LA DEBOLEZZA

Malcom McKnight

La prima volta che a Shanghai sono entrato in una casa d'oppio, mi aspettavo di trovare Robert De Niro disteso, cravatta allentata e camicia sbottonata, i polsini della Brooks Brothers ancora bagnati di sangue.
La stagione delle piogge è la stagione ideale, dice l'uomo che mi guida fra i corridoi poco illuminati, per venire qui la nostra casa sembra fatta apposta per godersi la pioggia. La scala di legno dove mi arrampico seguendolo custodisce l'umidità delle stagioni passate senza far scricchiolare le assi curve sotto il peso del corpo, senza emettere suoni. Ho le pupille già appesantite e le mani nelle tasche dei pantaloni di tela soffice chiazzata dal sudore. Sento il portafoglio aderire, la carta di credito fare resistenza: quante miglia di volo gratuite valgono queste ore dove allungarsi e scappare nel dormiveglia.
La porta che si apre rivela la stanzetta che mi aspettavo, veli trasparenti di cotone riposti sulle lampade a terra per offuscare la luce e liberare lo sguardo del cliente sdraiato. Il lettino sembra pulito, uno zoccolo di legno con sopra un bel futon, un falso futon giapponese probabilmente cucito in Corea. La giacca scivola nelle mani dell'uomo che mi chiede se è la prima volta per me qui a Shanghai. La prima volta che si arriva in città scegliere la sua casa - dice - è un segno del destino. Scelgo una risposta da turista americano e dico che non credo nell'astrologia. Neanche io ribatte e sorvolando sulla mia voluta maleducazione, mi chiede se preferisco un uomo o una donna per preparare la pipa. Non ho preferenze dico e lascio la testa provare il cuscino del giaciglio, il sangue dei polpacci distribuirsi lungo i muscoli, tornato fluido, sciolti i grumi della fatica, della tensione. Il vetro della finestra è coperto da una tendina di asticelle di legno e carta, l'indice e il medio della mano destra le alzano e si scorge il porto, la sera che arriva dal mare, e gli uomini stanchi per strada. Di donne se ne vede poche, quasi tutte giovani.
La porta si apre e arriva l'oppio. L'uomo è lo stesso, mi sorride, dice che sono fortunato, lui è l'addetto alle compere della casa, a scegliere le diverse qualità a provarle e registrare i commenti dei clienti nel grande libro delle firme. Gli chiedo se sono tanti gli stranieri che si fermano qui. Lui guarda dritto nella scatola di legno laccata di nero, senza smettere di manipolare qualcosa che non vedo, mi guarda e dice: non sono molti gli stranieri di pelle bianca a saper leggere il cantonese, questa casa non viene riportata nelle guide in lingue alfabetiche, si dice così? Insomma le lingue europee in genere e l'inglese la lingua degli anglosassoni.
E' stata la cameriera di un ristorante a parlarmi della casa, gli dico, lui non ha più interesse nell'argomento e mi chiede come vogliamo procedere, ne voglio fumare un po' prima e poi ingoiarlo o viceversa. Fumato, mi piace solo fumato e comunque non è la prima volta che mi fermo a Shanghai è la prima volta che entro in una casa d'oppio della città.
Mi allungo sul fianco sinistro, il futon è davvero di buona qualità e aspetto la pipa. Non avevo notato il seggiolino pieghevole usato dall'uomo per sedersi acquattato dietro al tavolino. Dopo le prime boccate mi dice il nome del tipo di papavero che fumo e me lo descrive, ne parla in maniera precisa saggia, storica più che scientifica. Sento arrivare le boccate dolci nello stomaco, mi chiedo come reagirà l'ulcera.

Bussano alla porta. E' il tè, nel solito bricco e con le piccole tazzine vuote accanto che aspettano le nostre mani per essere riempi, svuotate e ancora riempite e finalmente bevute. L'uomo mi precede e serve lui il tè amaro, molto amaro. Passo la pipa nella mano sinistra e con la destra mi slaccio la cintura, i pantaloni e qualche bottone della camicia.
Ancora una boccata e poi, gli dico, passiamo a quello più forte che hai e dopo lasciami solo. Mi guarda e forse pensa che sia russo, per via del modo non curante con cui tratto il denaro. Fa un cenno di assenso, fruga nella scatola, si blocca e mi dice che da soli i clienti non possono essere lasciati, motivi di sicurezza e poi per cambiare il catino del vomito, evitare i cattivi odori. Anche rimanendo in due non è necessario parlare, aggiunge.

