LA MACCHIA SCURA DEL GREMBO

- Brano tratto dal romanzo Agostino -


Alberto Moravia

 



(...) Sono io, Pisa," disse Agostino con voce bassa e intimidita. "Vengo," rispose il Tortima, poiché era proprio lui.

Il Tortima discese e gli si presentò con un viso tutto congestionato dal vino bevuto, masticando ancora il boccone. "Sono venuto per andare a quella villa," disse Agostino, "ho qui i soldi... per tutti e due."

Il Tortima inghiottì con sforzo e lo guardò. "Quella villa... in fondo alla piazza," ripeté Agostino, "dove ci sono le donne."

"Ah," fece il Tortima comprendendo finalmente, "ci hai ripensato... bravo Pisa... ora vengo subito con te." Egli corse via e Agostino rimase nella strada, a camminare in su e in giù, gli occhi rivolti alla finestra del Tortima. Costui lo fece aspettare un pezzo e, quando si ripresentò, Agostino quasi non lo riconobbe. L'aveva sempre visto ragazzotto in pantaloni rimboccati, oppure seminudo sulla spiaggia e in mare. Ora gli era davanti una specie di giovane operaio nei vestiti scuri della festa, pantaloni lunghi, giubba, colletto, cravatta. Pareva più vecchio, anche per via della pomata con cui aveva reso lisci e compatti i suoi capelli di solito arruffati; e nei panni lindi e comuni rivelava per la prima volta agli occhi di Agostino una sua qualità melensamente cittadina.

"Ora andiamo," disse il Tortima avviandosi.

"Ma è l'ora?" domandò Agostino correndogli a fianco e imboccando con lui il ponte di ferro.

"È sempre l'ora, lì," rispose il Tortima con un riso.

Presero per strade diverse da quelle che Agostino aveva percorso venendo. La piazza non era molto lontana, appena due strade più in là. "Ma tu ci sei già stato?" domandò Agostino.

"In quello lì, no."

Il Tortima non pareva aver fretta e il suo passo era quello consueto. "Ora hanno appena finito di mangiare e non ci sarà nessuno," spiegò, "è il momento buono."

"Perché?" domandò Agostino.

"Oh bella, perché così potremo scegliere a nostro agio quella che più ci piace."

"Ma quante sono?"

"Eh, saranno quattro o cinque." Agostino avrebbe voluto domandare se erano belle ma si trattenne. "Ma come si fa?" interrogò. Il Tortima gliel'aveva già detto; ma permanendo in lui quel senso invincibile di irrealtà, provava il bisogno di sentirselo riconfermare.

"Come si fa?" disse il Tortima, "è semplicissimo... si va dentro... poi loro si presentano... si dice: buonasera signorine... si finge di chiacchierare un poco, tanto per avere il tempo di guardarle ben bene... poi se ne sceglie una... è la prima volta eh?"

"Veramente..." incominciò Agostino un po' vergognoso.

"Va' là," disse il Tortima con brutalità, "non vorrai mica dirmi che non è la prima volta, queste frottole raccontale agli altri, non a me... ma non temere," soggiunse con un accento curioso.

"Come sarebbe a dire?"

"Non temere, dico... la donna fa tutto lei... lascia fare a lei..."

Agostino non disse nulla. Quest'immagine evocata dal Tortima, della donna che l'avrebbe introdotto all'amore, gli piaceva e gli riusciva dolce e quasi materna. Tuttavia, nonostante queste informazioni, sussisteva in lui l'incredulità. "Ma... ma... mi vorranno a me," domandò fermandosi e dando un'occhiata alle sue gambe nude.

La domanda parve per un momento imbarazzare il Tortima. "Ora andiamo," disse con una falsa disinvoltura, "poi una volta lì, si troverà il modo di farti passare..."

Da una straducola sbucarono nella piazza. Tutta la piazza era al buio salvo un angolo dove un fanale illuminava della sua luce tranquilla un gran tratto di terreno sabbioso e ineguale. Nel cielo, proprio, si sarebbe detto, al di sopra della piazza, una falce di luna pendeva, rossa e fumosa, tagliata in due da un sottile filamento di nebbia. Dove l'oscurità era più fitta, Agostino scopri la villa riconoscendola dalle persiane bianche. Erano tutte serrate e non un filo di luce ne trapelava. Il Tortima si diresse con sicurezza verso la villa. Ma come furono nel mezzo della piazza, sotto la falce della luna, disse ad Agostino: "Dammi i soldi.. è meglio che li tenga io."

