SENZA FACCIA
Junot Díaz
La mattina si tira la maschera e schiaccia il pugno nel palmo della mano. Si dirige verso l'albero di guanabana e inizia a fare flessioni - adesso arriva quasi cinquanta- poi tira su la macchina per sbucciare i grani del caffè e, a mo' di peso, la porta verso il torace quaranta volte. Gli si gonfiano i muscoli delle braccia, del petto e del collo mentre attorno alle tempie la pelle si stira fino quasi a spaccarsi. Niente paura! È imbattibile e lascia cadere la sgusciatrice esclamando un lungo, entusiasta Sìiii! Sa che dovrebbe continuare ma la nebbia del mattino copre tutto e così si ferma un po' ad ascoltare i galli. Poi sente i rumori della famiglia che si sveglia. Sbrigati, raccomanda a sè stesso. Corre oltre la terra di suo tio e con un'occhiata calcola esattamente quanti chicchi rossi, neri, verdi stanno maturando sulle piante di quell'appezzamento. Sempre di corsa oltrepassa il tubo dell'acqua e il pascolo, e poi esclamando VOLA spicca un salto verso l'alto e la sua ombra sfiora come una lama le cime degli alberi. Da lassù riesce a vedere il recinto attorno a casa sua e la mamma che lava il fratellino strofinandogli la faccia e i piedi.
I negozianti buttano acqua sulla strada per tenere giù la polvere e lui li supera di corsa. Senza Faccia! Gli urla qualcuno ma lui non ha tempo per loro. Prima va a controllare se per terra, vicino ai vari bar del paese, gli ubriachi abbiano lasciato cadere qualche moneta. Può capitare però di trovare degli ubriachi che dormono nei vicoli, quindi bisogna muoversi silenziosamente. Salta per evitare le pozze di piscio e di vomito raggrinzando il naso per la puzza. Oggi, tra le erbe alte trova un numero di monete sufficiente a comprarsi una lattina di coca cola o una ciambellina di mais. Le monete se le stringe forte nelle mani e sotto la maschera sorride.
Nella parte più calda della giornata Lou lo lascia entrare in chiesa, edificio dal tetto pericolante e dall'impianto elettrico messo male, e gli garantisce un cafè con leche e due ore di lettura e scrittura. I libri, la penna e la carta provengono dalla scuola lì vicino e sono stati donati dall'insegnante. Padre Lou ha mani piccole, ci vede male ed è già andato in Canada due volte a farsi operare. Lou gli insegna le frasi in inglese che gli serviranno una volta che sarà andato al Nord. I'm hungry. Where is the bathroom? I come from the Dominican Republic. Don't be scared.
Dopo le lezioni va a comprarsi i Chiclets e poi lasciandosi la chiesa alle spalle si avvicina alla casa di fronte che ha un cancello, degli aranci e un vialetto lastricato. Dentro, da qualche parte, si sente una televisione. Sta lì ad aspettare la bambina che stavolta però non esce. Di solito invece faceva capolino e gli dava una sbirciata. Con le mani gli faceva il rettangolo della televisione. Entrambi parlavano con le mani.
Vuoi venire a guardarla?
Allora lui scuoteva la testa e metteva le mani avanti. In casas ajenas non c'è mai stato. No, mi piace stare fuori.
Invece a me piace stare dove fa fresco .
Stava lì fino a quando la donna delle pulizie, che abitava anche lei in montagna, gli urlava dalla cucina. Stai lontano da qui! Ma non ti vergogni? Al che lui afferrava le sbarre del cancello e le allargava un po' grugnendo, tanto per farle capire con chi avesse a che fare.
Ogni settimana Padre Lou gli lascia comprare un fumetto. Il prete lo porta in libreria e rimane in strada, facendogli la guardia mentre lui legge attentamente i titoli sugli scaffali.
Oggi compra Kaliman, che non si fa mettere i piedi sulla testa da nessuno e porta un turbante. Se avesse la faccia coperta sarebbe perfetto.
Scruta dagli angoli, lontano dalle persone, in cerca di opportunità. Ha dalla sua il potere dell'INVISIBILITÀ e nessuno lo può toccare. Perfino suo tìo , quello che fa il guardiano della diga, gli passa accanto e non dice niente. I cani però lo fiutano e un paio gli leccano i piedi. Lui li spinge via perché così facendo potrebbero innavvertitamente rivelare la sua postazione ai nemici. Tante persone gioirebbero della sua caduta. Tante persone vorrebbero che si levasse dai piedi.
Un viejo ha bisogno di aiuto a spingere il carrello. Bisogna aiutare il gatto ad attraversare la strada.