Qualche ora dopo sono in albergo e aspetto nel lobby l'ora di cena. Il cameriere si avvicina e chiedo insieme al tè il giornale della sera. Nel giornale appeso alla stecca del fascio dei quotidiani, sono più numerose le pagine dedicate ai cartomanti e agli oroscopi che al resto della cronaca. Mi accorgo di essere in città per l'ennesima volta e di non sapere ancora quale sia il mio segno nello zodiaco cinese. L'uomo della casa d'oppio parlava di destino, un destino per uno straniero arrivare lì, ma come si fa ad avere un destino a Shanghai senza conoscere il proprio segno nello zodiaco cinese? Quella era l'unica sera che avevo per me e forse invece di passarla a cenare in albergo avrei potuto fare un salto a... e comprare un libro di astrologia cinese, una guida per principianti, per turisti. Qualche passo dopo l'uscita dall'albergo e l'idea della guida astrologica sembra soccombere alla violenta umidità che blocca l'aria a una temperatura di 32 gradi. L'uomo della casa d'oppio, chiamerebbe gesticolando un taxi o continuerebbe a camminare trascinando il corpo cinquantenne nell'aria umida? Tutto è destino aveva detto, ma allora anche il taxi è destino? No, quello fa semplicemente parte della circolazione urbana, una presenza predestinata, come quelle del caldo e dell'umidità, parte delle stagioni che sono il destino della terra. Forse, ma non il destino di noi turisti, visto che grazie a un semplice aereo, noi le possiamo cambiare le stagioni.
Non ho portato con me la mappa della città perché sapere dove andare e riconoscere le insegne di negozi familiari, gli angoli delle svolte dell'itinerario scelto in una città straniera è una fonte di orgoglio. Cerco i passaggi sopra elevati, catacombe di plexiglass dove scorriamo su tapirulan, tonni tenuti al fresco da nuvole spesse di aria condizionata a piovere dal soffitto. Il destino cosa mi riserverà per cena? Un turbine di turisti biondi e scandinavi, uno sciame di pallida altezza e occhi azzurri con in mano tutti lo stesso panino mi scorre ai lati; se fossi nato biondo probabilmente non darei troppa attenzione alla cena.
Nella libreria, bella e in cima a un grattacielo, passo rapidamente dalla sezione astrologia a quella della gastronomia e alta cucina dove mi impossesso di un libro rilegato in finto oro e filo di cotone rosso, un volume dove sono abbinate le preferenze alimentari e il gusto culinario che costituiscono il destino dello stomaco di chi appartiene al mio segno.

Faccio impacchettare per bene il libro con la tipica carta da regalo ricoperta di ideogrammi neri su sfondo rosso che sembra bella solo a chi non sa leggere. Quando dal 18esimo piano atterro con il mio ascensore, in strada la gente non ha più volto né teste, tronchi incravattati e reggiseni duri a stecche sotto ombrelli, per la maggior parte neri. Dall'altra parte della strada fra gli ombrelli accozzati della folla, spunta la scritta del mio destino, TAXI, partiamo e non so cosa dire all'autista. Il libro diceva granchio in questa stagione per quelli nati sotto il segno della Tigre, se ricordo bene dopo averlo sfogliato una volta sola, e il mio autista non mi guarda male né sputa dal finestrino quando alludo al piatto forte della serata. Dice di non credere all'astrologia perché è inutile credere in quello che è il proprio destino. I libri di astrologia culinaria per lui sono tentativi di mettere ordine nei voli delle mosche, gli avvenimenti si susseguono e proprio perché sconosciuti si avverano, regalano senso alla nostra vita. E' l'esistenza che da senso a noi e non viceversa, capisce? Gli chiedo del granchio, se conosce un ristorante dove sanno cucinare il granchio. Al porto risponde, i pesci arrivano al porto. Dico che il granchio non è un pesce, lui dice che però vive al mare, e quindi o andiamo fuori città o al porto.
Guardo fuori dal finestrino, mi sento debole, non ho mangiato molto oggi, l'umidità penetra oltre la cortina di aria condizionata, allargo le gambe e le braccia, con le dita tocco i vetri dei due finestrini posteriori e gli chiedo scusa, ma voltiamo indietro, andiamo a ... voglio tornare alla casa d'oppio. Il granchio, può aspettare.
Se lei va alla casa... a due passi, nella bettola accanto di proprietà della casa preparano delle zuppe di granchi e molluschi di ogni genere, aggiunge lui. Chiede se voglio prenotare, e quando accenno di sì con la testa, il telefonino brilla nella sua mano destra e dall'altra parte del filo posso immaginare il vecchio che sorride, assegna il numero della stanza e pensa prima al menu della serata e poi a quale oppio scegliere, fra i più forti, fra quelli in grado di accogliere nel dormiveglia un uomo della mia stazza.