"Ma io," incominciò Agostino che non si fidava del Tortima. "Vuoi darmeli sì o no," insistette il Tortima brutalmente. Agostino, vergognoso per tutti quegli spiccioli, ubbidì e vuotò le tasche nelle mani del compagno. "Ora chiudi la bocca e seguimi," disse il Tortima.

Avvicinandosi alla villa, le tenebre si schiarirono, apparvero i due pilastri del cancello, il viale e il portone sotto la pensilina. Il cancello era accostato, il Tortima lo spinse ed entrò nel giardino. Anche la porta era socchiusa, il Tortima sali i gradini e dopo aver fatto ad Agostino un cenno di silenzio, entrò. Si rivelò agli occhi incuriositi di Agostino un breve vestibolo affatto nudo in fondo al quale una porta a due battenti, dai vetri rossi e azzurri, splendeva di luce chiara. Il loro ingresso aveva scatenato una suoneria scampanellante, quasi subito un'ombra massiccia, come di persona seduta che si alzi, si profilò dietro i vetri e una donna comparve tra i due battenti. Era una specie di cameriera, corpulenta e matura, con un vasto petto vestito di nero e un grembiale bianco legato alla cintola. Comparve avanzando il ventre, le braccia penzolanti, il viso gonfio, immusonito e sospettoso sotto la sporgenza dei capelli.

"Siamo qui," disse il Tortima. Dalla voce e dall'atteggiamento, Agostino comprese che anche il Tortima, di solito così spavaldo, era intimidito.

La donna li scrutò un momento senza benevolenza, quindi, in silenzio, accennò al Tortima come per invitarlo a passare. Il Tortima sorrise rinfrancato e si slanciò verso la porta a vetri. Agostino fece per seguirlo. "Tu no," disse la donna fermandolo perla spalla.

"Come," domandò Agostino perdendo ad un tratto la timidezza, "lui sì e io no?"

"Veramente nessuno dei due," dica la donna guardandolo fisso, "ma passi per lui... tu, no."

"Sei troppo piccolo, Pisa," disse il Tortima beffardo. E spinta la porta a battenti scomparve. La sua ombra tozza si disegnò per un momento dietro i vetri, quindi svanì in quella luce splendente.

"Ma io," insistette Agostino esasperato dal tradimento del Tortima.

"Via ragazzo... torna a casa," disse la donna. Ella andò alla porta, la spalancò, e si trovò faccia a faccia con due uomini che entravano. "Buona sera... buona sera," disse il primo di quelli, un uomo dalla faccia rossa e gioviale. "Siamo intesi, eh" soggiunse rivolto al compagno, un biondo smilzo e pallido, "se la Pina è libera, la prendo io... non facciamo scherzi."

"Siamo intesi," disse quello.

"E questo qui che vuole?" domandò l'uomo gioviale alla donna, indicando Agostino.

"Voleva entrare," disse la donna. Un sorriso adulatorio le si disegnò sulle labbra.

"Volevi entrare," gridò l'uomo rivolto ad Agostino, "volevi entrare? alla tua età a quest'ora si sta a casa... a casa... a casa," gridò agitando le braccia.

"È quello che gli ho detto," rispose la donna.

"E se lo facessimo entrare?" osservò il biondo, "io alla sua età facevo già l'amore con la serva."

"Macché... a casa... a casa!" gridò l'uomo infatuato. "A casa." Seguito dal biondo, si ingolfò oltre la porta i cui battenti sbatterono con violenza. Agostino, senza neppur rendersi conto di come fosse avvenuto, si ritrovò di fuori, nel giardino.