Hey, Senza Faccia, gli grida un automobilista. Che diavolo fai? Non è che ora mangi i gatti, vero?
E poi si metterà a mangiare i bambini, aggiunge un altro.
Lascia stare quel gatto, non è tuo.
Scappa via. Si sta facendo tardi, i negozi chiudono e perfino le moto, che di solito se ne stanno negli angoli, si sono disperse lasciando macchie di olio e solchi nella polvere.
L'imboscata arriva mentre sta cercando di decidere se comprare un'altra ciambellina di mais o no. Quattro ragazzi lo attaccano e le monete gli scappano di mano come se fossero dei grilli. Il grassone con un sopracciglio solo si è piazzato sul suo petto e gli sta facendo perdere il respiro, gli altri lo circondano in piedi e lui ha paura.
Adesso ti facciamo diventare una femminuccia, gli dice il grassone, e sente le parole rimbombare attraverso tutti i rotoli di grasso. Vorrebbe respirare ma si sente i polmoni stretti come tasche.
Hai mai fatto la femminuccia prima?
Scommettiamo che non l'ha mai fatto. Guarda che non è molto divertente.
Allora esclama FORZA e fa schizzare via il grassone, che se la dà a gambe immediatamente seguito dai suoi compari. Meglio se lo lasciate stare, dice la proprietaria della parruccheria, ma ormai, da quando suo marito l'ha lasciata per una di Haiti, nessuno le dà più retta. Ce la fa comunque a tornare in chiesa, s'intrufola dentro e si nasconde. I ragazzi lanciano pietre contro la porta, ma Eliseo, il giardiniere, gli dice, Ragazzi, preparatevi per l'inferno, e con il machete si mette a colpire il marciapiedi. Fuori si fa un silenzio da tomba. Si siede sotto uno dei banchi della chiesa e aspetta che si faccia notte, poi potrà tornarsene a dormire a casa sua, cioè nel casotto utilizzato per affumicare. Strofina il sangue che ha sui pantaloncini, sputa sul taglio per pulirlo.
Tutto a posto? Gli chiede Padre Lou.
Mi sento spompato.
Padre Lou si siede. Con i suoi pantaloncini e la guayabera ssomiglia ad uno di quei negozianti cubani. Si strofina le mani. Quando penso a te te, ti penso al nord. Sto cercando di immaginarti nella neve.
La neve non mi darà fastidio.
La neve dà fastidio a tutti.
Ma lì alla gente piace fare la lotta?
Padre Lou si mette a ridere. Quasi quanto piace a noi. Eccetto che lì nessuno si becca una coltellata, non più.
Allora se ne esce da sotto il banco e fa vedere al prete il gomito. Il prete sospira. Dai, andiamo a disinfettarlo.
Basta che non usi quella roba rossa.
Non usiamo più quella roba rossa. Adesso abbiamo quella bianca e non fa male.
Ci crederò solo dopo che me l'hai messa.
Nessuno gliel'ha mai nascosto. Non smettono mai di raccontargli la storia, come se temessero che potrebbe dimenticarla.
Alcune notti, apre gli occhi e vede che è tornato il maiale. Sempre gigantesco e pallido. Ha gli zoccoli sul suo petto e lo tiene bloccato. Nell'alito dell'animale si sente ancora l'odore di banane andate a male. Con i suoi denti smussati gli strappa una strisciolina di pelle sotto l'occhio e il muscolo ora esposto è squisito, come la lechosa . Lui gira la faccia cercando di salvarne almeno metà; in alcuni sogni riesce a salvare la parte destra, in altri la sinistra, ma negli incubi più tremendi ha la testa immobilizzata, la bocca dell'animale è una buca che risucchia tutto. Si sveglia urlando, il sangue gli forma trecce lungo il collo; si è morso la lingua e si è gonfiata. Non riesce a riaddormentarsi fino a quando non si autoammonisce a comportarsi da uomo.
Padre Lou prende in prestito una moto Honda e i due si avviano la mattina presto. Quando fanno la curva, lui si piega e Lou gli dice. Non piegarti troppo. Ci fai cadere.
Non ci succederà niente! Urla il ragazzo.
La strada per Ocoa è deserta, le fincas sono secche e molte delle fattorie sono state abbandonate. In una piccola radura vede un cavallo nero tutto solo. Sta mangiando un cespuglio e sulla schiena ha una gazza.
La clinica è piena di gente che sanguina ma un infermiera dai capelli tinti li porta direttamente dal dottore.
Come stiamo oggi? Chiede il dottore.
Sto bene, dice lui. Quand' è che mi fate partire?