Quando entro il vecchio non si inchina, mi accoglie allargando le braccia e mi aiuta tempestivo a procedere in avanti notando come sono debole, come sbando leggermente fiaccato dal caldo e dall'umidità. Il fiume attraversa la città portando questa fiacca in regalo a chi già stanco prima di arrivare non può che lasciarsi andare alle ombre gentili di quest'uomo e il suo oppio. Al vecchio gli dico del tassista di quanto mi ha detto e anche del libro che ho comprato. Prima di tutto però voglio sincerarmi se è vera la storie delle zuppe di granchi e molluschi, cucinate lì vicino a due passi. Mi dice di sì e di non preoccuparmi, la conosce la storia del granchio e della tigre, adesso devo riposarmi, bere del tè e in pochi minuti verrò soddisfatto.
La stanza è diversa mi piace di più della prima questa, ha il pavimento inclinato verso il basso come se precipitasse verso la veranda oltre le tende, come se lo spazio della camera fosse pronto a sfondare il panorama del fiume puzzolente che qualche turista qui a Shanghai scambia per mare. Questa volta la scatola, il seggiolino, il panchetto dove il vecchio custodisce rattrappito i suoi segreti, sono già pronti. Lancia un bercio in direzione della scala prima di far scivolare la porta scorrevole e sento un arrabattarsi veloce, uno dei ragazzotti della casa gettarsi verso l'ingresso e scomparire in strada. Guardo il vecchio interrogandolo, mi sorride e fa cenno di allungarmi, mettere le mani dietro la testa e appoggiarmi sul cuscino.
Ti piace il mare, mi chiede. Gli rispondo di sì, mi piace molto il mare. Lui fa cenni di assenso con il capo e dice che se lo aspettava perché a molte tigri piace il mare. Faccio un' osservazione piatta così per saperne di più: come sarebbe a dire che alle tigri, o che a molte tigri piace il mare, gli chiedo. Lui dice che le tigri sono animali ambiziosi. Sobbalzo. Lui mi ferma e aggiunge che sono ambiziose le tigri e allo stesso tempo riservate. Grazie alla loro presenza imponente, non si sentono costrette ad apparire troppo spesso in pubblico, preferiscono incutere rispetto che esercitare terrore nelle giungle dove vivono.
Bussano alla porta, è il ragazzotto che si inginocchia alla soglia della stanza e allungando le braccia consegna qualcosa al vecchio. Lui prende e gira verso di me la preda, portata dal giovane inserviente. E' il menu del ristorante, ci sono delle foto dei piatti, decine di piccoli scatti fotografici, ritratti sparati dal flash al nostro palato. Scelgo una delle foto, quella del granchio bollito con gamberetti e tonno, una verdura locale. Faccio un cenno al vecchio con l'indice puntato sulla foto. Vomiterai, mi dice, mangiando e fumando. Gli dico di ordinare il tè, prima del granchio. Il ragazzo chiude la porta, mi slaccio la cintura e incomincio a stare meglio. Voglio subito una pipa della migliore qualità e poi mangerò. Il vecchio scartabella nella scatola mi guarda diritto negli occhi e dice di non preoccuparmi, quella è una zuppa comune, la possono preparare in pochi minuti e adesso è ancora presto. La stanchezza mi ha fatto dimenticare di come sia presto, di come sia ancora l'ora della cena e non della pipa. Il fumo va giù grasso quasi muschioso nella gola che lo ulula diritto nell'ulcera. Poche boccate e il mio corpo lo riconosce se ne appropria del potere e cambia il metabolismo, azzera l'adrenalina e apre la libidine del dormiveglia. Il piacere di parlare al vecchio astrologo, a questo cinese, a uno straniero, il piacere completo della conversazione.

Quel piacere della conversazione che può essere interrotto o ravvivato solo dalla faccia mongola della ragazza di turno che oltre a pulirmi le labbra dalle bave di vomito, la fronte dal sudore e i piedi dalle calze, mi guarda sapendo che io la vedo lontana, i contorni del viso muschiosi anche quelli come le boccate dalla pipa. Risponde agli sguardi senza disprezzo per questo straniero che suda e vomita, ma sta meglio di prima e ora è in grado di lasciare spazio all'immaginazione ed entrare e uscire dall'oppiato dormiveglia. Seduto su di una spiaggia può finalmentè lasciare che le onde dei suoi ricordi si abbattano sulla faccia mongola della ragazza per trasformarsi in quella magra e scavata di sua cognata seduta in tèrrazza davanti alla linea bianca della costa della California del Sud. Saint Jeremy è una delle località più belle della California, a due passi da San Francisco, l'ideale per morire di tumore al seno, almeno così credeva Jane che non aveva voluto lasciare dopo l'avvento della malattia, la costa occidentale la sua casa i figli e i cani.
