LIMERICK

Luigi Cristiano

 

… loop …

e fu come cadere, un volare al contrario
e fu cielo veloce che ruotava la terra
non comprese il colore che vedeva arrivare
non capì la caduta o chi stesse cadendo
un rimbalzo di pietra un abbraccio di terra
senza peso e coscienza che non fosse la vita
e bastò un po' di sole e bastò la rugiada
e poi solo aspettare
e poi solo aspettare...


… Limerick

Arrivato sulla vetta che era stata la sua ossessione da sempre, Limerick lasciò che gli occhi e il cuore si riempissero di quel trionfo, fino a traboccare di orgoglio e gioia.
Niente era più in alto di lui.
Nessun uccello avrebbe mai teso le ali in quell'aria, perché leggera come era non le avrebbe sostenute, e sarebbe precipitato nel denso abbraccio delle termiche, più in basso.

Si accovacciò stanco, ad accarezzare con la mano i sassi, quando la macchia rossa di un fiore tra i grigi spenti delle pietre, colpì il suo sguardo.
Lì attorno nulla sembrava poter sopravvivere al freddo intenso, al vento e al riverbero accecante del sole.

Per chi si sarebbe schiuso quel fiore?
Non c'era traccia di vita lassù; quale insetto avrebbe potuto cedere alle sue lusinghe portando lontano, come un amante inconsapevole, il suo polline?
Eppure era lì, a riflettere la luce, e a scagliare i profumi della sua vita nell'aria.
Era lì, come una macchia di sangue umido di rugiada abbracciata alle rocce, ed era lì da tempo, e lì sarebbe rimasto una volta che avesse deciso di tornare a valle.

Limerick si rialzò a fatica e percorse la piccola distanza che lo separava da quell'intruso, intenzionato come era a cancellarlo col peso di un solo passo.
Ma qualcosa lo fermò, forse un inciampo tra le fenditure, forse un abbaglio del sole, o forse il pensiero che non avrebbe semplicemente potuto vincere quel fiore che lo avrebbe visto, sconfitto, scendere la cima e perdersi in lontananza, perché di più non poteva salire e più in alto della cima c'era solo il restare.
Solo restare.

Allora rialzò il capo a guardare il cielo, così vicino, per così poco tempo, riempì il respiro di quell'aria che non lo dissetava mai abbastanza e gridò.
Gridò fino a sentire la gola gridare di dolore e il petto stringersi al cuore e farlo piccolo, perché non serviva più a imprese più grandi.
Farlo piccolo e rosso di sangue come quel grumo carminio incoronato di pietre, così muto e tenace mentre si piegava al vento senza opporsi.

Perché il vento sarebbe passato, il sole sarebbe sorto e scomparso e l'uomo che per primo lo aveva raggiunto avrebbe dovuto arrendersi, e fuggire.
E lui, senza neppure curarsene, ne sarebbe stato testimone.


… Limerick … Domino

Troppo lento per raggiungere quel grido, il vento decise di sospingerlo a valle e di frantumarlo in mille suoni ed echi di rimbalzo, sino a mutarne il tono e il timbro, e mischiarlo alla sua voce che soffiava tra le foglie i rami e i bordi taglienti della roccia.

Così Domino, seduta in riva a un torrente, lo sentì.
Le sembrò un fischio o un canto, e lo confuse col richiamo di un uccello.
Di istinto rovesciò la testa in alto nel tentativo di catturarne il volo, ma non vide nulla di quanto aveva immaginato e tornò alle parole che segnavano di nero le pagine del libro che teneva tra le mani.

Amava perdersi in quelle vite perfette, compiute.
In quelle trame che avevano sempre un perché, che non lasciavano mai una cosa in sospeso, dove anche i personaggi marginali avevano una ragione di esistere.
In quelle costruzioni pensate e pianificate per raccontare una storia.
E amava pensare che tra quelle righe, prima o poi, avrebbe riconosciuto la sua vita, il suo percorso.

