ESSERE ITALIANI, PER BIN LADEN E PER NOI
Armando Gnisci
"Gli italiani, insieme a francesi e britannici, si sono spartiti
il mondo arabo dopo la prima guerra mondiale e da allora ci perseguitano",
ha detto lo sceicco saudita il 3 novembre. Uno dei maestri del
pensiero politico nazionale, Sergio Romano, ha commentato, il
giorno dopo sul Corriere: "Il cenno a noi concerne
soprattutto Gheddafi...". Nei giorni successivi i nostri
storici (sempre Romano e G. Sabbatucci, ad esempio) hanno rimproverato
a Bin Laden di non saperne di storia e "Repubblica"
ha fatto un bel "dossier" con L. Villari che esorta
a ripensare la "pagina nera" del nostro colonialismo,
e conclude: "Ben sapendo però di quanti crimini molto
più grandi si siano macchiati nei secoli potenze coloniali
come la Spagna, il Portogallo. l'Olanda, il Belgio, la Gran Bretagna,
la Francia". Sulla pagina accanto Angelo Del Boca, intervistato
da N. Ajello, dice il contrario: che Graziani in Libia fece un
genocidio. E così il dossier è fatto: e di colonialismo
il neoilluminismo italiano ne avrà parlato abbastanza per
un altro decennio. È questo il livello della nostra storiografia:
o rimandare bin Laden a studiare meglio i manuali italiani di
storia per i licei o gettare una rapida luce-dossier, "bipartisan",
come va di moda dire oggi. La nostra storiografia deve ancora
fare la propria rivoluzione contro l'italocentrismo.
Vorrei, quindi, fare qualche considerazione nel merito di tale
questione, visto che da alcuni anni mi interesso al groviglio
storico e culturale rappresentato dalla rimozione del passato
colonialista da parte della nostra cultura ufficiale, insieme
a quella dell'emigrazione di un' intera nazione italiana tra il
1870 e il 1970 verso una diaspora planetaria. Si tratta di due
eventi mondiali dei quali il nostro paese, appena unificato
dai sabaudi con l'aiuto di Garibaldi (anticolonialista), è
stato protagonista nel secoli XIX e XX. Due eventi coevi, apparentemente
irrelati, ma variamente intrecciati e che rifiutiamo ancora di
riportare alla luce, di conoscere con rigore e ampiezza di indagini,
di collegare alla storia europea e mondiale (come fa bin Laden,
o in maniera completamente diversa, il regista etiopico, Haile
Gerima con il film Adwa), di far diventare diffusa coscienza
critica nazionale e, quindi, materia di formazione delle generazioni.
Lo sceicco del terrore ha ricordato il nostro passato colonialista,
giustamente collegandolo a quello franco-inglese, riguardo al
mondo arabo. Romano dice che l'accenno riguarda Gheddafi, Sabbatucci
rimanda a settembre l'alunno extracomunitario bin Laden e Villari
assolve il colonialismo italico, perché è stato
"il più buono": come si vede la rimozione è
tuttora perfetta, immancabile e operativa.
In Italia si giudica, infatti, che il pensare post-coloniale non
abbia ragion d'essere, che riguardi i francesi e gli inglesi (che
arrivarono a fare guerra insieme contro Nasser per Suez) e forse
ancora i portoghesi (venuti via per ultimi dall'Africa). Gli spagnoli
hanno abbandonato la partita da più di un secolo e noi...noi
siamo stati pochissimo tempo "da quelle parti" e ci
siamo comportati, come dire?, da brava gente, come è nostro
solito. La storiografia sul colonialismo, poi, è appena
sopportata ed è accademicamente emarginata (ad Angelo Del
Boca hanno dato una laurea ad honorem, ma non una cattedra universitaria).
Dove vuole arrivare? Direbbe a questo punto Totò. A tirar
fuori dalla melassa della comunicazione di massa intorno alla
giusta ed etica guerra occidentale - della quale anche i nostri
governanti possono ora inorgoglirsi - contro un paese di miserandi
e di montagne, in cui si rifugia il genio del male del nuovo secolo,
a tirar fuori un diverso argomento di interpretazione della situazione.
Eccolo: non sarà che piuttosto che di conflitto tra civiltà
dovremo pensare che i vari mondi colonizzati dalle nazioni imperiali
d'Europa (compresa l'Italia), a partire dai viaggi di Colombo
e Vasco da Gama fino alla cessione del "fardello dell'uomo
bianco" agli USA per tenere il comando del pianeta, si siano
venuti comunque decolonizzando, anche se in maniere diverse,
imprevedibili e ancora pienamente attuali? E questa onda lunga
liberatoria e di contrappasso, che dura più o meno
da due secoli - dalle rivoluzioni americane (del Nord, dei Caraibi
e del Sud) al "cannibalismo" artistico modernista brasiliano,
dalla straordinaria sfida tecnocratica del Giappone alla penosa
deriva di chi "non ce la fa" (l'Africa), fino al più
recente fenomeno delle correnti migratorie dal sud&est del
globo al nord&ovest - non fa la storia, tanto quanto
Hitler e Truman, Eltsin e Bush, ma sotterraneamente, rimossa?
La terribile forza identitaria e l'ideologia unificante di tanti
popoli, dall'Africa occidentale all'Indonesia, sta, purtroppo
per loro, e a volte anche per noi, in una religione monoteista
non secolarizzata. Per decolonizzarsi da noi essi non inventano
il blues o il rap, né la Négritude o il Buto
o le lotte di liberazione e la rivoluzione cubana, ma uccidono
e massacrano imitando i kamikaze nipponici, gli unici guerrieri
che abbiano terrorizzato gli yankee. Perciò il loro
popolo dovette subire il terrorismo militare estremo: le bombe
atomiche.
Io credo che sia questa, anche, la storia che stiamo vivendo.
Personalmente, cerco di decolonizzarmi dall'essere "europeo
imperiale", e cioè: uomo superiore, colono e civilizzatore.
E operandola, cerco nel contempo di insegnarla ai miei allievi:
la decolonizzazione europea.
Per questi motivi propongo di non lasciar perdere la battuta di
bin Laden e di discuterla seriamente. È possibile, senza
essere linciato, o semplicemente zittito, come sostenitore di
satana o come black block della cultura?
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