La ragazza mongola era stanca, forse leggermentè oppiata anche lei, almeno quale fumatrice passiva si direbbe oggi. Moltè di queste ragazze che in Estremo Oriente lavorano in case d'oppio, massaggi, da tè, karaoke o case chiuse sono sgraziate ma sembrano assai più aggraziate delle loro controparti occidentali. Questo per via di una sicurezza, una fiducia completa nel loro mestiere che viene regalato alle giovani donne da generazioni. Gli uomini in Oriente, dall'Indocina al Giappone, quando si recano in una casa di piacere, dall'oppio al karaoke, sanno cosa vogliono e sono contenti. Da noi la scelta limitata al sesso, nella maggior parte dei piaceri, fa sì che l'uomo diventi quel maschio schiavo della sua fantasia che varcata la soglia della casa va a caccia di uno specchio fino a forzare i suoi desideri nelle camere. Una riflessione delicata questa, da evitare qui gettato nella pesantezza dell'oppio.
La California invece è leggera ed è forse un posto ideale per affrontare il dolore, almeno per noi che siamo nati sulla costa orientale degli Stati Uniti. Mi giro sul fianco destro o forse e già diventato quello sinistro, la ragazza mi guarda e mormora dicendo di non pensare a niente, invitando a mettermi a mio agio e cercare soprattutto, di non pensare a niente. Avevo quell'idea che l'oppio, i pensieri e i ricordi li facesse scivolare via, invece
ci ritroviamo a nuotare senza sforzo fra i ricordi, immersi in onde d'acqua dolce e unta come quella dei laghi più piccoli dell'Europa del Sud.
In Europa in occasione del mio matrimonio, Jane ci aveva fatti preoccupare addirittura allarmare, tutta la famiglia nel tardo pomeriggio ad aspettarla dopo che lei, esile e bionda, aveva voluto fare una lunga nuotata nelle onde gelide di Maggio sulla costa basca. Le persone vegetariane credo siano particolarmente travagliate, come le persone religiose praticanti in quanto oltre alle barriere che la natura ossia il nostro corpo e il suo invecchiamento ci mettono davanti durante gli anni, se ne impongono di nuove, in molti casi dimenticandosi l'importanza del metabolismo, della completezza e raffinatezza del nostro sangue. Così anche Jane che passava il tempo a lavorare come assistente sociale di donne in difficoltà e a coltivare verdure organiche nel suo giardino. Una persona equilibrata, la cura del corpo, la cucina macrobiotica vietnamita e il sushi giapponese, la California di oggi insomma. Poi era esploso il tumore, fatto fuori un seno se ne era mangiato il secondo davanti alla costernazione placida e dura di suo marito Mitch, mio fratello e medico di casa. Le mogli dei dottori sono come i dottori, più forti e più lucidi rispetto al dolore fisico e morale? Non ho mai saputo rispondere a questa domanda e Mitch mi ha sempre ripetuto che queste sono delle fantasie da corsia di ospedale. Vieni a trovarla invece, mi aveva detto e io sono incominciato ad andare avanti e indietro da Philly a Frisco, da Frisco a Philly, tutti i fine settimana per stare con David e John i due figli di Jane e Mitch, cresciuti a sufficienza per capire tutto e non provare quasi niente.
Non vomito più e sudo leggermente. La ragazza mi chiede di levarmi la camicia e la maglietta bianca inzuppata di sudore. Nella sua mano destra appare il solito straccio bianco di cotone che custodisce il vapore con cui mi laverà il torso e la schiena. Ci sono molti stranieri che vengono qui, le chiedo e lei mi risponde, sì moltissimi. Vecchio maledetto cartomante da quattro soldi e dalla menzogna facile e raffinata. Poi lei incomincia elencarli, soprattutto uomini d'affari dice, da Singapore e Hong Kong i più ricchi ma anche da Kuhala Lampur. La mia faccia deve essere riuscita a superare l'espressione inebetita e deve aver chiesto prima della lingua, ma i bianchi? Lei dice che sì
anche qualche bianco ma non saprebbe rispondere non saprebbe dire se un europeo è un bianco così come un boliviano o uno statunitense. Non sa dire con precisione ma una cosa è certa, sono pochi a tornare fra quelli la chiamati bianchi. Mi chiede se io sia europeo, io le chiedo perché, lei mi dice per via dei vestiti, la marca della camicia. Le faccio notare che se la camicia è francese la maglietta bianca sotto la camicia è una Jockey statunitense. Sembra sorpresa, quasi allarmata. La maglietta bianca? Tutte le magliette bianche-le magliette della salute- sono statunitensi -dice- sono americane, le si confeziona qui in Cina - sua cugina in una delle fabbriche ci lavora e da tempo - le si manda oltreoceano e poi tutto il mondo le compra. Tutti gli europei anche i malesiani usano le magliette bianche americane perché ci sono solo quelle al mondo.