C'era una moltitudine di scrittori che vivevano e respiravano e scrivevano per lei, che bisogno aveva di cercare da sola qualcosa che forse non avrebbe mai raggiunto?

.. No…

pensava…

.. Un giorno leggerò la mia storia e sarà solo mia e non avrò mosso un solo passo per capire e vivere.
Sarà lì nera su bianco, incisa in segni tondi e linee e onde su un foglio, e avrò le risposte che non avrò avuto bisogno di cercare.
Devo solo aspettare, e la mia vita passerà di qui, tra queste righe.
I miei occhi la riconosceranno.

Domino mise una foglia a pagina novanta di quel piccolo libro con una piuma blu in copertina.
Lo chiuse e lo posò accanto ai piedi, così vicini agli infiniti incontri d'acqua e sassi del torrente, poi portò le mani dietro la nuca e si distese socchiudendo gli occhi, per meglio inseguire la traccia di una nuvola.

.. Ancora poco e un altro pezzo sarà raccontato.
Sarà difficile trovarne altri così simili a me…

si scoprì a pensare.

Un'ultima eco di quel grido la scosse.
Stavolta ne era certa, era di sicuro il richiamo di un'aquila.
Non poteva essere altro.

Si alzò scompostamente decisa a vedere il volo di quel predatore, e con un piede urtò il libro che venne subito rapito dall'acqua del torrente.
Quando Domino riabbassò gli occhi, le pagine si aprivano a ventaglio seguendo il ritmo della corrente; ancora poco e si sarebbero allontanate. Irraggiungibili.
Illeggibili per sempre.
Una parte della sua vita persa.
Senza averla potuta vivere.

Senza pensare, si inoltrò nell'acqua cercando di raggiungere quel libro con un ramo raccolto a riva, ma più si spingeva nella corrente più lo vedeva allontanarsi e sprofondare, e solo a tratti la piuma della copertina riaffiorare in cerca d'aria e dei suoi occhi.

Un brivido la percorse dai piedi alla nuca risalendo controcorrente.
Domino capì che non avrebbe potuto trattenere quella corsa, e che nessuna acqua in nessuna parola di nessun libro scritto, pensato, o letto, avrebbe potuto bagnarla più di quella che ormai le lambiva il ventre.

E così lanciò il ramo nel torrente e uno scherzo dei gorghi fece incontrare la piuma e il legno, rendendoli compagni di viaggio fino al fiume forse.
Forse fino al mare.

Domino li seguì con gli occhi per quanto le fu possibile, poi un insenatura li fece scomparire alla sua vista.
Tornata a riva strizzò la gonna e la stese come meglio poteva sulle gambe bagnate, con brevi tocchi delle mani.
Un ultimo sguardo al torrente.

.. Sono ancora insieme.

Stava ancora sorridendo.


Limerick ... Domino ... Knot

Knot conosceva i nodi e come districare le reti.
Conosceva le spire delle lenze attorcigliate alle alghe, come gli ami uncinavano i fondi del mare e i movimenti delle dita e gli strappi delle braccia che avrebbero avuto ragione di quei garbugli.

Il buon Dio, o chi per lui, gli aveva donato due mani lunghissime e flessuose e due occhi fondi, scavati nelle pozze di rughe del viso .
Occhi così piccoli e neri che trattenevano la poca luce delle battute di pesca notturna, ed ogni mattina sulla barca nessun amo, nessuna rete o lenza andava perduta.

Conosceva poche altre cose, scrivere e leggere appena, i soprannomi dei suoi compagni di nave che così lo avevano chiamato in onore del suo dono, e il fatto che quella sarebbe stata la sua ultima notte sul mare.
Troppo vecchio.
Troppo sale.
Era tempo di fermarsi e di guardare da terra le barche inghiottite dalla notte, e di sentire lo sciabordio dell'acqua da qualcosa di più fermo e solido di un guscio di legno fradicio di anni.

