CHI HA UCCISO VÍCTOR JARA


Pedro Lemebel

 



E successe in uno di quei viaggi aerei, forse tor­nando dall'esilio, da Cuba o Parigi, non lo so con certezza, perché la Chabela me lo conta in fretta al telefono aggiungendo che fu una performance, un atto di arte gestuale o un repentino im­pulso di rabbia che le venne quando dal finestrino dell'aereo scorse l'imponente meringa congelata delle Ande. Allora tutti i passeggeri ci­leni sbadigliarono per la soddisfazione di arrivare a casa. Finalmente stavano traversando il massic­cio gelato, mentre dal soffitto del jet scendeva il grande schermo che proiettava al fluoro la gobba andina. Dagli altoparlanti la voce FM della hostess annunciò che tra pochissimo avrebbero sorvolato la città di Santiago, con una temperatura di ven­ticinque gradi e un'umidità di circa il trenta percento. Ladies and gentlemen... Quasi un paradiso, un posto ideale, tanto differente dall'umidità sof­focante di Miami, Marichu, sentì dire l'Isabel a una geriatrica superleccata che conversava al suo fianco. Per fortuna arriviamo in tempo per pran­zare al Country, continuò a parlare la smorfiona. Meno male che è una bella giornata per fare le va­sche, aggiunse con l'insolenza ghignante della sua bocca forestiera. E a quel punto, la Chabela non ne poté più, non sopportò tanta sfacciatag­gine, e aprì la borsa per estrarre il rossetto e darsi un ritocco dalla rabbia. Però, nonostante cercasse sul fondo della borsetta, riuscì soltanto a trovare un matitone rosso... Allora, mettendosi in piedi, camminò per il corridoio, dritto fino al grande schermo dove si proiettava la cordigliera azzurrina in tutto il suo splendore. CHI HA UCCISO VÍC­TOR JARA, scrisse a lettere tremolanti sul telone fosforescente, CHI HA UCCISO VÍCTOR JARA, lessero i passeggeri, con un gesto di sorpresa e timore. CHI HA UCCISO VÍCTOR JARA, fu l'inter­rogativo senza punto di domanda che la Chabela scribacchiò sullo schermo nevoso del Concord. Come se si trattasse di una domanda retorica, il graffito rosso insanguinò la bianchezza patria. Le parole graffiarono la neve proclamando con amore la chiarezza del nome. In ogni lettera c'era un verso, nello spazio tra le lettere c'era un altro nome, i mille nomi dell'assassinio e della spari­zione nel nulla.

La Isabel scrisse su quella lavagna l'impune memoria di un accordo, di un paesaggio; calle Segovia, quattro del pomeriggio e Victor che arriva sfiancato dalle aggressioni subite per strada da parte dei fasci. Un'altra lettera scalfisce la lavagna elettrica, suggerisce nel sillabario la rossa euforia della Unidad Popular. Altra lettera, altro paesaggio, la via la marcia e il suo amico Victor innamorato della propria convinzione canora. La Chabela sca­rabocchiò la lavagna, didattica nel suo furore, ri­gando gli occhiali alla platea aerea, ai cileni a cui sempre di più dà fastidio l'omicidio levigato di Victor Jara. Chi essere Victor Jara?, domandò un gringo rosso in volto e disorientato. Un tale che hanno ammazzato, disse guardando all'esterno un anzianotto con maglietta da tennis. Però non è un motivo, 'sti terroristi ci vanno a rovinare la tele, vedi un po' te. È un attentato in pieno volo, Marichu, gridò la forestiera, che istupidita non riusciva a crederci. Ci dirotteranno a Cuba, di sicuro. Andare bene, disse uno studente con occhiali alla Lennon, che veniva dalla Finlandia. Essere un'azione giusta, approvò col pollice levato e una ragazza, che tornava da una borsa di studio all'estero, gli rispose con un sorriso, però erano gli unici due; ma mentre entrambi stanno per ap­plaudire la scritta, compaiono le hostess e il re­sponsabile dei servizi di bordo, che fermano Isa­bel Parra autrice del crimine. Chi essere Isabel Parra?, chiese di nuovo il gringo disorientato. La figlia di Violeta Parra, gli rispose il silenzio-jet della destra cilena che ignorava il nome dell'espatrio forzato. Lei è agli arresti finché atterreremo a Pu­dahuel, le disse uno steward abbronzato che nell'emergenza doveva esercitare il compito di guardia marcantonio. Preghiamo i passeggeri di non allarmarsi, non sta succedendo niente, è stata un'azione sconsiderata che ormai è sotto con­trollo. Vi preghiamo di tornare ai vostri posti... Ladies and gentlemen, plìs... sentì la Isabel mentre veniva riportata al suo posto dallo steward che nel contatto del braccio depilato le trasmetteva tutta la sua meravigliata ammirazione. Mi dà i suoi documenti?, le chiese coi suoi occhi di plastica celeste, come se domandasse un autografo, aggiun­gendo che il passaporto sarebbe rimasto in custo­dia per il resto del viaggio. Ohi, ohi, pensò la Isabel, avvertendo il problema in cui il suo im­pulso artistico e politico l'aveva ficcata, perché all'arrivo a Pudahuel la portarono dritta dritta all'Interpol, dove uno schieramento di poliziotti perquisì lei e le sue valigie, interrogandola con in­sistenza: perché l'ha fatto? è uno schermo molto costoso... Signora Isabel Parra Cereceda, lei è rin­viata al Quarto tribunale penale per attentato contro l'aviazione. Le dico subito che a nome della Lan Chile si esige da lei che ripaghi lo schermo. Ma non si può mandare a pulire?, disse la Chave con occhiatona da innocente. Io credo che con un po' d'alcol e ammoniaca... può venir bene. Anche se queste macchie sono rognose da togliere, figuriamoci. Questo lo può raccontare al giudice, signora Parra, per il momento lei è citata in giudizio. Però il giudice non le procurò lo smac­chiatore miracoloso e le disse: Signora Isabel, lei ha l'obbligo di pagare lo schermo nuovo. Allora che mi consegnino l'altro, replicò alzando la voce la Chave. Quello che dice CHI HA UCCISO VÍCTOR, chiese, esigendo la proprietà materiale e sentimentale della propria arte gestuale. Per que­sto dovremmo smontare l'aereo, signora Parra, le rispose il magistrato. Se adesso lei mi firma seduta stante l'atto di risarcimento, si metterà poi d'ac­cordo con la linea aerea.

Proprio in quel momento la telefonata si interruppe e mai riuscii a sapere la fine della storia, se la Chabela pagò lo schermo e si portò via l'altro, quello su cui era intervenuta, con quella domanda che rimase a fare scintille negli occhi dei passeg­geri cileni che quella notte nel sonno sussultarono per l'eco di un'impunita detonazione.





(Tratto dalla raccolta Baciami ancora, forestiero, Marcos y Marcos editrice, Milano, 2008. Traduzione di Laura Pariani.)







Pedro Lemebel
è nato a Santiago negli anni Cinquanta, "povero e maricón". Nel 1987 fonda, insieme a Francisco Casas, il Collettivo artistico "Yeguas del Apocalipsis", che realizza memorabili eventi pubblici, mescolando performance provocatoria, trasformismo, fotografia, video e installazioni, per rivendicare il diritto alla vita, alla memoria, alla libertà sessuale. Il suo primo romanzo, Ho paura torero , è stato il libro più venduto in Cile nel 2001 ed è tuttora un romanzo di culto in diversi paesi.



     
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