Mi giro di nuovo e opprimendo il futon con lo stomaco regalo alla schiena il tocco magico del panno umido e caldo nelle mani della ragazza, non più bollente, a temperatura perfetta. Gli scuri delle finestre vanno chiusi solo una volta che le prime gocce di pioggia battono sui vetri e non prima. Così diceva ai nipoti nostro nonno e noi non lo capivamo. Mio nonno, si diceva in famiglia, era un uomo del vecchio continente. Così come la massa dei nonni della mia generazione coloro che avrebbero oggi 100 anni e più e che se in Europa non vi erano nati da lì erano arrivati in fasce pronti a far l'America. Il monito del vecchio nonno svelò il suo significato un giorno molti anni dopo. Era stato di venerdì nel tardo pomeriggio, probabilmente uno di quei quei venerdì che da Philly atterravo a Frisco alle sei per gettare il culo sulla Limo all'aeroporto pagare i soliti 50 dollari e precipitarmi a scuola dove prendere i due nipoti impacchettarli nel taxi e andare a bere al Peer davanti ad Alcatraz una limonata -loro- con lo zio - io - che racconta tante storie divertenti, svuotando piatti di ostriche neozelandesi e caraffe di vino bianco.
Uno di quei pomeriggi Jane, a cui da qualche settimana era stato già diagnosticato il tumore al seno sinistro, aveva chiamato allarmata sul cellulare di David e dalla cabina dell'ospedale aveva sollecitato - come avrebbe detto lei - o piuttosto ordinato - come aveva detto David - di precipitarsi a casa e chiudere tutti gli scuri delle finestre perché Teresa, il tifone numero sette dell'anno stava arrivando. Io - lo zio - mentre bevevo vino bianco e uccidevo ostriche non avevo dimenticato che i tifoni non toccano la California da circa 20.000 anni, dai tempi quando negli oceani regnava lo squalo Malagado, 15 metri di lunghezza, oltre 20 tonnellate di stazza e dalla peculiare tecnica di caccia per cui ricorreva alla forte dentatura spezzando la spina dorsale delle balene di cui andava ghiotto. Nelle famiglie americane però perdoniamo quasi tutto alle madri a cui viene diagnosticato un tumore maligno al seno. E allora giù di corsa con il Wagon4x4 verso casa, una casa già chiusa e oppressa dal caldo da chiudere ancora di più, renderla ermetica e azionare tutti i condizionatori d'aria, mentre dalle due dita del finestrino della macchina che corre sul Boulevard, traspira l'aria pulita e fresca della prima serata.
E poi niente, solo il cielo stellato che io e i bambini barricati in casa non possiamo ammirare. Qualche ora dopo quando la brezza californiana si è trasformata nel vento freddo della sera e i cani latrano perché hanno saltato il pranzo, Jane telefona e dice che
non era niente, di non preoccuparsi perché il tifone è passato e ora stava tornando a casa e nel freezer ci aspettava una bella zuppa di rape bianche e rosse.
Dubito che fosse stato il cancro a sviluppare in Jane quella apprensione rispetto agli eventi quotidiani che a volte si manifestava con effetti devastanti, credo invece sia da incolpare la scelta di diventare vegetariana, una vegetariana modello, sospettosa degli stessi vegetali, delle verdure di quel o quell'altro supermercato. La ricerca di alimenti puri e la voglia di far crescere dei figli sani sono richieste legittime che una volta esasperate, danno risultati catastrofici. Figli nervosi con corpi longilinei e deboli segnati in volto dallo squilibrio alimentare dalla purezza dei boli ingeriti che hanno iniziato a scavare nel midollo spinale, a favorire i globuli bianchi a discapito di quelli rossi. Chiudere gli scuri prima della pioggia o di un tifone, dopo aver ascoltato una notizia alla televisione o aver ricevuto una telefonata da un amica, serve forse a tenere i vetri delle finestre puliti, pensai in quell'occasione, ma ci priva della luce prima del buio.
Qual'è il segno zodiacale di Jane nell'astrologia cinese? Non posso rispondere perché la memoria ha cancellato la sua data di nascita, il giorno e l'anno senza il quale è impossibile determinare se si tratti di un Drago, un Cavallo, una Scimmia o una Gallina.
Ho ripreso a sudare e la ragazza del Nord passa il panno sulla fronte, intorno ai polsi, guardandomi con aria di rimprovero. Le sorrido e prima di rimanere sospeso a bocca aperta le chiedo di che segno è lei. Mi guarda con un sorriso malizioso come se le avessi infilato il dito medio dentro, tanto all'improvviso quanto con grazia.

La mattina dopo dalla terrazza della camera, mi sforzo e cerco di distendere lo sguardo imprigionato sotto le palpebre oppiate e vischiose, provo a definire i tetti della città, i caratteri lontani delle scritte al neon. E mi chiedo quale sia il segno zodiacale della ragazza del nord, la giovane mongola che la notte scorsa mi asciugava il sudore. La memoria non risponde reduce dalla sbronza di papavero.