Da mesi aveva iniziato lentamente all'arte dei nodi chi lo avrebbe sostituito: un ragazzetto con le guance gonfie e i denti piatti e sporgenti che a fatica parlava con i compagni.
Gerbil imparava presto e bene e Knot sapeva di lasciare la sua arte in buone mani.
In buone mani, per lungo tempo, così almeno pensava.

Knot era seduto a sciogliere una rete che aveva strisciato a lungo tra le correnti sul fondale, quando vide Gerbil avvicinarsi.
Anche al buio, gli sembrò sorridesse mentre avanzava portando tra le mani un fagotto fradicio.

.. E quello cos'è?

… Umhh un regalo, una specie di buonuscita, Knot.

.. A quella ci ha già pensato il Capitano, ho abbastanza soldi da parte e poi, il mare è stato generoso con me.

… Ah sì la storia della sacca di monete, lo so. Coi soldi che avevi trovato potevi comprartene cento di barche ma i nodi, Knot, i nodi...

.. I nodi cosa?

... Ti sarebbero mancati troppo.

Knot strappò il fagotto dalle mani di Gerbil e lo mandò via a malo modo.
Gerbil sparì ridacchiando fra sé dietro le nasse stese ad asciugare.

.. Niente nodi, niente Knot... eh sì…

lo sentì cantilenare, quando ormai non lo vedeva più.

Knot soppesò il fagotto di stracci che copriva il suo regalo, lo scoprì e rimase a guardarlo con gli occhi e a saggiarne la consistenza e la complessità con le mani.
Non riusciva a capire di cosa fosse composto.
C'erano alghe, pezzi di rete e chissà cos'altro ancora.
Era come se tutte le cose che galleggiano su un torrente, che abitano i letti dei fiumi e sprofondano nelle sabbie dei fondali marini, si fossero dati appuntamento per un ballo lento, restando invischiati in quella danza.
Era come un manto che copriva un guscio che conteneva uno scrigno che celava una perla; o forse era tutt'altro e quello che vedeva era solo l'ultimo, umido, rompicapo possibile.

Lo guardò ancora una volta e poi lo posò sulle assi ruvide del ponte.

... anche se non ci metterai molto, quando avrai districato quella roba avrai finito davvero.

pensò, e si rimise al lavoro.

Il mattino arrivò presto e col sole l'ultimo saluto ai compagni, l'ultimo approdo.
Knot raccolse le sue cose e la sua "buonuscita" e tornò a casa.
Riposò alcune ore, come era solito fare, poi si alzò deciso ad uscire e vedere se la terra fosse poi così diversa, senza l'obbligo di lasciarla ogni notte.
Ma il pensiero di quel garbuglio, di quella sfida, lo fermò, e così cominciò lentamente a scioglierlo.

Tolse il panno che lo copriva e lo ripose da parte, poi districò le lenze e gli ami, poi incontrò una rete e poi alghe e piccole conchiglie, e più procedeva più cose si ammonticchiavano sulla tavola che aveva scelto per lavorare.
Ognuna intatta per quanto poteva esserlo, o comunque non intaccata dal lavoro delle sue mani.
Lavorò ancora e ancora.
Non c'erano monete o cose preziose.

Riconobbe sassi piatti da letto di fiume e foglie e steli da riva di torrente, e in fondo un legno e quel che rimaneva di un libro.
E li si fermò.
Fino a quel momento niente era stato rovinato, ogni singola cosa era solo stata separata dalle altre, ma quell'ultimo abbraccio non poteva essere sciolto senza sacrificare una delle due cose.
Avrebbe potuto salvare il libro, frantumando il legno in mille pezzi e sfilandoli con cura oppure salvare il legno, strappando i fogli rattrappiti.
Appoggiò le lunghe mani sul tavolo e rimase a guardarli, insieme.
E li vide per quello che erano.
Per quello che avevano deciso di essere.
Un'unica cosa.

