PAUL CELAN, IL MORIBONDO INNAMORATO
Carlos Ortega
Il grande poeta ebreo che scrisse nella lingua dei suoi carnefici, riuscì a scappare dalla persecuzione nazista, ma la sua vita fu dannata dall'esperienza del genocidio e per il senso di colpa a cui era sopravvissuto.
Dell'olocausto ci sono state vittime mortali e vittime moribonde. La cifra delle vittime dello sterminio degli ebrei da parte dei nazisti in Europa è conosciuta, ma la vera grandezza dell'olocausto è completamente visibile solo se si tiene conto anche dei sopravvissuti a tale crimine. La tradizione ebrea ha coniato un vocabolo per riferirsi a loro: sheerit, il rimanente, colui che è rimasto. Questa carica residua ha, nel vocabolo ebreo, una sfumatura di abbandono: colui che è rimasto, ma colui che è rimasto senza niente e nessuno. Il nucleo di questo rimanente lo costituirono i circa 50.000 ebrei liberati dai campi di concentramento dispersi tra Austria e Germania nell'aprile e nel maggio del 1945. A loro dovremmo aggiungerne altri centomila che erano riusciti a sfuggire per un soffio dalle tenaglie assassine di Hitler, ma che diventarono comunque orfani, vagando per le fredde steppe dell'Est europeo o negli squallidi ambienti delle capitali dove si nascondevano prima di poter raggiungere un luogo più sicuro nel mondo.
Il poeta Paul Celan fu uno di questi. Era riuscito a scappare alle retate fatte dai soldati tedeschi tutti i fine settimana del 1942 nella sua città natale di Czernowitz, allora in Romania e oggi in Ucraina. La sua fidanzata, Ruth Lackner, lo aveva accompagnato fino ad un rifugio fuori città un giorno di giugno in cui i suoi genitori, che non avevano voluto seguirlo nel suo nascondiglio, stanchi della mancanza di dignità a cui li sottoponeva l'occupazione tedesca, sarebbero stati catturati. Suo padre sarebbe morto di tifo qualche mese dopo nel campo di concentramento di Transnistria, dove erano stati deportati, sua madre più tardi, assassinata con uno sparo alla nuca sempre nello stesso campo. Celan avrebbe vissuto per sempre come colui che rimase.
La distruzione della solitudine e della perdita, il chiodo della colpa, il delirio per la violenza terminale e l'umiliazione subita, spezzarono la capacità dei sopravvissuti all'Olocausto di vivere, come si spezza un albero, con il particolare schiocco che lo spezza dalla radice principale. Molti si arresero a una disgrazia così estrema e si suicidarono nei primi anni dopo la fine della guerra. Celan, tuttavia, potette per un certo tempo lottare dentro di sé per non inaridirsi e resistette alla propria distruzione. Egli rappresenta un esempio in più, insieme agli Horowitz, Shmueli, Appelfeld e tanti altri di Czernowitz e di molto altri luoghi che sopravvissero. Ma anche se non è un modello, si può comunque rastrellare la sua resistenza, perché abita nei suoi poemi scritti nella lingua dei suoi aguzzini, una lingua che curò con estrema delicatezza come se fosse cristallo prezioso, fragile e splendente, capace di rivelare con fedeltà il complesso spettro della sua esistenza e della sua anima.
La lingua tedesca era, infatti, lo strumento che rendeva possibile lo spessore degli strati sentimentali e la polisemia che Celan cercava di apportare alla sua poesia, perché era una lingua agitata nell'emozione di ciò che è familiare e ciò che è estraneo, un sortilegio per avere presente il mondo costante di sua madre e delle sue zie, il suo amore fedele, il circolo di amiche che lo ammiravano, e il mondo appreso dalla poesia tedesca. Celan si sentiva come un traditore per il fatto di vivere lì dove si era estinta ogni forma umana, un morto vivente ormai carente di quell'amore infinito della sua infanzia in un'attesa senza fine. Se l'ebreo, come ha spiegato Albert Cohen, nel secolo XX ha cercato l'amore fraterno del gentil sesso come condizione per non sentirsi espulso dall'umanità, la carenza di Celan aggravò la sofferenza della sua esistenza. Allora lui, l'innamorato, cercò ovunque andasse quell'amore infinito che gli mancava. Paul Celan
Forse è per questo che scrivere per Paul Celan era, come per lo stesso Cohen, scrivere a una donna, sedurre una donna. I suoi poemi sono pieni di un tu normalmente femminile a cui si riferisce come interlocutore. Ci sono 1.400 du nell'opera del poeta, ed è la parola più ripetuta al suo interno. In molti casi è sua madre, ma in molti altri casi corrisponde a donne con cui Celan mantenne delle relazioni. Nel mezzo dell'odio che gli aveva negato l'esistenza, Celan creò poemi che, come ha notato Bertrand Badiou, hanno una lettura chiaramente amorosa o persino erotica.