Mi giro e vedo lontani i giornali sotto la porta, ascolto come fosse un grillo di campagna il telefono dell'albergo squillare e così il mio satellitare. Una nuova settimana inizia di lunedì in tutto il mondo anche qui a Shanghai. Mentre avanzo verso il fascio dei giornali per terra davanti alla porta della camera, mi fermo e riempo di nuovo la tazza di caffè, un caffè leggero che non riesce a eliminare l'acido del vomito e del tanfo lasciato nello stomaco dal granchio. Con le dita del piede sinistro sfilo i giornali dalla morsa della porta, li spingo verso la mia sinistra e poi con il piede destro prendo a torturare le pagine cercando di sfogliarle. Oggi è il quattro Luglio un giorno fortunato sostiene il giornale per le donne sotto il segno del Cavallo. Trenta giorni prima Mitch mi aveva telefonato chiedendomi quello che fra noi due sarebbe stato l'ultimo favore. Un pacchetto di Brown Vinegar Winnifreds.
Finito di calpestare le pagine dei giornali, posata la tazza pensai che era il momento di farsi una doccia e lavare i piedi sporchi di terrazzo e di inchiostro. Come sempre quando faccio la doccia al mattino nel miglior albergo della città dove mi trovo, scarto i saponi rotondi e piccoli adatti alla presa di un orientale e godo subito del primo getto di acqua a temperatura perfetta, a gocce grosse ricche quasi innamorate della pia schiena e del collo dove battono per sciogliere i grumi della tensione. Il sapone al profumo di noce deve essere prodotto a Londra da una sottomarca di Piers&Piers. Aumento il getto, snellisco le gocce e mi piego fino a toccare la punta dei piedi con le mani ed esporre i reni all'acqua. Cerco di fare come mi ha detto la ragazza mongola, non pensare a niente. No, non cercare di rilassarsi o distendersi, no non si deve pensare a niente.
Senza oppio, almeno per i nati sotto il segno della tigre sembra difficile non pensare a
niente, neanche a rilassarsi perché per rilassarsi bisogna pensare a come rilassarsi e di conseguenza non si riesce a non pensare a niente. Mitch un mese fa mi aveva chiesto quel pacchetto di Brown Vinegar Winnifreds con il tono di una persona che per mesi e mesi non aveva mai smesso di pensare, cercare e riprovare a pensare e fallire. Adesso tutto quello a cui pensava era a un pacchetto di Brown Vinegar Winnifreds. Aveva detto, sì sì proprio così, proprio come una barzelletta che non fa ridire e aveva aggiunto che anche se facesse ridere non ne avremmo avuto il tempo. Allora cosa fai, parti? - aveva chiesto- .
Cosa fai parti? Parto per dove? Io sono a Philly in Pensilvania, e le Brown Vinegar Winnifreds si trovano esclusivamente in Massachusetts e io devo portarle a Frisco. Con sole 11 forse 15 ore di tempo. Impossibile.

Le Brown Vinegar Winnifreds sono delle patate fritte all'aceto scuro prodotte e vendute solo nello stato del Massachusetts. Sono degli snack eccellenti forse le migliori patate fritte in busta all'aceto, quelle che anche secondo gli anglosassoni europei, hanno superato le originali e ultra centenarie Ascotts UK (Ascotts Regno Unito).
Le patate fritte all'aceto in pacchetto sono un bastione, un punto di svolta della civiltà anglosassone, pari forse solo alla peculiare abitudine di mangiare le patate fritte non in un busta, ma quelle servite espresse nei ristoranti e pub, con la maionese e non con il ketchup. Nella storia degli Stati Uniti le patate fritte all'aceto in pacchetto e la maionese al ristorante sono due linee grigie fondamentali, gli assi cartesiani con cui confrontarsi e chiedersi quanto anglosassoni, quanto britannici si voleva rimanere o quanto americani si voleva diventare. Quanto si è disposti ad accettare che tre secoli fa i coloni erano scesi dalle navi di legno per cambiare il proprio DNA e inventare una nuova razza quella che le patate fritte nei ristoranti le avrebbe mangiate con il ketchup e al sapore di burro di noccioline nei pacchetti.
Una questione non da poco. Per fare un esempio, durante i pranzi di lavoro basta dividere chi affonda le patate nel ketchup e che invece ne intinge leggermente la punta imbiancandola di maionese e sapremo con cosa abbiamo a che fare, democratici o repubblicani. E' una sorta di lotta civile e i partigiani della maionese e delle Brown Vinegar Winnifreds la stanno perdendo e non rimane loro che serrare i ranghi e le fila nella roccaforte costituita dalla 13 colonie che nel 1779 dichiararono l'indipendenza dalla Gran Bretagna, in pratica tutta la costa orientale degli Stati Uniti esclusa la Florida a sud e il Maine a Nord. E Boston, città del più british di tutti gli scrittori, Henry James, capitale del Massachuttes rappresentava l'ultima spiaggia il luogo dove esaudire l'ultimo disperato infantile affettuoso desiderio di Jane sul letto di morte, un pacchetto di Brown Vinegar Winnifreds.