Uscì di casa che era ormai pomeriggio inoltrato, e sì, la terra era diversa, il paese era diverso e la gente si muoveva nella piazza come le onde.
Il mare non lo avrebbe abbandonato, dopotutto.

Una corsa di bimbi catturò i sui occhi. Uno dei primi cadde vicino a lui inciampando nella stringa slacciata della scarpa.

Knot lo risollevò, si accertò che stesse bene e poi puntando l'indice al suo naso gli disse…

.. Potevi romperti il collo lo sai? Stai attento, guarda e impara eh..

Mosse il dito lentamente, così che lo sguardo del bimbo lo seguisse sino a puntare i lacci sciolti.
E si accovacciò ad allacciarne il nodo.


Limerick ... Domino ... Knot... Joliet…

Joliet aspettava il ritorno di suo figlio.
Nel suo piccolo mondo ordinato, era quella l'ora stabilita per il suo ritorno.
Ne avvertì la presenza ancor prima di sentirne i passi affrettati sulla scala, sorrise fra sé e indossando a fatica un viso severo riuscì ad aprire la porta pochi istanti prima che Andreas raggiungesse il pianerottolo.

. Aspettavo mio figlio, signore. Potrebbe essere cosi gentile da dirmi se lo ha incontrato per strada?

.. Mamma, sono io, non mi riconosci?

. Mi scusi ma mio figlio stamattina indossava pantaloncini azzurri e una maglietta bianca, non un completo marroncino macchiato di verde.

.. dai mamma, guarda cosa ti ho portato…

Andreas entrando nell'anticamera si frugò nelle tasche, e lanciò in aria una manciata di eliche d'acero che cominciarono a ruotare avvitandosi nell'aria, per poi posarsi senza rumore sul pavimento.

..Questi sono i semi degli alberi che volano.

. Che volano?

.. Sì, quegli alberi alti verdi e rossi attorno al municipio, che di giorno stanno piantati per terra e non si muovono neanche se li spii di nascosto. Poi di notte quando nessuno li vede si alzano nel cielo in alto in alto, e scuotono i rami; i semi volano via lontano e loro tornano al loro posto così che nessuno se ne accorge.

Raccolse un seme e lo lanciò ancora una volta.

.. Guarda... Hai visto quanto ci mettono a cadere?

Joliet sorrise all'idea che per Andreas gli alberi potessero liberarsi dalle radici e volare liberi nell'aria, poi scosse la testa seguendo la caduta dell'ultima ala.

. E tu li hai visti volare?

.. Io no mamma, io torno a casa presto; ma Martinez se ne sta in giro tutta notte e giura di averli visti...

Joliet si chinò a raccogliere quei semi e rialzandosi notò come il nodo alla scarpa, intatto, contrastasse col disordine che accompagnava gli anni felici e curiosi di vita di suo figlio.

. Chi ti ha allacciato così bene questa scarpa?

... Un signore che puzzava di pesce. Aveva gli occhi piccoli e le dita cosi lunghe che se le metteva nel naso gli uscivano dalle orecchie.

. Andreas... Non si parla così delle persone...
Comunque questi sono semi di albero, e noi raccogliamo solo semi di fiori.
Domattina Philip sarà qui, e questa volta saranno fiori rossi.
Forza adesso, a fare il bagno e poi a cena e a letto subito, che domani arriva papà. Andiamo a prenderlo in aeroporto.

.. Dobbiamo partire ancora?

. Sì, dopodomani.

.. E i miei amici?

. Ne troverai di nuovi nella città dove andremo.

.. Cosa deve costruire papà questa volta?

. Un ponte che unirà due parti di una stessa città.

.. E quando avrà finito, torneremo qui?

. No Andreas, non torneremo qui, avremo nuovi fiori.

