DUE ITALIANI


Carlo Dossi

 


Pandiani:


Il padre di Adelaide Maraini era Giovanni Pan­diani, scultore. Aveva la malattia morale della «contro-volontà». Ogni sera, lasciando lo studio, nel far girare la chiave nella serratura non sapeva mai precisamente se chiudeva o no. «L'è avert, l'è saraa», diceva a mezza voce, volgendo e rivolgendo la chiave finchè non sapeva più se fosse aperto o chiuso. E in istrada, tornando a casa colla moglie o la figlia continuava a fare calmee se la por­ta era o no chiusa, finchè, nel dubbio, finiva a tornare allo studio e lo trovava aperto - Pandiani, prima di andar a letto, barricava la porta. Non c'era nulla da portar via, salvo le statue difese dal loro peso, ma, si sa mai! Tutte le sere era uno strascicare di mobili contro l'uscio. Vi metteva contro il pesante coumod , poi su, una sedia, poi, sulla sedia un catino e nel catino un lume. E diceva «se i ladri vengono, il lume cadrà nel catino e farà rumore». Alla mattina poi, quando il lattivendolo picchiava all'uscio, la scenetta di disfare la barricata era comicissima. Cosi pure, inchiavando la porta interna dello studio, Pandiani vi applicava una stanga e posava su questa il candeliere acceso. E diceva alla moglie e alla figlia: vedete, se il candeliere sta sulla stanga, è segno che la stanga c'è. Se la stanga non fosse, il candeliere cadrebbe. Giurate che il candeliere sta sulla stanga ecc. - Pandiani era sempre all'asciutto, nonostante i grossi gua­dagni che faceva come scultore. Portando a casa il sac­chetto del denaro, la prima impresa era quella di contare le svanziche . Fatto il primo conto, gridava tutto giulivo alla moglie: si sono sbagliati; cento svanziche di più; stasera andremo al teatro - La moglie gli suggeriva som­messamente di rifare il conto. Pandiani, brontolando, lo rifaceva e trovava cento lire di meno. Allora si disperava. «Bricconi, ladri» diceva. - Insomma non gli riusciva mai di avere la somma esatta. E col denaro voleva subito pagare tutti i debiti. La moglie lo consigliava a dare degli acconti, perché altrimenti non sarebbe loro rimasto abbastanza per tirare innanzi. Ma che! egli voleva pagare i debiti - Paga e paga, rimaneva a mani vuote - Altra impresa difficile per il Pandiani, come per rutti gli scultori, era quella di scrivere una lettera. Consumava soli­tamente per ogni lettera un pajo di dozzine di fogli, poiché sbagliava sempre o il nome della persona cui scrivere o la data o il ragionamento. Ricopiando poi in bella la minuta, ometteva sempre qualche pajo di linee. - Il Pandiani amava le decorazioni e ne aveva parecchie. Quando si metteva in marsina per recarsi a qualche festa o ricevimento, tutta la casa era sossopra. Faceva correre tutti a prendere questo o quello: poi s'impazientava se la moglie o le figlie gli giravano intorno. «Non movetevi, diceva, che me fee sudà.» Quindi usciva: ma subito rien­trava tutto scalmanato. Aveva dimenticato le decorazioni. «E la cadenella! - gridava - e la cadenella!» - Pandiani aveva delle innocenti furberie. Tornando a casa tardi, camminava svelto brandendo allegramente la sua canna. Appena alla soglia della porta di casa, si faceva zoppo, ap­poggiandosi dogliosamente sul bastoncino. Ma la moglie e le figlie lo avevano già visto, sano, dalla finestra. - Adelaide figlia di Gio. Pandiani moglie di Clemente Maraini uomo di grande ingegno. A 16 anni Adelaide mal conteneva la sincerità de' suoi moti. Tale ch'era stato in America ve­niva spesso in sua casa e tediava tutti colla sua voce e i suoi racconti monotoni. Narrava sempre dell'America e ripeteva in maniera asfissiante la frase «facciamo un passo indietro». Or un giorno, incominciando egli a dire «per fà on pass indree» la giovinetta Adelaide non seppe più tenersi e preso un cuscino dal canapè si pose a darlo addosso senza pietà al seccatore, il quale sotto la improv­visa tempesta, più non sapeva che fare e dire. Adelaide non cessò che all'ingiunzione della madre e si rimase tutta confusa - Altra volta giocavasi in casa sua a far girare una tafferia (basletta). I giovani dovevano uno appresso all'altro raccoglierla prima che cadesse. Venne la volta di certo francese, grosso, che aveva un culo tondo e co­lossale, il quale francese nel chinarsi in fretta s'ebbe spac­cati i calzoni sul deretano. Adelaide non potè trattenersi di dargli con la mano una rumorosa sculacciata. - Adelaide diventata Maraini era un dì a passeggio, modestamente vestita come al solito della sua giacca. Ricordò una conoscente, la prefettessa Gadda, e così, com'era, si recò a visitarla. Nella sala prefettizia era circolo. Dame abbi­gliate in gran lusso. Entrando la Maraini vestita alla buona, fu accolta da occhiate di traverso. La Gadda non le rivolse che qualche parola, non parlandole che d'arte. Allora la Maraini si accorse d'esser vestita male e si con­gedò. Giunse a casa infuriata: voleva ad ogni costo mandare alla Gadda uno de' suoi manichini, abbigliati in gran lusso, si diede anzi premurosamente a pulirne e vestirne uno. Avrebbe dato seguito al suo proposito se il marito Clemente non vi si fosse opposto.