Il medico sorride e gli fa togliere la maschera poi gli massaggia la faccia con i pollici. Nella bocca il medico ha del cibo senza colore. Hai problemi a inghiottire?
No.
A respirare?
No.
Hai avuto qualche mal di testa? Ti fa mai male la gola? Ti gira mai la testa?
Mai.
Il medico gli controlla gli occhi, le orecchie e gli ausculta i polmoni. Tutto sembra a posto, Lou.
Sono contento della notizia. Mi puoi dire all'incirca quando?
Beh, risponde il medico. Vedrai che alla fine ce la faremo a mandarlo.
Padre Lou sorride e gli mette una mano sulla spalla. Che cosa ne pensi?
Annuisce ma non sa cosa dovrebbe pensarne. Ha paura delle operazioni e teme che non cambierà nulla, che come le santeras ingaggiate da sua madre che avevano invocato tutti gli spiriti nell'elenco celeste, anche i medici canadesi falliranno. La stanza dove si trova è calda, ha poca luce ed è polverosa, suda e vorrebbe potersene stare sotto il tavolo, così nessuno lo vede. Nella camera accanto c'è un bambino a cui non si è completamente chiusa la fontanella, una bambina senza braccia e un neonato dalla faccia enorme e gonfia con gli occhi che sgocciolano pus.
Il bambino gli dice, Puoi vedermi il cervello se vuoi. Di sopra c'è solo una membrana ed è trasparente.
La mattina si sveglia pieno di dolori. Gli ha fatto male il dottore, la lotta fuori dalla chiesa. Esce e con la testa che gli gira si appoggia all'albero di guanabana. Il suo fratellino Pesao è sveglio, sta lanciando fagioli alle galline, con il corpo piegato e perfetto. Quando strofina la testa del fratellino sente che le piaghe sono guarite e si sono formate le croste gialle. Avrebbe una gran voglia di levargliele ma l'ultima volta che l'ha fatto è zampillato il sangue e Pesao si è messo a urlare.
Dove sei stato? gli chiede Pesao.
Sono stato a combattere il male.
Anch'io lo voglio fare.
Guarda che non ti piacerà, gli dice.
Pesao scruta la sua faccia, ridacchia e butta un'altra pietruzza alle galline che si disperdono indignate.
Guarda il sole bruciare la nebbiolina dai campi e, nonostante il caldo, i fagioli sono rigogliosi, verdi e flessibili nella brezza. La madre lo vede ritornare dalla casupola lì vicino. Va a prendergli la maschera.
È stanco e dolorante ma guarda verso la vallata, e la curva che la terra fa per nascondersi gli ricorda del modo in cui Lou nasconde le tessere del domino quando giocano. Vattene, lei gli dice. Prima che esca tuo padre.
Sa quello che succede quando esce suo padre. Si mette la maschera e sente smuoversi le pulci annidate nella stoffa. Quando la madre gli volta la schiena, si nasconde, mimetizzandosi tra le erbacce.Guarda la madre che tiene teneramente tra le mani la testa di Pesao sotto il rubinetto e quando alla fine arriva il getto violento dell'acqua Pesao grida come quando riceve un regalo o si avvera un desiderio.
Solo allora si mette a correre verso il paese, senza mai scivolare o inciampare. Non c'è nessuno più veloce di lui.
(Racconto tratto dalla raccolta: Drown, Riverhead Books, New York, 1996. Tradizione a cura di Pina Piccolo.)
Junot Díaz Nato nel 1968 nella Repubblica Dominicana ma trasferitosi a 6 anni nel New Jersey, è l'acclamato autore del romanzo The Brief, Wondrous Life of Oscar Wau , vincitore nel 2008 del Pulitzer Prize. Il racconto "No Face" appartiene alla raccolta Drown , pubblicata nel 1996 e rilanciata dopo il successo del romanzo. Dice di lui il critico del New York Times Michiko Kakutani: "in una specie di Spanglish di strada che può essere facilmente inalato perfino dal più ostinato lettore monolingue, con un sacco di termini destinati all'abbaglio, frasi che veicolano il linguaggio del corpo e numerosissime note a piè di pagina come pure un gran numero di a parte nello stile di David Foster Wallace, l'autore riesce ad evocare con una naturalezza apparentemente priva di sforzo i due mondi abitati dai suoi personaggi: la Repubblica Dominicana, madrepatria infestata dai fantasmi che dà forma agli incubi e ai sogni degli emigrati e l'America (ossia il New Jersey), la terra della libertà e della speranza e delle possiblità non così lucenti verso cui sono scappati nel corso della grande diaspora dominicana".
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