Così tutto era finito male, pensò, il Tortima l'aveva tradito prendendogli i quattrini e lui era stato scacciato. Non sapendo che fare, retrocedette sul viale guardando alla porta socchiusa, alla pensilina, alla facciata che la sormontava con tutte le sue bianche persiane serrate. Provava un senso bruciante di disappunto, soprattutto per via di quei due che l'avevano trattato a quel modo, come un bambino. Gli strilli dell'uomo gioviale, la benevolenza fredda e sperimentale del biondo, gli parevano non meno umilianti della smorta e inespressiva ostilità della guardiana. Sempre retrocedendo, guardandosi intorno e spiando gli alberi e i cespugli del buio giardino, si avviò verso il cancello. Ma qui osservò che tutta una parte del giardino, sul lato sinistro della villa, appariva illuminata da una luce forte che sembrava partire da una finestra aperta del pianterreno. Gli venne in mente che attraverso quella finestra avrebbe potuto almeno gettare uno sguardo nella villa; e procurando di far meno rumore che fosse possibile, si avvicinò alla luce.

Come aveva pensato era una finestra a pianterreno, spalancata. Il davanzale non era alto; pian piano, tenendosi all'angolo, dove aveva minore probabilità di essere veduto, egli si accostò e spinse dentro gli sguardi.

La stanza era piccola e fortemente illuminata. Le pareti erano tappezzate di una vistosa carta a grossi fiorami verdi e neri. Di fronte alla finestra, una tenda rossa, assicurata con anelli di legno ad una stecca di ottone, pareva nascondere una porta. Non c'erano mobili, qualcuno sedeva in un canto, dalla parte della finestra, se ne vedevano soltanto i piedi allungati fin quasi in mezzo alla stanza, accavallati, calzati di scarpe gialle, piedi, come pensò Agostino, di un uomo sdraiato comodamente in una poltrona. Agostino deluso stava per ritirarsi quando la tenda si sollevò e una donna comparve.

Ella indossava una ampia veste di velo azzurrino che rammentò ad Agostino le camicie materne. La veste, trasparente, giungeva fino ai piedi; in quel velo, le membra della donna, viste come in un'acqua marina, si disegnavano pallide e lunghe, quasi fluttuanti in curve indolenti intorno la macchia scura del grembo. La veste, per una bizzarria che colpì Agostino, si allargava sul petto in una scollatura ovale che le giungeva fino alla cintola e i seni, che aveva tondi e gonfi, ne sporgevano quasi con difficoltà, nudi e serrati l'uno contro l'altro; poi la veste, che li circondava con molte pieghe fitte, si ricongiungeva al collo. Ella aveva i capelli disfatti sulle spalle, ondosi e bruni, e un largo viso piatto e pallido, di una puerilità viziata, con un'espressione capricciosa negli occhi stanchi e nella bocca dalle labbra arricciate e dipinte. Le mani dietro la schiena, il petto in fuori, ella uscì dalla tenda e per un lungo momento, in atteggiamento di attesa, stette ritta e immobile, senza parlare. Pareva guardare l'angolo in cui stava l'uomo i cui piedi si scorgevano accavallati nel mezzo della stanza. Quindi, in silenzio come era venuta, voltò la schiena, sollevò la tenda e scomparve. Quasi subito i piedi dell'uomo si ritirarono dalla vista di Agostino; ci fu come il rumore di qualcuno che si alzasse; Agostino impaurito si ritirò dalla finestra.

Tornò sul viale, spinse il cancello e uscì sulla piazza. Adesso provava un senso forte di delusione per il fallimento di questo suo tentativo; e al tempo stesso quasi un terrore per quel che l'aspettava nei giorni avvenire. Nulla era accaduto, pensava, egli non aveva potuto possedere alcuna donna, il Tortima gli aveva portato via i soldi e il giorno dopo sarebbero ricominciate le beffe dei ragazzi e il tormento impuro dei rapporti con sua madre. Era vero che aveva veduto per un momento la donna desiderata, ritta nella sua veste di velo, il petto nudo; ma intuiva oscuramente che questa immagine insufficiente e ambigua sarebbe stata la sola ad accompagnarlo nel ricordo per lunghi anni avvenire. Erano infatti anni e anni che si frapponevano, vuoti e infelici, tra lui e quell'esperienza liberatrice. Non prima che avesse avuto l'età del Tortima, pensava, avrebbe potuto sciogliersi una volta per sempre dall'opaco impaccio di questa sua sgraziata età di transizione. Ma intanto bisognava continuare a vivere nel solito modo; e a questo pensiero sentiva tutto il suo animo ribellarsi, come per il senso amaro di un impossibilità definitiva.




(Brano tratto dal romanzo Agostino , Bompiani editori, Milano, 1945.)








Alberto Moravia



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