MENTA

Gabriele Bianchi





Il casino è venuto fuori perché quella volta ti ho detto che uno, quando cade in acqua, non importa se sa nuotare: o nuota o annega. Voleva essere solo una citazione di Maugham, e invece è diventata il trait d'union fra un'orgia singhiozzante di virgole e una gran varietà di subordinate con le quali sei riuscita a farcire un sms. Ci ho anche provato a comprendere quello che realmente mi volevi dire, ma al terzo tentativo ho colpevolmente rinunciato, dicendo che allora forse ero io che non capivo o che non volevo capire. Quindi: tanti saluti e stammi bene; è meglio così.


Silenzio per un po', nessun segno di vita.

Poi ieri mattina leggo il giornale e in terza pagina ci trovo questo articolo su Fuentes e Marquez, l'autobiografia e quelle cose lì, e arriva la folgorazione…

«Preferisco discutere – dice sorridendo - di ciò che ho già fatto e non di ciò che farò…». Però, davanti a un dissetante bicchiere di menta in un grazioso hotel della rue des Saints-Pères a Parigi, il celebre romanziere non nasconde il suo forte interesse per il tema dell'autobiografia.

Fuentes ha già in mente la scena conclusiva delle sue memorie: «Il ricordo è ancora vivo come se fosse ieri. Ho ventun'anni e, in una calda sera d'estate, ceno con alcuni amici messicani sulla terrazza di un hotel di Zurigo. Vicino al mio tavolo, tra le luci di splendide lanterne, vedo di spalle un uomo molto elegante, vestito di bianco, in compagnia di tre signore. All'improvviso il misterioso personaggio si gira e riconosco il volto di Thomas Mann. In quel preciso istante ho pensato che avrei voluto diventare uno scrittore…»


La folgorazione è che inizierò a scrivere la mia autobiografia! Sì, basta con raccontini (carini, per carità) e illeggibili abbozzi di romanzi; lo farò a settembre, settembre è la stagione ideale per iniziare qualunque cosa, sì, a settembre andrà benissimo. Però anche ottobre non è male, col fresco potrebbe anche andare meglio; certo, il gelo di dicembre mi costringerà a rimanere a casa a scrivere. Meglio gennaio, via, anno nuovo vita nuova: si dice così, no?…

Già lo so che non lo farò mai.

Forse perché non ho mai bevuto un bicchiere di menta in un grazioso hotel di rue des Saints-Pères, non ho amici messicani con cui pranzare sulla terrazza di un hotel di Zurigo – che si affaccia, fammi pensare, sullo Zürichsee (con due “e” ben pronunciate, devi farle sentire, come un ululato) – e soprattutto, se vedo un tizio vestito di bianco con tre donne, l'ultima cosa che vado a pensare è che sia Thomas Mann: “Toh, guarda chi c'è sulla terrazza di un hotel di Zurigo, a un metro dal tavolo in cui degusto prelibatezze svizzere con degli amiconi messicani: c'è Thomas Mann! Che culo!” Dai, non è credibile! Ma dimmi un po', Chiara: che faccia ha Thomas Mann? Tu lo sai? Io non lo so, “No lo sé, vayanse usted a la mierda”, aveva risposto snervato ai giornalisti il vecchio scrittore spagnolo Paco Umbral; almeno così me l'aveva raccontata Pablo sul bus per Marrakech, e come l'ho sentita la racconto.


Uno scrittore mi piace immaginarlo senza volto, anche perché poi il distacco tra il reale e l'immaginario può essere devastante. Pensa a Julio, l'unico scrittore “vero” che conosciamo: leggi i suoi libri, te lo vedi smilzo e consumato perché sta sempre chino a leggere sui libri oppure sul computer a scrivere; e invece poi, quando lo incontri, il suo corpo è così grande perché è pieno di storie che poi lui monta e rismonta in un racconto di un centinaio di parole, e anche la sua testa è grande perché deve contenere tutto quel che pensa. Quindi, casomai diventassi anch'io uno scrittore, vorrei rimanere in incognito il più a lungo possibile, fino all'inevitabile incontro con un giovane Carlos Fuentes, che mi vedrà avvinghiato a tre donne nude mentre facciamo cose inenarrabili, e solo a quel punto lui sarà autorizzato a dire: “Cavolo, anch'io voglio fare lo scrittore!”.


L'ambizione di raccontare tutto quello che si è visto quando si è visto ben poco del mondo: questa è la verità (e in fin dei conti di tratta solo di invidia, ma di un tipo costruttivo, penso). E ora come ora che, al più, comincio a vedere qualcosa di me stesso, l'immagine è ancora troppo sbiadita per dire cosa c'è sopra, come una polaroid appena fatta: ci sono io in piedi mi sembra, mi riconosco appena, e poi basta, il resto è indefinito. Più che la paura di diventare uno scrittore anonimo, è la prospettiva di un'intera vita anonima che mi spaventa, in cui il quotidiano si mischi al reale, nella speranza (vana) che qualcosa cambi di colpo, così da non richiedere né troppa fatica né cambiamenti profondi, ma solo una botta e via, senza tante preoccupazioni.

E allora, visto che è la paura a bloccarmi, tanto meglio ricorrere all'invenzione. Così, nella mia Breve autobiografia di una vita anonima , ci metterò pure un originale capitoletto sulle occasioni perse, e in quello vivrai anche tu, Chiara: mi inventerò una storia complicata, fatta di intrighi, di fughe all'estero e di incontri segreti, con baci lievi all'ombra di monumenti che non ho mai visto e lunghe promenades a bordo Senna, sperando poi di ritrovare la rue des Saint-Pères dove c'è il mio grazioso albergo, dove spero tu vorrai seguirmi per darmi la chance di gustare finalmente un fresco bicchiere di menta.

Dai, non ridere, non lo dico scherzando, c'è del vero in fondo in fondo…

Jacopo


P.S.: su internet ho guardato lo stradario di Parigi e, pensa, quella strada non esiste nemmeno: è perfetta per noi, visto che non esistiamo e non esisteremo mai insieme.







Gabriele Bianchi

Per contattare l'autore Gabriele Bianchi scrivete a ga.bianchi@libero.it


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