Impossibile avevo risposto a Mitch perché era un compito impossibile quello di volare da Philly a Boston acchiappare un pacchetto di Winnifreds, salire di nuovo su un aereo, attraversare tutti gli States e arrivare in tempo a San Francisco. Non era impossibile aveva detto lui se farai come tutti i rappresentanti di saponette e di lucido da scarpe del paese, da Boston prendi il "red eye flight". Il red eye flight è il volo che lascia Boston verso le 11 e 30 della sera per arrivare verso le 7 e 30 in California ora locale. In questo modo gli uomini d'affari e i rappresentanti di saponette possono partecipare a un giorno di riunioni ostriche e vino bianco e ripartire la sera stessa. A prezzo però di scendere dall'aereo proveniente dalla costa orientale con gli occhi iniettati di sangue arrossiti e vischiosi come dopo una notte d'oppio. Ecco perché il volo notturno da costa a costa viene chiamato il volo dell'occhio rosso.
Il problema era che Mitch non aveva calcolato le sei o forse sette ore di tempo per la sciare l'ufficio e dal centro raggiungere l'aeroporto (escludendo qualsiasi tappa a casa per afferrare un cambio di vestiti, lasciando l'ufficio munito solo di laptop, telefonini e carte di credito) imbarcarsi e... è una perdita di tempo aveva interrotto Mitch. Prendi l'elicottero della società è un caso eccezionale non te lo rifiuteranno. Va bene questa è un ottima idea, Martine la segretaria esterna se ne occuperà, ma una volta a Boston raggiungere down town e comprare il pacchetto di patatine quanto tempo richiederà e poi di sera con il traffico dello stadio a due passi. Una perdita di tempo aveva commentato Mitch, le Winnifreds se la fortuna fosse stata dalla mia le avrei potute trovare nella Sala Rossa della United Airlines. A patto di volare con la United Airlines -avevo replicato- e a patto che alle 10 e 30 di sera -avevo aggiunto- un'ora prima del decollo vi fosse ancora un pacchetto di Winnifreds nella sala V.I.P., quante possibilità?
Poche pochissime tante quanto l'eventualità che i Red Sox vincano le World Series quest'anno. Bisognava rinunciare ad aspettare la tarda serata e invece una volta arrivati precipitarsi verso il centro di Boston per tentare di trovare al più presto le Winnifreds e portarle in California.
La cosa più semplice o meglio quella più efficace sarebbe trovare qualcuno a Boston
disposto a lasciare la scrivania e correre all'aeroporto con le patate fritte o almeno che qualcuno... ma certo qualcuno che compri le Winnifreds e le affidi a un servizio celere, un pony express che raggiunga l'aeroporto e me le consegni.
Dopo qualche secondo da quell'accordo, quel piano strategico elaborato con Mitch, il mio ufficio si trasformò in una agenzia dei servizi segreti, le due segretarie in pochi minuti parlavano con altre decine di segretarie che a loro volta premevano pulsanti di tastiere che facevano apparire sui monitor posti vuoti e pieni su voli utili per la nostra missione e quelli che al contrario che allargavano le maglie di quel poco tempo che ci rimaneva.
Ti chiamo quando arrivo a Frisco avevo detto a Mitch e lui aveva solo commentato rispondendo - bene, molto bene. Vietandomi di riflettere su quella risposta con una frustata partita dai muscoli dei polpacci presi ad agire e agire, infilarmi la giacca stringermi il nodo della cravatta, parlare e rispondere a più di tre persone alla volta, scendere le scale fino all'ascensore privato e salire verso il tetto e poi salire ancora un piano per farsi prendere a manate in volto dall'aria frullata dalle pale dell'elicottero che sembrano il cucchiaio di una massaia alle prese con un piatto di maionese per trenta invitati. L'elicottero sarà pronto in trenta secondi, quanto mi basta per controllare la valigietta con il laptop, la batteria di riserva, il satellitare e i documenti. A Boston invece le ricerche di un pony express disposto a farsi quella insolita corsa andavano lentamente, Marise la segretaria interna però mi rassicurava dicendo di non preoccuparmi e allungava insieme a uno sguardo compassionato, il Burberry per ripararsi dal vento del Massachusetts.
Le pale dell'elicottero prendono a calci l'aria e per me è tempo di partire, di volare e raggiungere un aeroporto e un altro ancora trascinato da quella che potrebbe sembrare una fuga improvvisa dall'ufficio delle tasse e invece è un tentativo disperato di far assaporare a Jane il suo passato farle sentire il sapore del sangue nelle vene per l'ultima volta.