Dietro questo tu si nasconde la presenza di Ruth Lackner, un'ebrea austriaca, attrice, alla quale Celan lasciò dattilografata la sua prima collezione di poemi prima di fuggire da Bucarest per Parigi, attraversando Vienna. C'è lei ma anche Rosa Leibovici, che conobbe negli ultimi anni a Czernowitz e che lo seguì a Bucarest (1944-1947), o Llana Shmueli, allora appena un adolescente, e con la quale il poeta si incontrò in diverse occasioni a partire dal 1965 a Parigi e a Gerusalemme. Il tu di Celan si estende anche ad altre latitudini e in tutti i suoi libri. Al suo passaggio a Vienna, nel 1948, conosce e si innamora della poetessa Ingeborg Bachmann, figlia di un maestro di Carinzia membro del partito nazista. Con Bachmann, Celan si incontrerà altre volte ancora, soprattutto tra l'autunno del 1957 e il luglio del 1958, ricomponendo così un vincolo che univa due estranei nonostante il loro amore. Quando nel 1948 arriva a Parigi, Celan frequenta il circolo del suo amico rumeno Isac Chiva, dove partecipa anche Ariane Deluz, la prima moglie di Chiva e amante di Celan a quel tempo e nei suoi ultimi anni di vita. E' proprio Chiva che presenta al poeta quella che sarà la sua futura moglie, l'artista grafica Gisèle Lestrange, e nasce subito tra loro una passione intensa. Nel 1952 si sposano e nel 1955 hanno un figlio Eric. Celan aspirava a creare una famiglia come si aspira ad avere una vita piena. Amava sua moglie e suo figlio, ma non riuscì a raggiungere la sua aspirazione. Alla fine degli anni '60, dovette separarsi da loro e andare a vivere da solo. Prima, tra il 1953 e il 1962, Britta Eisenreich era stata la sua "donna tedesca".
Eisenreich sta ultimando la scrittura di quello che sicuramente saranno degli interessanti ricordi della sua relazione con Celan. Tuttavia, dove realmente si può studiare la portata dei legami con tutte queste donne è nella corrispondenza che Celan intrattenne con loro. Ultimamente alcuni di queste intersezioni di lettere hanno conosciuto una pubblicazione generalmente accompagnata a note chiarificatrici dei lori editori. Magnifica, per mille ragioni, la corrispondenza con sua moglie, Gisèle, che svela la dolorosa lotta tra l'amore del poeta verso la sua famiglia e la sua pazzia, che gli procurò quel gas oscuro in cui si asfissiarono gli ultimi dieci anni della sua vita. Quello che lui stesso chiamò "la sua malattia" era grave, prodotto di una personalità enormemente addolorata, dannata senza rimedio dall'esperienza del genocidio e per il sentimento della colpa che ne era derivata. In un'annotazione del 1966 del diario del filosofo Emil Cioran, si può leggere: "Ieri sera, in una cena, seppi che avevano internato Paul Celan in una casa di cura, dopo che aveva cercato di strozzare sua moglie. (.) Quest'uomo incantatore e insopportabile, feroce e con attacchi di dolcezza, che stimavo e rifuggivo, per timore di ferirlo, dal momento che tutto lo feriva".
Celan alla fine aveva sentito quello schiocco che lo separava dall'esistenza. Quando aveva potuto si era alimentato dell'amore di queste donne, un amore che necessitava e che cercava, senza mai saziarsi, anche come motore per la sua poesia. Ma questa vitalità del moribondo finì con il brutale trattamento psichiatrico a cui fu sottoposto per una decada di duri internamenti clinici con somministrazione di psicofarmaci ed elettroshock: "C'erano molte forze riunite in me, non solo quelle della poesia , ed erano una forza unica, una sola. Hanno voluto togliermela, forse perché era troppo grande; la mia forza era così grande che non sono riusciti a togliermela. Mi sono difeso per molto tempo, ma per quanto portavo avanti questo combattimento più deciso e concentrato, più dura diventava la caduta", scrisse così nel 1969 a Ilana Shmueli. Quattro mesi dopo, il moribondo innamorato si gettò nel fiume Senna.
(Tratto da El País, del 9 gennaio 2009. Traduzione di Samanta Catastini.)
Carlos Ortega: Scrittore, traduttore ed editore, è direttore dell'istituto Cervantes di Vienna. Il suo ultimo libro pubblicato è La perfetta allegria (Pre-textos ed.)
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