Joliet sapeva che quei continui spostamenti non avrebbero mai avuto fine, e che nessun paese sarebbe mai diventato la sua casa.
Solo passaggi.
Assaggi degli usi, delle abitudini e delle parole di nuova gente, nuovi volti, nuovi profumi nuovi sapori, nuovi fiori.
I fiori, come lei, non avevano radici profonde, un lieve strappo o un vento solo un po' più forte li avrebbe facilmente separati dalla terra che li ospitava.
E così era la sua vita, un fiore nuovo, su ogni nuova terra.

Accompagnando Andreas in bagno, passò dalla sala dove appoggiò i semi sulla mensola che ospitava il telefono. Poi una volta arrivati lo spogliò sovrappensiero, chiedendosi se i vestiti che avrebbe messo a lavare, sarebbero stati asciutti e pronti per il giorno dopo l'indomani.
Per il giorno della partenza.

Mangiarono in fretta, accompagnati dal rumore delle stoviglie e dei racconti di suo figlio sulla giornata passata tra il porto e la periferia.
Andreas lasciò a metà la frutta, si alzò, accese la televisione e si stese sul divano.
Crollò addormentato poco dopo, quando il sonno ebbe ragione di lui e del suo testardo rimandare all'infinito la fine del giorno.

Joliet lo sollevò e lo portò a letto lasciando accesa una piccola luce, così che Andreas non dovesse incontrare il buio, nel caso si svegliasse dai paesi assolati dei suoi sogni.
Poi aspettò che il bucato fosse pronto da stendere, si preparò per la notte e si coricò, attendendo che il giorno di viaggio di suo marito consumasse la sua notte di sonno, e si addormentò.

Sognò visi e bambini coi capelli color oro, il loro vociare incomprensibile che avrebbe imparato ad amare in poco tempo, per il tempo che le sarebbe stato concesso.

Sognò il volto di Philip e l'aereo che scivolava nel torpore caldo di quel sole che correva verso la notte. E sognò la piccola scatola di legno che conteneva quei semi, le promesse dei fiori di un paese lontano.
Sognò le certezze, e i disegni ed il ponte, i giorni a venire, i sorrisi a venire, fino ad un lampo di luce che virò ogni futuro al nero.
Poi la notte ed il giorno, nello stesso momento, le nuvole basse a tagliare il cielo tra il sole e la terra, e quel volo impazzito nel metallo e nel fuoco.

lo squillo del telefono la colse d'improvviso mentre cercava accecata il ricordo di un abbraccio che non avrebbe ritrovato.

L'ultima immagine prima di alzarsi e raggiungere la sala, fu un velo di vento e fumo proiettato lontano a cadere chissà dove, trascinando con sé plastica, vetri, pensieri interrotti. E si vide correre e cercare tra i sassi un oggetto, un ricordo, qualcosa da piangere.

Prima di sollevare la cornetta strinse i semi d'acero nella mano e li sentì scricchiolare piano, come un piccolo grido, come un piccolo dolore.
Ascoltò in silenzio quelle poche parole guardando la stanza, le foto, la porta, la sua mano.

. Domani, domani...

In qualunque posto fosse domani, avrebbe coperto di terra quei fragili voli.

. Domani, domani...

Avrebbe cresciuto le sue radici.

… loop …

e fu come cadere, un volare al contrario
e fu cielo veloce che ruotava la terra
non comprese il colore che vedeva arrivare
non capì la caduta o chi stesse cadendo
un rimbalzo di pietra un abbraccio di terra
senza peso e coscienza che non fosse la vita
e bastò un po' di sole e bastò la rugiada
e poi solo aspettare
e poi solo aspettare...





Luigi Cristiano, nasce a Milano il 9 maggio 1959. Ha scritto canzoni da ragazzo. Autore di "Remote", un sito simulazione della sua memoria e di come ricorda: http://www.pegacity.it/libreria/remote




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