Vivo d'Orcia, Monte Amiata
Ottobre 2002


Sono trascorsi anni e anni da quella notte passata in cielo abbracciato a quel pacchetto di Brown Vinegar Winnifreds. Anni e anni nei quali non mi sono più recato a Shanghai ne tanto meno in California o in Massachusetts. Vivo in Italia da molti anni, nel cuore della penisola in Toscana. Un cuore italiano dove, soprattutto nelle campagne, si parla tanto l'inglese quanto il dialetto locale, per via credo di noi americani e soprattutto britannici che hanno fatto delle colline toscane la loro dimora. Per questo credo mi sono accanito a imparare l'italiano, a farne la lingua dei miei sogni per infine riuscire a descrivere gli ultimi giorni della mia famiglia e della mia vecchia esistenza trascorsa negli Stati Uniti.
Giunto la mattina del giorno dopo all'aeroporto di San Francisco i miei occhi arrossiti devono aver vagato per qualche minuto puntati verso il cielo limpido di quella meravigliosa mattinata californiana. Sbandato il mio sguardo deve essere precipitato su quel taxi dove gentile l'autista di origine russa aveva accettato di accompagnarmi fino a Saint Jeremy. Il satellitare e il telefonino li devo aver spenti quando era iniziato l'atterraggio. Non volevo chiamare Mitch e non volevo sentire la voce degli altri parenti
radunati intorno al capezzale di Jane. Volevo raggiungerli e poi fare una doccia e dormire.
L'autista continuava a parlare nonostante avesse notato come fossi provato e avessi abbandonato me stesso sul sedile posteriore come ...un sacco di patate. Mi ero scusato con l'autista desideroso di scambiare quattro chiacchiere all'alba e avevo dato voce alla stanchezza che mi picchiava in quel momento. L'autista capiva, ma lui -diceva- era fatto così come tutti i russi e per di più lui era un musicista e quando gli capitava una corsa così lunga e con un cliente così insolito; le parole uscivano dalla sua bocca come un fiume in primavera dalle nevi invernali.
Un cliente così insolito? - avevo chiesto e lui guardando dritto alle mie mani mi disse sorridendo che non tutti i giorni capitava che un cliente sceso dal red eye flight proveniente da Boston saliva in macchina senza bagaglio chiedendo di andare fino a Saint Jeremy stringendo fra le due mani un pacchetto vuoto di patatine fritte Brown Vinegar Winnifreds. Ci fu una pausa di silenzio mentre ci guardavamo nel lago dell'enorme specchietto retrovisore. Non potevo essere che grato a quel volo chiamato red eye flight perché i miei occhi rossi potevano così nascondere le lacrime lievi che li affogavano, lievi come quelle incontrollate che piangiamo a volte incontrollabilmente davanti a un film di serie B, magari con protagonista un animale, un cane addestrato per esempio o Furia il cavallo del West. Non piangevo seduto in quel taxi stringendo la busta vuota delle patatine, mi lacrimavano gli occhi così come di nuovo mi successe all'arrivo una volta entrato nella camera di Jane, circondato dal silenzio che avevo provocato.
Il cielo la faceva da padrone sull'ampia terrazza che circondava la camera ovale abbracciata da un semicerchio di finestre proiettando il paziente dal letto nella sensazione di affacciarsi dal balcone al secondo piano di un rifugio di alta montagna. A semicerchio chi seduto e chi in piedi si erano disposti anche il resto dei parenti delle due famiglie, la mia e quella di Jane che riposava nel letto di un biancore quasi troppo candido, troppo ricercato. La stanza mi sembrava immensa e i primi passi non mi sono bastati a mettere a
fuoco il volto di Jane prima e poi cercare i suoi occhi attirarne lo sguardo e finalmente incontrarci. Dai miei occhi lo sguardo della donna qualche secondo dopo sarebbe sceso verso le mie mani giunte con stretto in mezzo il pacchetto vuoto delle Brown Winegar Winnifreds. Dai colori del pacchetto argentato sarebbe ritornata ai miei occhi, non prima di posarsi sulle mie labbra e vedere come alla lente di un microscopio il sale, l'aceto lasciato sui baffi dalle patatine che avevo mangiato in aereo. Il mio sguardo non chiedeva una assoluzione, era stata una debolezza, le avevo mangiate così, come dire, senza pensarci e allo stesso tempo consapevolmente, appunto come avviene quando commettiamo una debolezza. Jane, come dicono ancora oggi i suoi figli, era morta sorridendo.




Malcom Mc Knight risiede in Italia e ha pubblicato racconti e traduzioni con lo pseudonimo italiano di Michele Camandona.


        
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