perchè,
ora, Mariama stava piangendo copiosamente sulla sua faccia. Le
lacrime, abbondanti tanto quanto la sua persona, si facevano strada
ad una ad una negli occhi, un'impresa estrema e un'impeccabile
senso del tempo. Riuscirono ad accecarlo quasi totalmente e credette
fossero nere anch'esse finchè non comprese che questo effetto
era causato da un uso abbondante del mascara sulle ciglia inferiori.
Sconcertato, senza respiro ed ora virtualmente accecato, Bala
si rese profondamente conto di un fatto inevitabile come l'abbraccio
in cui era preso.
Era a casa.
(Tratto da L'amato difetto e altri racconti, Besa Editrice,
Lecce, 1998)
Gopal Baratham, di etnia indiana,
nasce nel 1935 a Singapore dove si laurea in medicina. Attualmente
lavora come neurochirurgo nella stessa città. Nel 1982
esce la sua prima antologia di storie brevi, Figments of Enperience.
Molti suoi racconti saranno pubblicati in varie antologie del
sudest asiatico della Heinemann Asia. Successivamente pubblicherà
per una casa editrice londinese anche alcuni romanzi ambientati
in una Singapore moderna ma irriconoscibile.
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