(1886 giugno) Fra le due Adelaide Maraini. Non so se più amo la figlia o la madre. Ma ahimè! per la prima naqui troppo tardi e per l'altra troppo presto. Rimango tra esse dando una mano all'una, e l'altra all'altra senza poter abbracciare nessuna delle due.


Pellegrini:


Pellegrini, toscano che aveva per madre una donna dell'antica famiglia Medici e teneva i lineamenti di quella famiglia, dopo di aver consumato tutto il suo patrimonio si recò nel 1860 (?) a Londra. Si presentò in miseria alla Legazione italiana. Il vecchio portiere, un italiano, gli dava giornalmente dei pezzi di pane con entro i rita­gli di carne avanzati ai pranzi del ministro. Un giorno fu incontrato da un addetto, Catalani, che gli domandò che sapesse fare. Scrivere? No, non aveva neppure buona calligrafia. Musica? niente. Lingua? nemmeno. Pellegri­ni disse che alle volte gli era riuscita qualche caricatura. Si provò a disegnarne una. Bellissima. Gli addetti della legazione lo presentarono al direttore del Vanity fair gior­nale allora poco conosciuto. Disegnò una caricatura da pubblicarsi che gli fu pagata una ghinea. Pellegrini portò ad impegnare la ghinea, prima guadagnata, per con­servarsela. Da quella prima caricatura la sua fortuna. Entrò in voga. Le sue caricature settimanali, colorate con un processo speciale, gli erano pagate 2, 3, 6, 8 ghi­nee la settimana e si giunse a dargli perfin 50 sterline. Ma Pellegrini volle allora darsi alla pittura a olio, ab­bandonando la caricatura. Fece fiasco e ricadde in miseria. Inoltre, egli che nei primi tempi della sua voga aveva aquistato simpatie nell'alta società inglese e presso il principe di Galles, venne a perderle abusando della fa­migliarità che gli si dimostrava, passando p. es. un brac­cio sulla spalla del principe, parlando sboccato ecc. E arrivò al punto che in un club aristocratico, incontran­dosi con un signore, inglesamente attillato, serio, duro, gli domandò a bruciapelo «scommette che io posso presentarle qui sui due piedi un piatto con due uova?» E si fece dare un piatto dal domestico, poi sbottonandosi e mettendo i suoi coglioni sul piatto «Ecco il piatto e le uova» - Fini, come aveva cominciato, in miseria.


(Brani tratti dalle Note azzurre 2° , Adelphi editrice, Milano, 1964.)






Il Conte Carlo Dossi (Zenevredo, 27 marzo 1849 - Cardina, 1910) è stato uno scrittore italiano. Tra le sue opere L'altrieri, 1868, Vita di Alberto Pisani, 1870, Ona famiglia de cialapponi, 1873, con Gigi Pirelli, La colonia felice, 1878, Gocce d'inchiostro, 1880, Ritratti umani, dal calamajo di un medico, 1874, Ritratti umani - Campionario, 1885, Desinenza in A, 1878 e 1884, Amori, 1887, Fricassea critica di arte, storia e letteratura, 1906, Rovaniana, postumo, 1944 (incompiuto) e Note azzurre, postumo, 1964 (parzialmente nel 1912).

 


     
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